Sempre più popolare: il video in questi ultimi tempi ha conquistato un crescente pubblico di utenti, impegnati a riprendere o come fruitori. Da quando la fotocamera ha anche questa funzione il video ha perso quella patina mitica data dal confronto con i grandi registi di cinema. Pochi tentano un vero cortometraggio, molti si divertono a fare delle riprese anche di pochi minuti. Così è logico che anche il teatro, che è specchio dei tempi, lo abbia accolto, sia pure con modalità differenti. Che possono andare dalla realizzazione di scenografie più economiche ad altre talmente impegnative e d’effetto che non potrebbero essere realizzate altrimenti, dall’ampliamento di un racconto all’esemplificazione di quanto detto, fino a diventare parte integrante della drammaturgia offrendo allo spettatore stimoli visivi ed emozionali nuovi. Ma sempre con una perfetta integrazione tra immagini e attori, che non significa affievolire il coinvolgimento dello spettatore, che invece può sentirsi stimolato a nuove riflessioni. Così la tecnologia, sotto forma di video, può giustamente salire sul palcoscenico.

Non stupiamoci: l’acqua sui palcoscenici dei teatri non è una novità. Ci sono due modi di portarla: tra i due intercorre almeno una decina di anni. Perché già avevamo visto l’acqua, sotto forma di pioggia o di scrosci, portata in scena sfruttando i sistemi di sicurezza ormai obbligatori per i teatri che non hanno il sipario frangifiamme, quello a saracinesca della Scala e del Filodrammatici, per parlare solo di Milano. Ma la tecnologia ha permesso di portare l’acqua in un modo ancora diverso, facendo apparire gli attori immersi nelle acque di un laghetto, intenti a provare una presa, un passo di ballo: è una delle scene che in queste settimane si sta vedendo in “Dirty Dancing”.  Ed è una delle scene cult del film da cui il musical è tratto: attesa con curiosità dal pubblico, che ipotizzava venisse solo raccontata, è invece presente grazie alle proiezioni video. Così sul palcoscenico vediamo i due protagonisti, Baby e Johnny, immersi nell’acqua, di cui sentiamo il rumore mentre si muovono, mentre cadono nell’acqua, mentre lei impara il volo. Merito delle proiezioni, tecnologicamente all’avanguardia, che riescono anche a ricreare il verde degli alberi, la strada, i bungalow degli animatori del resort in cui è ambientata la storia e, appunto, l’acqua.

Dirty Dancing. Foto di Laura Bianca | Osservatorio Digitale

I video sono dunque presenti, con il manifesto disappunto di alcuni puristi, in uno dei grandi musical in queste settimane a Milano. La loro funzione è non solo quella di ricreare delle ambientazioni, altrimenti impossibili, ma è anche quella di comunicare quell’entusiasmo che solo il palcoscenico può dare, facendo rivivere il film, arricchito di ulteriori riflessioni, davanti agli occhi dei fans, che i dati di sbigliettamento indicano essere tanti (75 mila nel primo mese di repliche). E non è un modo economico di costruire la scenografia, invece talmente imponente e tecnologicamente avanzata da non poter essere portata in altri teatri. Il risultato è il massimo della spettacolarità, in grado di attirare a teatro anche un pubblico nuovo, che potrà in questo modo scoprire il piacere e la capacità di emozionare dello spettacolo dal vivo.

Il teatro è dunque, ancora una volta e anche in questo campo, specchio dei tempi e non può che accogliere la tecnologia sotto forma di video. Lo fa però sfruttandone le potenzialità per lo spettacolo e adattandole alle esigenze drammaturgiche. Così, come raccontare il passato dei protagonisti, rendendolo evidente agli spettatori? Con un album di famiglia pieno di foto ricordo? La risposta non può che essere negativa se consideriamo le esigenze degli spettatori seduti lontano dalle prime file. Il video e le foto mostrate su grande schermo sono state la soluzione scelta per “Tres”, divertente commedia spagnola che proprio su queste immagini basa la storia. E lo fa dall’inizio alla fine, con le tre protagoniste che vediamo compagne di scuola al liceo, amiche in un lontano passato fino a un finale a cui proprio una immagine dà il senso (e che non vi sveleremo!).

