La Torre nacque nel 1921, in una di quelle famiglie italiane in cui l’arte era di casa, la si respirava tutti i giorni. Era figlio d’arte: suo nonno, Enrico Valenziani, fu uno dei padri della fotografia italiana; non solo, il padre, Ferdinando La Torre, era autore di varie opere fra cui un famoso studio su Papa Alessandro VI Borgia e la madre, Maria Gabriella, era ceramista, pittrice e stilista di foulards per Hermès, mentre la sorella Nicoletta creava per Pierre Cardin. Insomma, il talento artistico era una dote di famiglia ma Fabrizio La Torre, nel corso della sua vita, rispetto alle capacità artistiche dei suoi familiari si è sempre sentito meno talentuoso e ha preferito semplicemente seguire un desiderio personale: fissare sulla pellicola scene, espressioni, ambienti, atmosfere, che sapeva essere sul punto di sparire, travolti dall’avvento della modernità. Come lui stesso ha affermato durante la preparazione di questa esposizione, con il suo lavoro ha “solo” voluto essere un imparziale “testimone del suo tempo”.
Come spesso si dice: “nemo propheta in patria”; e questo vale anche per Fabrizio La Torre. Alzi infatti la mano chi ne aveva sentito parlare e chi conosceva il suo lavoro. Io stessa, quando ho visto il manifesto dell’esposizione, mi sono recata immediatamente a visitarla con la curiosità di conoscere chi era La Torre e quali fossero le sue fotografie. E mi sono trovata davanti un mondo! Un mondo che non conoscevo, così come non sapevo nulla della storia di questo fotografo.
Visitando le sale ho scoperto che La Torre ha svolto un notevole lavoro fotografico negli anni 1950-60 e le sue opere venivano pubblicate ed apprezzate ma poi, intorno al 1970, per motivi ancora oggi non chiari, lo stesso La Torre decise di punto in bianco di interrompere il suo lavoro, di chiudere i suoi archivi e di non mostrare più nulla a nessuno.
Solo nel 2009 una persona a lui vicina riuscì a convincerlo a riaprire i suoi raccoglitori e ad accettare lo sguardo altrui. Da quel momento iniziò un prezioso lavoro di restauro che si svolse a Bruxelles con la collaborazione di Fabrizio La Torre in persona. Nel 2010 fu organizzata una prima mostra a Parigi, all’Istituto Italiano di Cultura, poi una al Museo d’Arte Moderna di Ixelles, nel 2011. Tutte queste presentazioni riguardavano però solo le fotografie su Roma.
L’esposizione ospitata nel Principato presenta invece tutti i tre, diciamo così, “capitoli” principali dell’opera di La Torre: Roma, naturalmente, ma anche l’America del Nord (dove soggiornò per sei mesi nel 1955-56) e l’Asia (dove visse per cinque anni, dal 1956 al 1961).
Roma fu il primo luogo che volle indagare. Dopo gli anni del Fascismo e dell’occupazione nazista, dopo la liberazione americana e durante la lenta ricostruzione, la città eterna sembrava ancora assopita, tranquilla, e i pedoni erano i re della strada.
Come raccontano i curatori della mostra, “La Torre soleva percorrere i vicoli del centro storico alla ricerca della vita vera che vivevano i romani, lontano dagli strass e dai lustrini di quella 'dolce vita' che Fellini e gli altri grandi cineasti italiani, in quello stesso periodo, stavano rendendo celebre in tutto il mondo. Da un lato quindi via Veneto, il mondo magico e scintillante del cinema, delle stelline e dei paparazzi; dall’altro i romani, seduti a leggere i giornali su monumenti di tremila anni fa, o il cocchiere che accetta di fermarsi un attimo per permettere ai ragazzini che giocano in strada di assaltare la diligenza, o il 'pappagallo' impomatato, che non si stanca mai di provocare la massima indifferenza della bella di turno apostrofata lungo la strada”.
I romani convivono da sempre con i fasti del Vaticano e ne sono assuefatti, e da questo nasce una strana relazione che, senza escludere la fede e il rispetto, presenta però anche uno sguardo un po’ disincantato venato da un tocco di umorismo. Quest’atmosfera traspare tutta nelle foto che La Torre scattò a San Pietro cogliendo attimi e situazioni in bilico fra il sacro e il profano.
Interessantissima la sezione dedicata alla famosa nevicata del ’56 ma sicuramente, a mio avviso, le fotografie più poetiche sono quelle dell’Asia e in particolare Bangkok: guardando quegli scatti ci si ritrova catapultati in una città che sembra sognata e che è lontana anni luce dalla realtà attuale.
Negli ultimi giorni dell’agosto di quest’anno, mentre venivano ultimati i preparativi per questa retrospettiva, il cuore di Fabrizio La Torre ha cessato di battere. Aveva 93 anni e sapeva di essere malato, ma ha sperato fino all’ultimo di poter presenziare al vernissage. Ora è sepolto al cimitero di Cap d’Ail, nella tomba di famiglia, ma a me piace ricordarlo con l’immagine evocata da una delle sue foto più belle (che lui stesso aveva scelto per chiudere la mostra): quella della giunca che veleggia verso il largo mentre un raggio di sole squarcia le nubi. Mi auguro che il suo “viaggio” sia così, con la stessa luminosa serenità che evoca quello scatto e mi auguro anche che l’Italia gli dedichi in futuro una retrospettiva bella almeno quanto quella che gli ha dedicato il Principato di Monaco in questi giorni.
Fabrizio La Torre: Il mondo degli anni ‘50
24 settembre – 19 ottobre 2014
4 Quai Antoine 1er
Monaco 98000
Tel. +377 9898830
(data di pubblicazione: ottobre 2014)