La fotografa protagonista del nostro profilo del mese è una donna che da anni insegue un concetto di fotografia che ha ben chiaro nella sua mente sin dagli esordi: la famiglia ma non solo come la intendiamo noi, nel senso più comune del termine, ma una fotografia che rappresenti il concetto più ampio di aggregazione di persone che hanno un progetto comune, siano esse parte di un cast cinematografico, di una compagnia teatrale oppure legati da rapporti di amore e consanguineità. Da quando era una giovane liceale con la passione della fotografia, Marina Alessi ha sempre cercato di sintetizzare con un'immagine il legame segreto e profondo che lega le persone, quel sentimento che, forse, è proprio uno di quegli elementi che è più difficile da far apparire in una fotografia. La incontriamo a Milano, in occasione di una sua mostra allo Studio Lombard che resterà aperta fino a metà gennaio, dove sono esposte opere di vario genere che senza dubbio valgono la pena di essere viste da vicino. Scopriamo perché insieme a lei.
osservatoriodigitale: Marina è un piacere incontrarti qui tra i tuoi lavori, in questa mostra dove hai scelto di esporre vari periodi del tuo fotografare che raccolgono il senso di famiglia così come mostrano la grande personalità dei soggetti ritratti.
Marina Alessi: Sì mi piaceva l'idea di poter utilizzare questo bellissimo spazio per avvicinare diversi momenti del mio lavoro che credo però riescano a mettere in evidenza un comune denominatore, quello della serenità. Potrebbe essere inteso come un concetto melenso e buonista ma io lo intendo come una predisposizione interiore nei confronti della vita. Ho voluto affiancare immagini in bianco e nero alle grandi Polaroid con cui ho ripreso grandi personaggi proprio perché in ognuna di queste fotografie si può percepire un sentimento di base che le caratterizza tutte, la predisposizione positiva alla vita, al futuro di tutti coloro che si sono trovati davanti alla mia macchina fotografica. Non parlo solo dei ritratti delle giovani famiglie ma anche dei personaggi famosi come Doris Lessing o Enzo Biagi, persone ancora prima di essere personaggi che hanno fatto del loro lavoro un esempio e, nonostante la quotidianità ti presenti spesso dei momenti avversi, abbiano continuato "sereni" nella loro opera, consapevoli di percorrere la strada giusta.
od: Ci racconti un po' dei tuoi esordi, la scelta di fare una fotografia particolare?
MA: È tutto molto semplice. Ho iniziato come moltissimi ai tempi del liceo, verso i 17 anni, quando avevo un gruppo di amici che si interessavano di fotografia. Allora, d'accordo con la scuola organizzammo un corso di fotografia tenuto da un professionista. Per dare seguito a quell'interesse nascente ci esercitavamo nel magazzino del padre di un compagno di classe che ci permetteva di utilizzarlo come "studio": ricordo che, incollando i cartoncini 70x100, avevamo creato uno sfondo uniforme perché non ci potevamo permettere uno fondale vero o, addirittura, ne ignoravamo l'esistenza! Poi, praticamente, ho iniziato subito a fare foto di teatro, già da quando ho cominciato a frequentare l'Istituto Europeo di Design a Roma, allora una scuola parauniversitaria molto selettiva dove si imparava di tutto, dall'utilizzo del banco ottico ai diversi tipi di pellicola ma, ricordo, tutto iniziò con un paio di settimane di uso del foro stenopeico. Oggi è tornato di moda ma allora non era così facile e immediato, soprattutto per me che, da subito, ho sempre realizzato foto di persone, ritratti. È sempre stata una mia caratteristica: anche in vacanza non scatto mai paesaggi e, se devo dirla tutta, lascio a casa la macchina fotografica per scelta. Le mie opzioni sono due: o scatto oppure guardo. In vacanza mi diverto molto con lo smartphone, strumento che mi serve molto anche per prendere appunti per il mio lavoro, come se fosse una sorta di taccuino, quello che un tempo era il compito delle Polaroid. Pensa che anche della mia vita privata ho solo Polaroid: infatti, quando c'era un evento o una festa scattavo ma volevo vedere subito le foto quindi mi organizzavo con un certo numero di pellicole a sviluppo immediato che ho ancora oggi. È vero che costavano parecchio ma erano comunque convenienti rispetto a tutta la procedura prevista dalle foto in pellicola tradizionale, che andavano sviluppate, provinate e poi stampate, tra l'altro le Polaroid avevano il vantaggio di essere visibili da subito.