Tres, foto di Marina Alessi | Osservatorio Digitale

La possibilità di utilizzare la stessa fotocamera per realizzare sia foto che video ha reso questi ultimi particolarmente popolari e ormai parte integrante della vita di tutti. Logico dunque che abbiano un ruolo anche a teatro, se a quest’ultimo riconosciamo la capacità di raccontarci il tempo, di oggi o passato, ma sempre in relazione a noi e la funzione di stimolo alla riflessione su noi stessi, i nostri sentimenti e il nostro tempo. Così la commistione tra generi sta diventando sempre più frequente a teatro: la parola si incontra con il movimento, con la musica, con la tecnologia. È il caso di “Gebrek”, dove il video interloquisce con la parola e l’azione scenica su un palcoscenico, anch'esso spia di tempi rinnovati, che vogliono un contatto più stretto tra attori – nel senso più ampio del termine – e spettatori, che ben permette la sala Cavallerizza del Teatro Litta a Milano.

Gebrek, foto di Gaetano Giambusso | Osservatorio Digitale

«I video di Francesca Lolli - spiega Claudio Elli, autore e regista di “Gebrek”, alla vigilia del debutto l'11 dicembre - sono ugualmente protagonisti sulla scena. L’interazione tra diversi linguaggi permette una lettura innovativa del soggetto teatrale, dove la percezione dell’osservatore è stimolata sotto più aspetti, che da visivi diventano anche emozionali». Siamo dunque a una ricerca sul linguaggio teatrale, che coinvolge anche quanto un tempo sarebbe stato considerato antitetico al teatro e oggi, invece, è un modo per utilizzare quanto disponibile – anche grazie alla tecnologia, appunto – per arricchire la drammaturgia e rendere più palpabile quanto si vuole dire.

Filippo Timi, negli ultimi anni in particolare, proprio con questo spirito ha portato in scena i video. Con “Skianto”, che ripropone in queste settimane, l’attenzione è puntata su un handicappato mentale, che cresce però guardando quegli stessi video che molti guardano, le immagini della pubblicità, le evoluzioni della pattinatrice che la televisione porta nelle case. Sono i video che scorrono alle spalle di Filippo Timi, in questo spettacolo che nulla ha di tradizionale, come l’attore da tempo ci ha abituato. E altri video appaiono su uno schermo che scende come un sipario: può essere una pubblicità al contrario – una sorta di interruzione tra prima e seconda parte - con un panda diabolico o un gatto allucinato. I video diventano un modo per evidenziare l’ironia dello spettacolo che fa da contrappunto – anzi intensifica – il dolore di quanto ci viene detto, di quel mondo che noi possiamo solo immaginare, in cui si rinchiude tutta la vita di un handicappato mentale.

Skianto, foto di Neige De Benedetti | Osservatorio Digitale

Ecco dunque che il video non è più solo un espediente – banale o utile – che sta conquistando i palcoscenici a teatro. Diventa anche un modo per sostenere la parola, il tema che sottosta al testo teatrale.  Così anche uno spettacolo di teatro per nulla tradizionale, come “Antigone in città”, utilizza i video per evidenziare il passaggio dal teatro greco che tutti coinvolge a quello romano (vedi il Colosseo) dove il pubblico assiste, giudica, decide la sorte di chi sta al centro. E ancora per evidenziare la violenza che sta attanagliandoci: così l’11 settembre – proprio quell’11 settembre – è rivissuto attraverso il video del crollo delle Torri Gemelle, ma anche il video con Pedrito, torero portoghese, che uccide il toro, contravvenendo una regola della corrida portoghese. Se è sufficiente solo nominare il crollo delle Torri Gemelle perché davanti agli occhi di tutti si evidenzi il dramma – conosciuto grazie a video amatoriali e non - come raccontare di Pedrito, se non attraverso un video sul palco?

(data di pubblicazione: novembre 2014)

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