Through My Eyes

La mia Norvegia - una terra selvaggia

Erik Colombo

La Norvegia è sicuramente una delle mete più ambite dai fotografi paesaggisti. Il fascino dell’aurora non ha pari e l’emozione di immortalare sulla propria scheda di memoria quelle luci danzanti spinge le persone di tutto il mondo, ogni anno, a farsi migliaia di chilometri per provarci, me compreso. Oggi vi parlerò del mio viaggio in Norvegia, una terra severa, ma capace anche di accoglierti a braccia aperte.

 Nusfjord, Norvegia ©Erik Colombo per osservatoriodigitale di marzo-aprile 2020, n.o 103

La Norvegia è sicuramente una delle mete più ambite dai fotografi paesaggisti. Il fascino dell’aurora non ha pari e l’emozione di immortalare sulla propria scheda di memoria quelle luci danzanti spinge le persone di tutto il mondo, ogni anno, a farsi migliaia di chilometri per provarci, me compreso. Oggi vi parlerò del mio viaggio in Norvegia, una terra severa, ma capace anche di accoglierti a braccia aperte.

Partiamo da Milano Malpensa destinazione Reine, facendo scalo a Bodø prima di intraprendere una traversata con un traghetto di notte. Sbarchiamo a Reine nel bel mezzo della notte e veniamo accolti da una tempesta di neve, troppo stanchi per fare qualsiasi altra cosa decidiamo di andare a farci una doccia e dormire: qui inizia il vero viaggio. La mattina successiva, riposati e dopo una buona colazione, decidiamo di metterci in auto per andare a visitare il piccolo paesino di Nusfjord, un caratteristico agglomerato di casette rotte che ornavano il fiordo come le perle di una collana. Ma siamo al Nord, e il clima non esita a ricordarcelo. Sotto una pioggia di neve e di ghiaccio decidiamo di scendere e esplorare il paese per trovare gli scorci fotografici migliori e così fu. Prendemmo posizione, ed aspettammo. Dopo quasi quarantacinque minuti finalmente le nuvole iniziarono a diradarsi e dei raggi di sole illuminarono le casette rosso cremisi, fu un momento mistico, come se il tempo non avesse intaccato la sacralità del luogo, ma mai adagiarsi sugli allori, infatti tempo neanche quindici minuti e il tempo mutò ancora, ritornando a nevicare. Feci in tempo comunque a ottenere lo scatto perfetto. (vedi foto di apertura).
Sulla strada del ritorno ci fermammo o meglio, si fermarono, a Reine sul classico ponte ad aspettare il tramonto, io non lo feci. Fotografia è un’arte, e se devo farmi quasi duemila chilometri per avere tre cavalletti vicini che toccano il mio, preferisco inventarmi dell’altro. Per chi mi ha seguito su instagram (@erikcolombophotographer) avrà sicuramente visto i backstage: io che molto goffamente scendo tra neve, sassi e arbusti per arrivare sulla riva del fiordo e staccarmi dalla massa dei fotografi, in fila come soldati a una dimostrazione militare pronti a fotografare il tramonto.

Trovai una composizione molto interessante, utilizzando le rocce e la vegetazione salmastra della riva, includendo le casette rosse e le montagne. Una vista insolita, una fotografia, posso dire con fierezza che quel tramonto da quel punto in riva al fiordo l’ho vissuto solamente io. La notte non fu da meno. Come immersi in una fiaba la sera sfidammo le condizioni meteo, fiduciosi della mutevolezza del clima, e decidemmo di tornare ad una spiaggia che avevamo intravisto nel nostro viaggio verso Nusfjord, ma che purtroppo non abbiamo goduto per via della tempesta, ma non appena varcammo il ponte di Reine con l’intento di superare Hamnøy e dirigerci verso Skagsanden...

Il cruscotto della nostra auto a noleggio divenne verde, e in un secondo ci guardammo stupiti ma consci di quello che stava per succedere, alzammo lo sguardo al cielo e la vedemmo: come una ballerina in una lunga veste turchese dalle sfumature verde acqua, danzare appena sopra di noi. Fermammo l’auto in una piazzola prima di Hamnøy e io feci un timelapse, dal quale ho estrapolato questa fotografia ma non finì qui.

Hamnøy, Norvegia foto 2 ©Erik Colombo per osservatoriodigitale di marzo-aprile 2020, n.o 103

