La fotografia compie 150 anni, secondo la data di nascita più accreditata. Molto è cambiato in tutti questi anni: è cambiato il modo di considerare la fotografia e, naturalmente, sono cambiati gli apparecchi fotografici. Alle evoluzioni nell’ambito dell’analogico è seguito il cambiamento di tecnologia, con l’arrivo del digitale. Sono, di conseguenza, cambiati gli utilizzatori e il loro rapporto con la fotocamera. Ma l’importanza dell’immagine – fissa o in movimento – non è mai cambiata. Alcune immagini sono nella memoria di tutti, mentre scattare una fotografia è diventato sempre più di moda. Qualcuno direbbe che tutto è cambiato, senza che nulla cambi, ma in questo caso la constatazione è sicuramente positiva. Ne parliamo qui, anche esaminando fatti e mostre di questi giorni.
Un tempo dicevi «fotografia» e pensavi a un rettangolino di carta su cui era stato fermato un istante di vita. Da allora sono passati degli anni. Nemmeno tanti. E tutto è cambiato, a cominciare da quel rettangolino, che non è più considerato così indispensabile quando si parla di fotografia. E anche il modo di intendere la fotografia è mutato. Il numero di scatti è decisamente aumentato: se ai tempi dell’analogico era molto frequente il «rullino quattro stagioni» con 36 fotogrammi quasi equamente suddivisi tra il Natale e le vacanze estive, ora quelle 36 foto vengono riprese in pochissimo tempo, anche in un’ora o meno. È stato calcolato che in Italia si scattino 28 milioni di foto al giorno. È cambiato l’approccio: la fotografia può essere un motivo di gioco con gli amici a chi riesce a riprendere meglio quel momento, può essere un modo per farsi ricordare dagli altri e per immortalarsi nelle occasioni più insolite. Ha preso il posto dell’autografo quando ci si trova di fronte all’attore, cantante, personaggio che piace. Ha anche cambiato nome perché, piuttosto che di autoscatto, si parla di selfie ma, appunto, vi si fa ricorso molto più spesso. Anche troppo. Al punto che in America è nato l’Anti-Selfie Movement di cui Kirsten Durst è la maggior sostenitrice. L’attrice è protagonista del cortometraggio “Aspirational” in cui la si vede avvicinata da due fan che scattano ripetuti selfie senza chiederle se li gradisce e anzi, quando lei domanda se non abbiano qualche curiosità sul suo lavoro e la sua vita, le due le rispondono «Ci puoi taggare su Facebook?». Ce n’è di che lavorare anche per psicologi, invitati a indagare sull’ormai sempre più stretto rapporto tra egocentrismo e fotografia, complici i social network. Chi comunque si preoccupa e teme che il selfie d’ordinanza possa avere una flessione sarà felice di sapere che un altro attore, James Franco, lo considera una forma d'arte.
Logico pensare che è anche cambiato il pubblico: l’ipertecnologico è stato sostituito (o almeno affiancato) da chi bada solo a quanto si ottiene con una fotocamera, che non acquista più solo perché ha quelle caratteristiche tecniche, ma guarda piuttosto alle possibilità che può garantire. Proprio di questo parla un protagonista del mondo fotografico: durante la conferenza stampa di presentazione Enrico Deluchi, da febbraio Amministratore delegato e Presidente di Canon Italia, ha parlato della necessità di trasformare l’approccio con l’utilizzatore. Ha ricordato che lo aveva colpito il linguaggio tecnico usato per presentare le novità fotografiche, un linguaggio più attento a sottolineare le caratteristiche di un prodotto piuttosto che i vantaggi che può offrire. Meglio, fa notare, evidenziare quanto si può fare, invece che puntare sulle particolarità tecniche di quel prodotto.
È cambiato il modo di considerare la fotografia. Non è più solo un mezzo per raccontare un momento di vita. David LaChapelle da tempo parla di voler trasformare i suoi sogni in foto. Ugualmente da tempo all’Istituto Italiano di fotografia di Milano Roberto Mutti nel suo corso invita gli allievi a raccontare in fotografia dei punti fermi della letteratura. Lo ha fatto con Pinocchio, con i Promessi Sposi, mentre il tema più recente è stato Il Mago di Oz. Anche in questo caso, come soprattutto per Pinocchio, è la fantasia che viene chiamata in causa per realizzare delle foto ispirate al famoso romanzo. «Come è stato loro suggerito – racconta ora Roberto Mutti - tutti hanno fatto in modo di coniugare due esigenze: quella del rapporto necessariamente stretto con il libro e quella di una libertà creativa che, in quanto tale, non poteva sopportare troppi limiti». Dunque è la creatività a essere chiamata in causa per realizzare le foto. Come gli allievi della scuola di via Caviglia hanno stimolato la loro creatività per realizzare le foto lo si può vedere nella mostra “L’audacia del viaggio. Figure fantastiche dal mondo di Oz” esposta dal 10 al 18 ottobre presso Area 35 in via Vigevano 35 a Milano.
