Taccuino

Alla scoperta (di spazi e tempi lontani)

Valeria Prina

Alcune mostre ci portano alla scoperta di tempi e luoghi più o meno lontani, come itinerari storici e geografici. Tra queste, le mostre dell’Archivio Marubi, di Rodchenko, Fabiano Ventura, Paolo Gotti, Massimiliano Camellini, Massimo Baldini.

La fotografia come strumento. Questa volta ci guida alla scoperta di storie ormai lontane e di una geografia umana: tempi e luoghi insieme. Lo permettono alcune mostre aperte in questi mesi, in varie parti d'Italia. In alcuni casi saranno delle scoperte o delle rievocazioni di fotografi famosi, come nel caso di Rodchenko, mentre una opportunità completamente diversa è offerta dalla Triennale di Milano, dove sarà possibile scoprire la fotografia in Albania nel secolo scorso attraverso l'Archivio Marubi, ben conosciuto anche dai nostri lettori. Infatti chi scrive queste note ne aveva parlato ampiamente nel numero di settembre 2014, dedicando il Taccuino proprio a questo argomento.

Il confronto fotografico tra la situazione nel 1931 documentata da Alberto De Agostini e quella del 2016 nello scatto di Fabiano Ventura testimonia il drammatico arretramento del ghiacciaio Upsala in Argentina

È una vera scoperta che affianca entrambi gli aspetti - storico e geografico - quella che ha proposto la mostra “Sulle tracce dei ghiacciai”, allestita presso il Palazzo Ducale di Genova in occasione del Festival della Scienza. Anche se ha chiuso il 4 novembre, quello che ha permesso di capire risulta decisamente allarmante. Le immagini di Fabiano Ventura raccontano infatti gli effetti devastanti sulla natura causati dalla scarsa attenzione all'ambiente: è possibile vedere come nell'ultimo secolo i ghiacciai si siano ritirati. La comparazione fotografica unita alla ricerca scientifica analizza gli effetti dei cambiamenti climatici avvenuti durante l'ultimo secolo partendo dall'osservazione delle variazioni delle masse glaciali sulle catene montuose più importanti del Pianeta - Karakorum, Caucaso, Alaska, Ande e Himalaya - per arrivare sulle Alpi nel 2020.

« Il nostro principale obiettivo - spiega Fabiano Ventura, direttore del progetto - è diffondere una maggiore consapevolezza ecologica, utilizzando il confronto fotografico come strumento che coniuga la forza comunicativa delle immagini con il rigore della ricerca storica e scientifica.

Gli scatti testimoniano infatti l'arretramento dei più grandi ghiacciai montani della Terra e, uniti ai dati scientifici rilevati, forniscono un'idea immediata delle straordinarie variazioni climatiche che il nostro Pianeta sta vivendo e l'urgenza di compiere azioni che ne limitino le conseguenze». La sponsorizzazione della mostra da parte di Epson dimostra anche quanto sia importante l'attenzione all'ambiente da parte delle aziende. Ed è una attenzione che si ripeterà tangibilmente nel 2019 grazie al calendario Epson firmato dallo stesso fotografo Fabiano Ventura.

Ancora l'ambiente con il titolo l'equilibrio sottile è stato scelto come protagonista del festival di fotografia “Fotografica” in programma a Bergamo fino all'11 novembre.

Kel Marubi, la famiglia di Sadri Keçi, senza data (dall’Archivio Marubi)

Una scoperta con risvolti storici e geografici è proposta da “L'Archivio Marubi. Il rituale fotografico”, la mostra in programma dal 16 novembre al 9 dicembre a Milano alla Triennale, nata dalla collaborazione tra il Museo di Fotografia Contemporanea e la Triennale stessa. Racconta l'Albania e come la sua storia è stata documentata da una famiglia di fotografi.

Capostipite è Pietro Marubi, giovane garibaldino piacentino che, con un percorso di emigrazione al contrario per scappare dall’occupazione austro-ungarica, nel 1850 arriva a Shkodra (Scutari) dove apre il primo studio fotografico d’Albania. Da allora, prima lui e poi i suoi seguaci, che lui aveva adottato non avendo figli propri, continuano nell’attività, lasciando una documentazione decisamente ampia della vita albanese. I nostri lettori, come dicevamo nelle righe precedenti, hanno potuto leggere la storia della fotografia in Albania e dello studio Marubi grazie al servizio pubblicato nel settembre 2014 realizzato da chi scrive queste note. Un paio di anni dopo, nel 2016, è stato inaugurato il Museo Marubi, che raccoglie un archivio di oltre 500.000 negativi. Di questi, 170 immagini sono ora in esposizione grazie alla selezione curata da Zef Paci.