Era presto quando il cielo decise di chiudere il sipario dello spettacolo, allora decidemmo di intraprendere il viaggio rispettando al nostra tabella di marcia, ma Skagsanden era inavvicinabile. Arrivammo nel parcheggio della spiaggia, ma quasi non riuscimmo a scendere dal veicolo data la forza del vento e della neve che correva con lui. Ma se c’è vento c’è speranza. Cambiammo valle, ci inoltrammo nell’entroterra, la costa quella sera ci aveva già regalato soddisfazioni e sembrava voler riposare.
Improvvisamente, dopo una serie di curve non molto semplici data la neve, il nostro sguardo cadde su una pianura sconfinata, una strada che percorreva chilometri fino all’orizzonte, e una pace surreale. Ci fermammo: l’attrezzatura andava pulita, la mia lente era completamente coperta di neve e la mia Canon sembrava essere caduta in mare, ma neanche un segno di cedimento, veramente soddisfatto della mia EOS 5D Mark IV, la consiglio per ogni tipo di escursione, dai +40 ai -15 sotto acqua, vento e neve, compagna di viaggio più fedele non c’è.
Scusate la digressione, dicevamo, accostammo in una piccola piazzola ai margini della carreggiata e qualcosa attirò subito la mia attenzione. Come un riflesso del terreno, in cielo un qualcosa creava una strada di luce che percorreva parallela il tragitto della strada asfaltata, ma era leggermente diverso, era aurora boreale rossa, molto più rara delle Northern Lights verdi generiche.

Presi subito il mio cavalletto e lo piazzai al centro della strada, non avevo molto tempo a disposizione e un po’ mi dispiacque, cercai di creare una simmetria nel primo piano sfruttando i margini della strada e degli alberi adiacenti a essa e realizzai anche qui un timelapse dal quale ho estrapolato la seguente fotografia.

Aurora boreale, Norvegia ©Erik Colombo per osservatoriodigitale di marzo-aprile 2020, n.o 103

Il maltempo ci inseguì anche in questa vallata, quindi stanchi ma soddisfatti decidemmo di tornare al campo base, per una bevanda calda, un piatto di pasta e una dormita. Questo fu il mio primo giorno nelle Lofoten, un benvenuto caloroso e gelido, dove per ogni due ore di maltempo seguiva un quarto d’ora di meraviglia, ma quel quarto d’ora vi garantisco può valere mesi interi. 
Il giorno successivo la Norvegia ci ricordò che non è sempre tutto rose e fiori, specialmente in questo lavoro. La giornata venne trascorsa in casa, mi dedicai ai backup delle schede sul mio hard disk, abbozzai qualche idea di post-produzione ma niente più, fino alla sera. Le previsioni dell’aurora tramite l’App Aurora Forecast davano un’intensità di kp5 e un flebile spiraglio nel cielo dalle 01:00 alle 03.00, era la nostra occasione. Dopo una cena sostanziosa e qualche ora di dormita ci mettemmo in auto, direzione Skagsanden, vi ricordate?

La spiaggia sulla quale la tempesta sembrava danzare incessantemente. Arrivati sul luogo poco dopo l’una la tempesta non accennava a smettere, ma fiducioso scesi dall’auto alla ricerca di una composizione che potesse rendere giustizia a quella maestosa spiaggia, in linea con le mie aspettative. Trovai una bella formazione di ghiaccio sulla sinistra che entrava tramite una diagonale dinamica e una formazione sabbiosa sulla destra, molto simile ad una foce di un piccolo ruscello, e posizionai l’attrezzatura. Tolsi il tappo protettivo della lente solamente per comporre, realizzai gli scatti del primo piano con focus stacking, rimisi il tappo ed aspettai, la tempesta non accennava a placarsi. Dopo quasi quarantacinque minuti di freddo, acqua e neve si alzò il vento e li capii che c’era speranza. Nel cielo un leggero bagliore verde acqua iniziava a palesarsi, le nuvole correvano veloci lasciando spazio ad un tappeto di stelle. L’aurora anche questa sera fu spettacolare, molto intensa ed emozionante. Nella mia fotografia però non volevo una spiaggia candida che specchiasse un cielo limpido, non l’avevo vissuta così io.
Aspettai ancora, finchè la tempesta non sopraggiunse di nuovo, e li realizzai il mio scato. Il connubio perfetto tra tempesta e calma, tra poesia e caos, così vissi Skagsanden e così l'ho voluta ricordare.

Skagsanden, Norvegia ©Erik Colombo per osservatoriodigitale di marzo-aprile 2020, n.o 103


Il giorno successivo trovammo il sonno in una fredda mattinata dove il sole sembrava troppo timido per sorgere così sono stato davvero contento di dormire un po’, la stanchezza iniziava a farsi sentire. Il pomeriggio il cielo si aprì completamente e decidemmo di andare verso Haukland Beach e Utakleiv. Dopo quasi un’ora e mezza di strada arrivammo in questa spiaggia che per molti versi mi ricordò Skagsanden, ma sicuramente più ospitale. La spiaggia era divisa in due parti da un serpentello d’acqua che sfociava in mare, e dove c’è un corso d’acqua, ci sono primi piani strepitosi. Dopo una ricognizione andata a buon fine, misi il mio cavalletto nella sabbia bagnata che ornava il letto del ruscello, e realizzai una composizione verticale che incarna perfettamente la mia idea di Haukalnd Beach: un gioco di linee e sentieri che portavano all’orizzonte, il tutto durante un tramonto molto generoso da una terra che tanto sa dare, e tanto sa togliere.

