Non si tratta più di casi eccezionali: il video si sta conquistando un posto importante a teatro. L’argomento lo abbiamo già affrontato su od di giugno 2013, ma il fermento di questo inizio di stagione a teatro induce a riprendere il tema. Per il pubblico, che certo in televisione non sta trovando delle proposte di valore culturale, si stanno invece moltiplicando le offerte teatrali. Di ogni genere, peso (e prezzo). E, dal momento che il pubblico da conquistare è quello più giovane, l’utilizzo di mezzi attuali non suona stonato. In particolare quando la storia e la necessità di rendere comprensibili momento e luogo fanno apprezzare il video come strumento ideale.

Dunque è il nuovo protagonista delle scene italiane. Il video sta assumendo un ruolo sempre più importante a teatro e non rappresenta una semplice appendice, qualcosa di aggiunto solo per dare un tocco di attualità alla produzione o semplicemente per costruire quella scenografia che i costi attuali renderebbero inaccessibile. Il sostituto non è la scenografia tradizionale con quinte, mobilia, arredi di scena: il sostituto potrebbe essere solo la parola. Ovvero qualcosa non di più costoso ma di meno incisivo in un’epoca in cui la fantasia è un po’ accantonata. Un tempo si sarebbero usate solo le parole: oggi, in era tecnologica, quando la fotografia e il video hanno ormai raggiunto tutti, sembrano non bastare. Certo un tempo era sufficiente tracciare una linea a terra per far capire che quelle erano due case differenti, abitate da famiglie diverse. I casi che però vogliamo esaminare questa volta rappresentano un utilizzo del video difficilmente sostituibile in altro modo: qui una linea a terra, una parola di più non avrebbero raggiunto l’obiettivo, che è sempre quello di rievocare meglio davanti agli occhi dello spettatore un evento, una vicenda, un luogo, dando un ulteriore senso a quello che si sta rappresentando in scena.
Così, come dire New York, quando l’indicazione della località appare importante? La risposta la si ha con l’inizio di “Ghost”. Stiamo parlando del musical arrivato a teatro, naturalmente, debitore al film di storia e ambientazione. Grazie a grandiose proiezioni con riprese dall’alto che poi, come se fossimo in un rapido volo d’uccello, si tramutano in scorci di grattacieli, veniamo proiettati al centro della Grande Mela. Il video di alto valore espressivo e tecnologico è un elemento fondamentale (e di forte attrazione) nella messinscena di “Ghost il musical” –qualcuno dei nostri lettori lo avrà visto o avrà in programma di andarlo a vedere a Milano al Barclays Teatro Nazionale – che rinverdisce il ricordo del film a 23 anni dall’uscita al cinema.

Ghost il Musical | Osservatorio Digitale

Appare dunque particolarmente in tema il ricorso a riprese video e proiezioni. Queste, decisamente belle, danno vita a tutte le ambientazioni: dalla vista dei grattacieli entriamo nel loft-abitazione, passiamo alla strada e poi il limbo, la metropolitana. Il video diventa dunque un modo per raccontare una storia, renderla evidente a un grande pubblico, che, spesso, considerata la dimensione del teatro, è molto distante con la sua poltrona dal centro dell’azione: in questo modo diventa partecipe e non rimpiange il film. E non è nemmeno l’unica occasione di intervento della tecnologia, perché – ed era fondamentale per non deludere il pubblico – la scena con la creta che diventa vaso non manca e dunque non poteva mancare come sottofondo “Unchained Melody”, la canzone più famosa. Ma come inserirla, senza alterarla, per recuperare le atmosfere del film? A risolvere il problema è il ricorso a un registratore che ne permette l’ascolto, evitando l’inserimento, che sarebbe apparso forzato, di una canzone in inglese in un musical cantato tutto in italiano.

E questo è un altro aspetto che si ritrova sempre più frequentemente a teatro. La tecnologia permette di risolvere anche problemi di sonoro. I rumori, i suoni registrati diventano scenografia, come succede in “La svolta” dove il regista Alberto Oliva, mettendo in scena la pièce a Milano al teatro Libero, ha scelto di utilizzare suoni e rumori come se fossero scenografia. Parigi, con le sue strade e il metrò, prende vita, diventa quella città che ormai il protagonista sente ostile e per gli spettatori diventa quella scenografia che ognuno può immaginare, esaltando l’essenza del teatro che stimola il coinvolgimento del pubblico. Dunque non è una tecnologia che stravolge il teatro, che lo limita o lo rende adatto a un pubblico che ha accantonato l’immaginazione e la capacità di coinvolgimento: è solo un modo per rendere possibile quanto le dimensioni di un palcoscenico impedirebbero.

Il Discorso del Re | Osservatorio Digitale

Un modo per esaltare. Ma anche uno strumento per accrescere il significato di quanto lo spettatore sta vedendo. È il caso de “Il discorso del re”, andato in scena a Milano al Teatro Franco Parenti, dove protagonisti sono colui che diventerà re d’Inghilterra con il nome di Giorgio VI e il suo logopedista, che da anni lo segue per fargli superare il problema della balbuzie, in scena due strepitosi Filippo Dini e Luca Barbareschi. Che il primo non riesca a non balbettare è diventato un vero problema in un’epoca in cui il popolo ha del monarca non solo una visione sulle monete, come era stato fino ad allora, e invece può sentirlo per radio e ancora una volta la tecnologia diventa importante e sulla scena ha un ruolo primario. Insieme, in scena appaiono i video. Sono i cinegiornali dell’epoca: prima il funerale di re Giorgio V, poi altri momenti fino ai proclami di Hitler e le prime pagine dei giornali, che annunciano l’entrata in guerra della Gran Bretagna. Non sono mai filmati fini a se stessi: rendono invece evidente perché è così importante che Albert, chiamato familiarmente Bertie dal suo logopedista, diventato re Giorgio VI (con uno dei suoi tanti nomi meno tedesco del primo) dopo l’abdicazione del fratello, non balbetti. Attraverso la radio il popolo inglese può sentirlo e diventa fondamentale che il re sappia infondergli fiducia e certezze con un discorso intenso, pronunciato in modo carismatico. Ma sono proprio i video a far capire la drammaticità degli eventi e a far vivere quell’epoca, di cui il pubblico di oggi non può che avere delle informazioni mediate dai libri di storia. E capendo l’epoca storica diventa evidente l’importanza di quanto raccontato: non un semplice aneddoto poco conosciuto, ma un momento storicamente rilevante, perché non sarebbe stato possibile chiedere agli inglesi di affrontare una guerra, e infondergli la fiducia necessaria, balbettando.

Meglio dunque non considerare il video come un elemento fuori luogo. A patto, naturalmente, di inserirlo in scena con una valida motivazione e senza mai dimenticare la qualità: i tempi attuali non lo consentono.

(data di pubblicazione: novembre 2013)

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