All'inizio della scuola non sapevo ancora se avrei fatto la fotografa: ero molto interessata alla "macchina dello spettacolo" senza sapere da che parte mi sarei posizionata, certo non ho mai desiderato fare l'attrice, questo è sicuro. In seguito ho trovato la mia strada.
od: Come si entra in teatro per diventare fotografo di scena?
MA: A volte può capitare in maniera casuale. Io ho realizzato il mio primo book fotografando Massimo Popolizio, oggi un notissimo attore Ronconiano, che allora frequentava ancora la scuola di teatro. Ti capita di entrare per caso in un "giro" e poi se riesci a scegliere i lavori più giusti per te capisci che tutto si allinea, ogni cosa prende la posizione corretta e tu capisci di aver intrapreso la tua strada.
od: Dopo però ti sei trasferita a Milano...
MA: Sì, ed è stato dopo uno stage con Oliviero Toscani: fu proprio lui a spronarmi affinché mi trasferissi a Milano verso la metà degli anni '80. In quegli anni c'era grande fermento anche nel mondo della fotografia ma ancora una grande freschezza, una certa naturalezza nei rapporti e nel modo di lavorare. Erano gli anni in cui gente come Fabrizio Ferri o Giovanni Gastel iniziavano a cogliere i primi veri successi con il loro lavoro. C'era tanto da fare e io arrivai a Milano per fare l'assistente. Ho un ricordo molto bello di quel tempo, un ricordo di crescita professionale continua, non c'erano divismi tra i professionisti e il lavoro era davvero tanto. Ho imparato tantissimo e molto anche dai photo-editor di allora che erano dei professionisti preparatissimi che potevano e sapevano insegnarti molto. Già da allora non mi sono mai occupata di fotografia di moda ma solo di ritratto: quello che mi ha sempre affascinato di questa tipologia di foto era ed è la capacità del fotografo di far uscire, anche e soprattutto dai vip, un'immagine che rappresentasse poco il personaggio e molto la persona vera.
od: Una logica che credo stia dietro anche ai ritratti di famiglia, se così vogliamo chiamarli.
MA: Il concetto di famiglia credo sia multiforme, oggi come oggi. Può risiedere in un gruppo di amiche del cuore oppure anche tra i membri di una squadra sportiva non più solo necessariamente relegandolo alle foto con mamma e papà ma l'immagine di qualche cosa che per te, in quel preciso momento, risulta simbolico; in uno spettacolo teatrale che ho ripreso si parla di famiglia come di un gruppo di persone che ha un progetto di vita comune e questo trovo sia assolutamente condivisibile. Quello che poi mi entusiasma davvero quando realizzo le fotografie è il momento della loro consegna perché trovo sia particolare. Oggi siamo circondati letteralmente da ogni tipo di immagine che perdono istantaneamente valore mentre io penso di offrire qualcosa di prezioso e unico, una fotografia stampata su cartoncino di cotone 40x50, qualcosa che a vederla ti emoziona. Ho fatto molte prove di stampa, diversi test con carte differenti al fine di trovare quella che ritenevo fosse ideale per i miei lavori. Devo ammettere che anche la stampa digitale ha fatto progressi enormi e oggi si potrebbe dire al pari di quella tradizionale. Dai tempi in cui apparvero le prime fotocamere digitali a oggi è migliorata notevolmente tutta la catena produttiva, ormai tutto è calibrato e rende con precisione i colori o i toni che il fotografo ha catturato nella sua immagine. Chiaramente sto parlando dei laboratori professionali: io non stampo in casa per scelta, proprio perché ho deciso di avvalermi della consulenza e della professionalità dei tecnici dei laboratori di stampa, che sono preparatissimi.
od: Con che cosa scatti di solito?
MA: Attualmente utilizzo ancora la Nikon D700, perché soddisfa a pieno le mie esigenze. Sono però molto attratta dai dorsi digitali anche se al momento non ho ancora trovato il coraggio di fare quel passo: quando proprio ne ho bisogno lo noleggio ma quello che mi attrae maggiormente è il loro formato; sono rimasta molto attaccata alla mia Contax a pellicola proprio per il suo magnifico formato 6x4,5, quello che meglio si adatta al mio tipo di lavoro. Il 35mm è meraviglioso se utilizzato in orizzontale, perché mi permette di inserire altri soggetti insieme alla persona ritratta mentre in verticale trovo sia eccessivo, ci sia tanto da tagliare. Delle medio formato adoro anche il mirino che di solito è grande e luminoso e ti permette di comporre lo scatto in maniera unica. A patto che si sia capaci di vedere davvero quello che c'è di fronte all'obiettivo. A proposito di obiettivi devo dire che ho concentrato i miei acquisti per la D700 sulle ottiche di grande qualità che, davvero, fanno la differenza. Almeno, questo è il mio modo di vedere e pensare perché faccio fotografia in teatro e anche in studio.
od: Com'è il tuo approccio a un lavoro?