Haukalnd Beach, Norvegia ©Erik Colombo per osservatoriodigitale di marzo-aprile 2020, n.o 103

Anche qui presi una carezza e uno schiaffo, morale ovviamente. Appena terminato il tramonto ad Haukland Beach, anche se la seconda location era distante solamente qualche minuto di distanza non la raggiungemmo mai, il cielo si coprì completamente, quasi a proteggere il mito della durezza del clima nordico, ma bisogna sempre guardare il bello della natura, mai il suo essere severa. Abbiamo appena superato la metà della nostra vacanza, quando due giorni di tempesta di abbattono su tutte le Lofoten, traghetti sospesi, ponti chiusi e rischio a stare fuori dalle proprie abitazioni per il forte vento, un duro colpo per il morale e per la mia voglia di avventura, ma come diceva Branduardi “sii laudato per frate vento, aria nuvole e maltempo, che alle tue creature da sostentamento” bisogna amare ogni aspetto della natura.

Fotografia di paesaggio non è solamente bei tramonti, notturne limpide e albe mozzafiato: è anche sofferenza, attesa, aspettative deluse e tanto maltempo, ed è giusto così, ed è bello. La vacanza era quasi giunta al termine, quando le previsioni meteo riaccesero una speranza in me, uno spiraglio in quel cielo gelido dalle 06:00 alle 09:00 del mattino, significava solamente una cosa nella mia testa: alba ad Hamnøy. Armati di buona speranza e un mix di speranza e paura di una delusione, andammo sul ponte che collega Hamnøy a Reine, una fotografia molto da cartolina, ma che chiunque dovrebbe avere nel proprio corredo. Iniziai a realizzare un timelapse per documentare quella meraviglia, dovetti legare il cavalletto alla ringhiera del ponte, il forte vento spostava le gambe di un cavalletto come se fosse una margherita in un campo. Il meteo sembrava averci mentito: la pioggia e la neve non cessarono neanche un minuto, fortunatamente il vento però ci massaggiava le spalle, proteggendo la lente dalle intemperie, bisogna sempre guardare il lato positivo delle cose no? Mancavano pochi ticchettii alle otto, l’orario dell’alba. La golden Hour era un ricordo lontano, nascosta dietro le nuvole grigie come il mio umore. Quando improvvisamente in una decina di minuti uno spiraglio squarciò il velo di nuvole, un raggio di sole uscì prepotente per illuminare il caratteristico villaggio di Hamnøy, fu uno spettacolo. Ma la mia sete di creatività non venne a pieno soddisfatta, non amo condividere le mie emozioni con altri quaranta cavalletti, e quaranta non è un numero con puri riferimenti casuali. Decisi di fare la pazzia, scesi sugli scogli. Il vento tirava forte, le onde erano cariche di una rabbia antica, e ogni tre scatti ero costretto a scappare indietro per evitare di venire ulteriormente lavato. Ma da la sotto tutto sembrava più calmo nonostante il rumore fragoroso del mare, tutto sembrava più intimo, più mio. Le persone litigavano per guadagnare qualche centimetro in più per posizionare il loro cavalletto più saldamente su un ponte in cemento, quando io su quegli scogli freddi levigati dal vento norvegese ero così a mio agio che non smettevo di sorridere. Immortalai ancora una volta un’alba unica, non per la bellezza del luogo o delle condizioni, ma perchè in quel punto, da quella prospettiva, nessun altro fece una fotografia.

Hamnøy, Norvegia ©Erik Colombo per osservatoriodigitale di marzo-aprile 2020, n.o 103

Spesso la paura di staccarsi dal gregge rende le persone cieche, la paura di non portare a casa nessuna fotografia da postare su qualche stupido social e non ricevere la propria dose di like spaventa troppo. A me l’unica cosa che spaventa è che la mia fotografia possa omologarsi in questa era digitale, dove tutti credono di essere migliori di altri, in questa ricerca continua di un tramonto mozzafiato su composizioni mediocri trite e ritrite, la mia più grande paura è di non riuscire a esprimere la mia arte per paura di allontanarmi dal porto. Spesso mi viene chiesto quale sia il mio rapporto con la fotografia e come ho fatto ad arrivare fin qui, anche se io mi sento solo all’inizio di una scalinata della quale non vedo la fine, anche se riconosco di aver fatto qualche gradino, certamente. Il mio rapporto con la fotografia di paesaggio è solamente un rapporto di reciproca espressione, la natura offre, io raccolgo, come un contadino. 


Il mio viaggio in Norvegia di conclude qui, i successivi due giorni sono stati spesi in auto, data la soppressione dei traghetti causa maltempo. Posso però dirvi sin d'ora che a ottobre tornerò con un tour in Norvegia a visitare questi meravigliosi posti, per informazioni contattatemi pure alla mia mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.; è stato un viaggio dove ho imparato tanto e che mi ha riempito il cuore. Amo il nord e sento di appartenere in qualche modo a quelle terre. 

Vi ringrazio come sempre per l’attenzione e spero che il mio viaggio vi sia piaciuto, a presto, il vostro Erik.

 

Data di pubblicazione: marzo-aprile 2020
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