Foto di Alexander Rodchenko

Un altro salto indietro nel tempo, attraverso le immagini di un autore più noto al grande pubblico, è proposto con la mostra “Alexander Rodchenko Revolution in photography” a Senigallia presso Palazzetto Baviera. Fino al 20 gennaio 2019 è possibile vedere 150 immagini realizzate tra gli anni ‘20 e ‘30, che danno uno spaccato del mondo sovietico - architettura, vita nelle città, urbanizzazione e modernizzazione - attraverso la particolare visione del fotografo, esponente di spicco dell'avanguardia russa del XX secolo.

«Nella sua pratica – si legge nella presentazione della mostra di Rodchenko - l’artista imposta un rapporto documentario con la realtà, ma ne altera l’obiettivo e lo sguardo per una resa estetica dai tratti astratti o fortemente poetici: la composizione diagonale da lui scoperta, la prospettiva scorciata, l’ingrandimento dei dettagli, i punti di ripresa dal basso verso l’alto e viceversa, hanno dato forma a uno stile e a un linguaggio visivo del tutto unico, che ha lasciato il segno nella storia della fotografia».

Cina 1978 Appunti di viaggio. Foto di Paolo Gotti

Un passo indietro nel tempo e nella storia, alla scoperta di un mondo che, soprattutto allora, era ben poco vicino è quanto propone la mostra “Cina 1978 Appunti di viaggio”. Presso la Temporary Gallery di Paolo Gotti a Bologna dal 16 dicembre al 31 gennaio sarà possibile scoprire una Cina lontana sotto tutti i punti di vista fotografata una quarantina di anni fa da Paolo Gotti.

Le immagini in mostra in via Santo Stefano sono il risultato di un viaggio di inchiesta organizzato dall'Istituto politico culturale Edizioni Oriente di Milano nel luglio 1978 alla scoperta del Paese, partendo dalla capitale Pechino verso il Nord. Quegli anni segnavano la fine della Rivoluzione culturale lanciata da Mao nel 1966 in un momento in cui molto stava cambiando con l'arresto della “Banda dei quattro”. Paolo Gotti con quel reportage aveva puntato l'obiettivo - un obiettivo dallo sguardo occidentale - verso la gente in un momento in cui il modo di vivere dei cinesi era molto lontano da noi. Le immagini rappresentano dunque una vera scoperta da un punto di vista storico e geografico.

Foto di Massimiliano Camellini

È invece una immersione in un tempo e in un mondo più vicini a noi (ma solo in parte) quella che propone la mostra “Ore 18.00 l'orario è finito”, esposta a Torino presso il bookshop della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo dal 18 gennaio al 17 febbraio 2019. Si tratta del progetto fotografico realizzato da Massimiliano Camellini nell'antico Cotonificio Leumann di Collegno, in provincia di Torino, al centro dell’innovativo villaggio operaio che l'industriale Napoleone Leumann fece costruire attorno all'opificio tra fine Ottocento e inizio Novecento: «Un esperimento imprenditoriale illuminato – si legge nella presentazione della mostra - che si faceva carico della riproduzione delle stesse risorse sociali sulle quali la fabbrica incideva. Il progetto fotografico racconta la fine dell'era industriale in Europa, l'epilogo di un sogno basato sull'espansione manifatturiera e il suo welfare e che a suo tempo non aveva fatto i conti con la globalizzazione. Le immagini sono state realizzate dal 2010 al 2012 e raccontano la presenza dei lavoratori che hanno vissuto la fabbrica e che l'hanno lasciata varcando per l'ultima volta quei cancelli nell'aprile del 2007, quando fu chiusa per sempre. Ogni cosa era stata lasciata al suo posto, quasi a significare che la cessazione dell'attività fosse stata improvvisa. Le immagini ricostruiscono l'ultimo giorno di lavoro, quel momento quando la fine dell'orario lavorativo (18.00) ha coinciso con la fine di un'epoca».

Foto di Massimo Baldini. Museo  della  Fisarmonica a Castelfidardo  (Ancona),  2017

Un sapore storico e il gusto per la scoperta di luoghi poco noti ha ispirato il lavoro di Massimo Baldini. È ora possibile vederlo in una mostra esposta a Bologna alla Fondazione Carlo Gajani dal 9 al 22 novembre. Il titolo “A Tour not so Grand” evoca un prestigioso passato e insieme lo nega, perché appare chiaro il riferimento ai grandi viaggi del passato che portarono personaggi famosi alla scoperta dell'Italia secondo un tour di rilievo culturale. Il titolo però rimanda a tappe che, pur avendo un importante rilievo culturale, non sono altrettanto famose: soggetto delle foto sono musei di provincia, luoghi inusuali, nascosti, spesso dimenticati dalle guide turistiche. Ma sono tutti luoghi che hanno sorpreso Massimo Baldini, che a sua volta ha voluto coinvolgere nella sua sorpresa anche gli osservatori, attraverso le fotografie.

La fotografia dunque questa volta, attraverso le mostre in varie località italiane, ci porta alla scoperta di mondi e tempi lontani, non sempre quantificabili in numero di anni.

Data di pubblicazione: novembre 2018
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