Cosa fa una fotografa a Roma? Scatta foto, ovviamente.
Questa però è una delle città più fotografate al mondo e ci sono giorni in cui la consapevolezza di ciò mi crea frustrazione, lo confesso. Voglio dire: fotografare un luogo già fotografato da altri, qualche volta, provoca un senso di inadeguatezza. Tempo fa, durante uno di questi "momenti no", facendo una mia passeggiata romana con il naso in aria e la testa presa da mille pensieri sulla probabile inutilità delle foto appena scattate, mi sono imbattuta nella vetrina di un negozio che ha attirato la mia attenzione.
Avvicinandomi ho guardato meglio e mi sono resa subito conto che in realtà definirlo negozio era improprio, era più una galleria d'arte; poi, entrando, mi son detta che no, non era nemmeno una galleria o comunque anche il termine "galleria" risultava riduttivo, si trattava piuttosto di un archivio, un archivio fotografico. In ogni caso, cosa fosse fosse, era un luogo che mi faceva sentire come Alice nel Paese delle Meraviglie (e sfido qualunque fotografo, professionista o amatoriale, a non sentirsi così mettendo piede in quel posto).
Il nome ufficiale è "Il Piccolo Museo del Louvre", in via della Reginella n.28, nel cuore del ghetto di Roma, ed è gestito da Giuseppe Casetti che lo ha aperto nel 1995. Lo spazio è diviso in due locali, contigui ma indipendenti: quello principale ha libri d'antiquariato, cartoline, ex-libris, autografi, opere collegate alla cultura del secolo scorso, e a fianco c'è il locale, molto più recente, che ospita più di trentamila immagini, quasi tutte vintage print, di diverso genere, dal reportage alla moda, dalle foto di scena alle immagini amatoriali: insomma, c'è il luogo delle meraviglie. Ripercorro con voi quell'incontro, così, come l'ho vissuto.
Chiacchierando amabilmente con Giuseppe, quel giorno mi si è aperto un mondo. "Il nome è giocosamente altisonante, volutamente surrealista", mi dice, indicandomi una sedia e parlando con voce bisbigliata, a sottolineare la sua innata timidezza.
Gli domando cosa lo ha spinto a raccogliere tutti gli album di foto intorno a me. "Fin da ragazzo ho amato molto la fotografia. Io nasco come libraio antiquario, ma per le foto ho sempre avuto una profonda passione. La foto si lascia guardare e ti permette la contemplazione ma senza essere invasiva, il che, per un timido un po' nevrotico come me, è fondamentale. Da studente le pareti della mia stanza erano ricoperte di immagini ritagliate dai giornali perché non potevo permettermi di acquistare fotografie vere e proprie, poi, col passare del tempo, ho potuto effettuare qualche acquisto e alla fine, negli anni, ho raccolto un numero molto vasto di foto, quelle che vedi qui. Tutto comunque è nato da una mia passione, anzi, diciamola tutta, da una mia vera e propria perversione: giornate intere trascorse in giro fra i mercatini in cerca di scatti, anche e soprattutto anonimi, fatti da gente comune a gente comune. Ho cercato di seguire dei filoni, ad esempio, per un periodo ho cercato fotografie di gente che saltava, poi che ritraessero persone con alle spalle un monumento di Roma, poi nudi di donne scattate da fidanzati o amanti, perché sai, il nudo fatto da un comune innamorato offre molto di più di un nudo artistico scattato da un professionista, mette in risalto l'amore, il sentimento, il desiderio carnale che chi fotografa prova per la donna che sta ritraendo. Ti regala una carica erotica che una foto di nudo di studio non raggiungerà mai".
Mentre parla mi mostra alcuni di questi nudi e guardandoli mi rendo conto che ciò che dice è vero, quelle fotografie evidenziano imperfezioni del corpo che una modella non ha, ma proprio questa naturalezza offre il polso dell'amore che chi ha scattato ha provato per la donna che amava e che desiderava carnalmente in quel momento e quel momento e quel desiderio sono ancora lì, vivi e imprigionati per sempre nel qui ed ora dello scatto e l'erotismo emanato tocca le corde dell'anima, cosa che un nudo d'autore non riesce a fare, proprio per la sua perfezione, sia estetica che tecnica.