MA: Tendo a scattare poco, prima di tutto, proprio come facevo ai tempi della pellicola. A volte sembra addirittura che sia troppo veloce nelle mia sessioni, quasi che il cliente possa pensare di non essere stato preso nella giusta considerazione ma non è così, questo è il mio modo di lavorare, proprio perché c'è una preparazione a monte che nessuno vede. Quando, ad esempio, so che dovrò fotografare qualche scrittore, cerco sempre di leggere almeno un suo libro, così per farmi un'idea delle atmosfere che ha creato nel suo libro e le emozioni che mi ha dato. Studiare e prepararmi mi ha sempre aiutato molto, anche con il grande lavoro svolto con la Polaroid Giant Camera dove il tempo era pochissimo e il lavoro non si poteva sbagliare. Con certi personaggi avevo solo dieci minuti dal momento in cui li incontravo. Mentre la giornalista faceva le due domande di rito per l'intervista io osservavo il personaggio e cercavo di capire quale fosse il suo lato vero, interiore, quello della persona e non del personaggio. Poi preparavo l'inquadratura e via, lo scatto, a cui seguivano un minuto e mezzo di sviluppo per vedere l'immagine finale. Ancora potrei raccontarti di quando mi chiamarono sul set di Tre uomini e una gamba per fotografare i protagonisti per i cartelloni e tutto il materiale promozionale del film. Fu un'impresa riuscire a tenere "fermi" Aldo, Giovanni e Giacomo insieme ma in venti minuti circa il lavoro era fatto e i risultati credo siano sotto gli occhi di tutti...
Tornando alle foto del festival della letteratura, ho studiato e letto molto, cercando di identificare un mondo ideale per il soggetto che dovevo fotografare. Credo che il ritratto sia un lavoro che sta nel togliere non nell'aggiungere qualcosa all'immagine della persona che hai davanti: se vuoi esagerare puoi fare come LaChapelle ma io non ho mai avuto a disposizione né il tempo né i set di David quindi mi sono sempre limitata a pochi oggetti iconografici come, per fare un esempio, il mappamondo antico nella foto di Walter Bonatti dove lui vi appoggia le mani. Anche con Erri de Luca, che ama temi forti il mare e la montagna, l'ho fotografato con uno sfondo di mattoni che vanno dal marrone all'azzurro, come i suoi occhi, e li ho trovato tutto quello che volevo raccontare di lui, per me quella è l'immagine che idealmente lo rappresenta. In genere mi piace molto lo sguardo in macchina da parte del mio soggetto.
od: Ci stavi però raccontando il tuo ingresso nel mondo del cinema e del teatro...
MA: Era il 1997, l'anno di Nirvana, sono entrata nell'agenzia Photomovie e, insieme a un altro fotografo, ho cominciato a scattare su un set poi ho continuato, sempre quell'anno, facendo il Principe di Homburg di Bellocchio per poi fotografare il set di Tre uomini e una gamba di cui parlavamo prima. Dopo è stato tutto un susseguirsi di lavori, una catena che mi ha portato da un set all'altro per molti anni anche se ora il modo di lavorare è completamente cambiato; tra l'altro ricordo che all'epoca ero l'unica donna che faceva questo lavoro che era appannaggio esclusivo degli uomini. Prima c'era moltissimo backstage, il dietro le quinte nel quale ti potevi muovere, inquadrare e scattare mentre oggi, col digitale, tutto è più controllato e silenzioso quindi devi scattare nei momenti morti che, purtroppo per noi, tendono a essere sempre meno.
A un certo punto però mi sono dedicata ad altro e ho lavorato solo per uno o due film all'anno; era il periodo in cui mi sono dedicata ai film di Natale con Neri Parenti quindi andavo dove c'era la produzione: India, New York e così via. In quel caso però devo dire che tutti i presenti avevano la piena consapevolezza di ciò che si stava facendo, cioè del business, quindi erano tutti molto disponibili per le foto che poi avrebbero popolato le locandine, i vari comunicati stampa e tutte le copertine dei giornali che avrebbero parlato del film. Sono produzioni molto compresse, in ordine di tempo, ma dove tutti lavorano di gran lena, sono tutti dei veri professionisti.