Un altro modo di dare nuova vita alla fotografia lo si può vedere in alcune immagini esposte dal 9 ottobre al 29 novembre presso Leica Galerie Milano, nell’ambito della mostra “Klein+Brooklyn+Klein”. Alle immagini di Brooklyn realizzate da William Klein si aggiungono alcuni esemplari dei “Painted Contacts”. Sono fotografie diventate opere di grafica grazie alle pennellate di colore con cui l’autore ha invaso la superficie della stampa fotografica. È una commistione – un aspetto sempre più di tendenza – che in questo caso tocca fotografia e intervento pittorico manuale. È un altro modo di vivere la fotografia grazie a una commistione che, come già abbiamo raccontato in precedenti puntate di questo Taccuino, sta toccando anche l’ambito teatrale, dove fotografia e video salgono a pieno titolo sul palcoscenico. Un aspetto interessante del quale senz'altro riparleremo.
È anche cambiato il modo di intendere la macchina fotografica: non più solo per scattare foto. Ormai tutte le fotocamera possiedono una funzione per realizzare video, in modo che l’utilizzatore possa decidere ogni volta a quale strumento ricorrere. Poi i video verranno caricati su YouTube, mostrati agli amici – qui vogliamo considerare solo i video che non hanno risvolti sessuali né di derisione o di stupido vanto – o addirittura diventeranno una ulteriore documentazione di un fatto di cronaca, come ormai sempre più spesso succede.
Se cambia lo strumento resta comunque invariato l’impatto che alcuni video hanno avuto e avranno sempre sulla nostra vita e i nostri ricordi.
A 51 anni di distanza dall’assassinio Kennedy rivederne le immagini, e soprattutto la ripresa amatoriale di quell’avvenimento fatta da Abraham Zapruder con cinepresa Bell&Howell 414PD, significa semplicemente rinverdire un ricordo, perché in America si dice che chi è nato prima del 1963 ricorda che cosa stava facendo il 23 novembre di quell’anno, ma anche i coetanei italiani, se pure non ricordano che cosa stavano facendo in quel giorno, certo non hanno dimenticato quel filmato con la Lincoln nera, JF Kennedy colpito a morte e Jacqueline che si protende sul cofano della macchina per cercare di recuperare quello che poi si capirà essere una parte del cervello e della scatola cranica del marito appena colpito. Chi quel filmato non lo aveva visto in passato lo ha poi potuto vedere in occasione dei vari anniversari e nell’ambito di un film, “Parkland”, passato alla Mostra del Cinema di Venezia lo scorso anno. È uno di quei «video» - passatemi il termine, anche se allora si girava in pellicola - rimasti nella memoria, come, sebbene in misura minore, quello della successiva uccisione di Oswald da parte di Jack Ruby. Allora i grandi avvenimenti e le relative riprese filmate si vedevano in televisione (niente Internet né YouTube) durante il telegiornale. All’ora di cena, dunque, e forse anche questo aiutava a rendere indelebile il ricordo.
Quello dell’uccisione di Kennedy non è certo l’unico filmato rimasto ben impresso nella memoria. Come non ricordare, qualche anno dopo, l’allunaggio? Quella notte del 21 luglio 1969 chi allora era già nato era davanti alla tivù: per scelta sua o perché svegliato dai genitori, che ne avevano capito il peso storico. Ricorda quella discesa ovviamente traballante – mica facile camminare con gli occhi del mondo su di sé, ma, soprattutto, in un sesto della gravità terrestre - ricorda la propria emozione e le parole di Neil Armstrong: «Un piccolo passo per l’uomo, un grande balzo per l’umanità». L’uomo era per la prima volta sulla Luna: quello era quanto tutti avevano capito. Il sogno era diventato realtà e le riprese ne avevano portato un segno tangibile in tutte le case. I dubbi – realtà o finzione? – sono di molti anni posteriori. Ma foto e video rimangono nei ricordi (magari più recenti grazie a periodiche riedizioni in occasione degli anniversari), a volte per avvalorare una tesi o l’altra.
Altre riprese video, pescando nei ricordi, contraddistinguono momenti felici o tristi, ma certo decisamente di rilievo. Si riferiscono alla vittoria dei mondiali di calcio nel 1982: quell’11 luglio è rimasto nel ricordo di molti, legato soprattutto all’esultanza di Pertini sugli spalti. Mentre di un altro 11, questa volta settembre, si hanno ricordi decisamente drammatici. Ma anche in questo caso la sequenza video è rimasta memorabile.
Insomma, fotografia e video stanno cambiando. Sono diventati a volte troppo invadenti, ma fanno sempre più parte della nostra vita. Qualcuno chiede un po’ di moderazione, ma questo non significa non riconoscerne l’importanza. E, naturalmente, è meglio cogliere le opportunità che i cambiamenti offrono, piuttosto che rimpiangere un passato destinato a non tornare.