Il piccolo Museo del Louvre ha sempre curato anche mostre fotografiche e Giuseppe può vantar di diritto di esser stato uno dei primi a lanciare addirittura una fotografa come Francesca Woodman (l'ho detto fin dall'inizio che il suo è il paese delle meraviglie per un amante della fotografia). Vedo alcune foto che riconosco essere della Woodman e così domando. Giuseppe esita un po' e io scopro che lui è stato molto amico di Francesca nel periodo che lei trascorse a Roma. "Quando avevo la libreria 'Maldoror', insieme a Paolo Missigoi, abbiamo curato la prima mostra personale di Francesca". Si alza, apre una vetrinetta e mi mostra la cartolina di un boxer, la gira e me la legge, poi me la porge e mi permette di fotografarla e mi accorgo di avere tra le mani una vera chicca per chiunque, come me, ami la Woodman. Quella cartolina rivela la vera Francesca, allegra, giocosa, spiritosa e ancora alle prime armi, ma già creativa e artista a tuttotondo. La cartolina la spedisce, diciamo così, il cane di Francesca al cane di Giuseppe e lo invita a dire al padrone di ospitare la personale della sua padroncina, insomma è un vero divertissement letterario.
Parlando con Giuseppe ci si rende conto che è un artista lui stesso e, come tutti gli artisti, crea per passione. "In tutte le mie scelte fotografiche sono stato spinto dalla ricerca di qualcosa che mi emozionasse e mi divertisse al tempo stesso, non ho mai fatto nulla che non fosse mosso prima di tutto dal divertimento, se non mi diverto le cose non mi riescono. La mia mostra 'Identificazione', ad esempio, la allestii perché a Porta Portese avevo trovato un intero sacco di foto identificative che arrivavano direttamente dagli archivi della Polizia, capii subito che avevo davanti un vero 'tesoro' e così decisi di esporlo al pubblico. Il risultato fu che nel giro di pochi giorni dall'apertura mi ritrovai con due auto, una dei Carabinieri e l'altra della Polizia, qui davanti, a sirene spiegate, che mi confiscarono il tutto e mi fecero chiudere. Ora la vicenda giudiziaria si sta concludendo e posso dire di essermi divertito molto".
Sfoglio il catalogo della mostra "confiscata" e mi accorgo di essere anche in questo caso dinanzi a qualcosa di unico. Ma di pezzi unici questo posto è pieno, nonché di opere che possono tranquillamente esser definite d'arte, come ad esempio la raccolta di foto tessera che campeggia su una delle pareti, in alto. Giuseppe mi spiega che aveva avuto l'idea di fotografare le persone che venivano a visitarlo, sia illustri sconosciuti, sia personaggi famosi, e di assemblare poi tutti quei visi uno accanto all'altro per raccoglierli insieme e farne un'altra mostra, che poi però non fece. "Una mattina mi accorsi che la cosa non mi divertiva più e così smisi, però avevo raccolto un bel po' di materiale e decisi comunque di non sprecarlo". Infatti molte di queste foto tessera ora sono tutte radunate in un'unica grande cornice che affianca persone comuni a personaggi più o meno conosciuti dell'ambiente artistico e culturale romano, come Giosetta Fioroni, Fulvio Abbate o Mario Schifano, che spicca nell'unica foto in bianco e nero presente in quella collezione, unica, com'era unico lui.
"Ma com'è nata l'idea di aprire questo posto?" domando. "Beh, intanto un giorno, sempre in un mercatino d'antiquariato, trovai l'intero album di fotografie che erano state mandate alla RAI da persone che volevano partecipare alla trasmissione 'Pronto Raffaella' e capii di essermi imbattuto in un vero e proprio spaccato socioculturale dell'Italia di quegli anni '80. Sono foto straordinarie, con personaggi a volte disarmanti per la loro assurdità, a volte commoventi nella loro spontaneità, in ogni caso poetici e comunque sicuramente interessanti proprio dal punto di vista sociologico e decisi che dovevano esser mostrate (infatti ne feci una mostra), poi decisi che dovevano continuare a vivere, anche raccolte in un album. Dunque, se dovessi riassumere, posso tranquillamente affermare che questo posto è nato da una mia perversione che è quella che mi ha portato ad avere la costanza di girare e scartabellare negli scatoloni di fotografie ammassate nei mercati delle pulci, poi dal ritrovamento dell''album di Raffaella', come lo chiamo io, ma soprattutto dalla spinta a mostrare tutta questa perversione e la spinta me l'ha data lei", e così dicendo Giuseppe mi indica la ragazza che durante tutta la nostra chiacchierata era rimasta seduta alla scrivania: è Benedetta Montini, un'artista che utilizza i vari linguaggi performativi dell'arte e vera artefice della creazione di questa sorta di wunderkammer. Verrebbe spontaneo dire che dietro a un grande uomo c'è sempre una grande donna, ma non lo dico.
Benedetta prende alcune fotografie scattate da anonimi e mi dice: "Guarda se questa foto non ti ricorda Andy Warhol, oppure questa, ecco, queste sembrano proprio le 'twins' di Diane Arbus... e questo nudo? Ha un che di Helmut Newton". Guardo e vedo che in effetti è così, quelle e altre foto di illustri sconosciuti sono come delle pre-citazioni di grandi fotografi e hanno la stessa dignità artistica di uno scatto cosiddetto d'autore. In effetti nel Piccolo Museo del Louvre si trovano foto di autori famosissimi (la già citata Francesca Woodman, Luigi Veronesi, Ghitta Carrel, Mario Schifano, Milton Gendel, Tazio Secchiaroli, Franco Pinna, Carla Cerati, Sandro Becchetti e molti, molti altri), affiancate da scatti di anonimi, ma ci si rende conto che queste foto non sfigurano affatto accanto ai grandi, perché hanno una loro dignità artistica compiuta e non certo inferiore. Le fotografie vintage, quelle che troviamo accatastate alla rinfusa nei mercatini d'antiquariato dei nostri quartieri, in paesi come la Francia sono da tempo assurte a dignità artistica e fanno parte di un vero e proprio mercato fatto di collezionisti attenti e con grande senso estetico (ci sono ormai anche cataloghi dedicati al genere ); qui da noi le cose stanno cominciando a muoversi un po', ma solo ora e comunque da relativamente poco tempo e anche in questo Giuseppe è stato all'avanguardia, un apripista, un pioniere. Era già avanti vent'anni fa, quando seguendo la sua "perversione" ha cominciato a dar vita ad una collezione di tutto rispetto, dimostrando che anche le perversioni, alcune volte, vanno coltivate e soddisfatte per la gioia propria ma, in questo caso, anche di tutti quelli che hanno la fortuna di imbattersi nel suo Piccolo Museo.
Quel giorno, tornando a casa e facendo mente locale su quegli scatti, pensai che non importa se uno stesso soggetto viene fotografato innumerevoli volte da innumerevoli persone e riflettei anche sulla frase di Cartier Bresson che Benedetta mi aveva citato: "La massima aspirazione di una fotografia è di finire in un album di famiglia"; un album privato quindi, non necessariamente una rivista patinata, e se lo dice Bresson c'è da credergli e di che rincuorarsi, perché significa che non solo gli scatti che facciamo da professionisti ma anche quelli da semplici appassionati hanno tutti un loro perché, una loro dignità e possono infondere emozioni a noi e alle generazioni future che un giorno magari li ritroveranno in un posto come quello da cui io ero appena uscita, regalando le stesse belle emozioni che io avevo provato. E questo, credetemi, non è poco.
Qui il sito de Il museo del Louvre