Diverso è l'approccio col teatro dove tutto è rimasto come se fosse ancora un po' artigianale e parlo anche di produzioni importanti con attori e attrici molto famosi. C'è un'atmosfera diversa dove tutti danno il meglio ai fini dello spettacolo, c'è più senso di squadra dato anche dal fatto che tutti i protagonisti devono essere presenti allo stesso momento mentre questo nel cinema non accade. In teatro di solito realizzo gli scatti alle prove e, principalmente, durante la prova generale perché non amo lavorare "blimpata" (con la fotocamera rivestita di materiale che ne assorba tutti i rumori, n.d.r.) cosa che ormai al cinema è quasi obbligatoria. Inoltre i tempi ripeto sono diversi perché se in teatro mi serve qualche scatto in più dopo la generale posso sempre contare sugli attori che si prestano mentre nel cinema ormai i tempi sono così ristretti che devi fare tutto di corsa; un tempo, se la produzione era di otto settimane io potevo stare sul set per l'intero periodo mentre oggi mi danno al massimo una quindicina di giorni per realizzare il lavoro.
od: Come è nata l'idea di scattare con la Polaroid Giant Camera?
MA: È stata un'opportunità scaturita anche dal fatto che Photomovie gestisce la Giant Camera che c'è in Italia quindi il mio lavoro è stato in qualche modo facilitato, ma solo dal punto di vista della logistica! Il lavoro con la Polaroid mi ha dato l'occasione di fotografare tanti personaggi illustri, molti ritratti dei quali sono diventati immagini di un libro importante di Rizzoli in cui apparivano anche delle brevi interviste o degli scritti. Per citare qualcuno di loro potrei dire che sono rimasta molto colpita dagli incontri con Enzo Biagi e Doris Lessing, come dicevo in apertura, così come da David Grossman, incontrato in un momento molto particolare e triste della sua vita ma che si è dimostrato una persona davvero fantastica, o ancora Mario Rigoni Stern o Luis Sepulveda, giusto per citarne alcuni perché in realtà sono davvero tantissimi. Lavorare con la Giant Camera, come ho già detto, è difficile proprio perché è una macchina dall'ingombro importante ed è a "colpo unico" come tutte le Polaroid, con la differenza che la fotografia che viene prodotta è ad altissima risoluzione e ha dimensioni 50cm per 60 cm. È necessario avere l'occhio pronto e allenato a questo mestiere per poter catturare certi dettagli o sfumature del soggetto che si sta inquadrando. Non è certo uno strumento che possono utilizzare tutti, diciamo così, a prescindere dal costo di noleggio e di utilizzo.
– Il lavoro di Marina Alessi con la Giant Camera è stato a dir poco enorme, forse portandola a essere una delle artiste che ha lavorato di più con quesl tipo di fotocamera. Nel corso di sei anni, dal 2004 al 2009 ha seguito altrettante edizioni di Festivalletteratura a Mantova, incontrando centinaia di personaggi che, insieme a quelli già fotografati, hanno dato vita a un volume meraviglioso pubblicato da Rizzoli intitolato Facce da leggere ove ci sono tutti i 282 ritratti ripresi con la PGC.
od: Ci parli di questa mostra intitolata Ritratti che è in corso a Milano?
MA: L'idea è nata tra pochi amici, alcuni dei quali hanno questo meraviglioso spazio in centro a Milano, che è un grande studio associato di associati e commercialisti. La conformazione dello studio è tale da regalare grandi spazi liberi e luminosi su due piani nel cuore della città: è nato da una showroom degli anni 90 quindi è stato quasi un gioco trovare posto alle immagini. Mi sembrava illogico e diminutivo per lo spazio stesso fare una semplice mostra e allora, investita della carica di direttore artistico, ho creato una serie di tre eventi, almeno per il primo anno, dove si parte con la mia mostra fino a metà gennaio a cui ne seguirà un'altra di una grande artista, Nais street artist conosciuta ai più per la campagna televisiva dell'Eni, e che si concluderà con la mostra di Claudio Onorato, artista che lavora con la carta tagliata. La galleria si chiama Modello Unico e si trova allo Spazio Lombard in viale Premuda 46 a Milano.
Qui sono in mostra molti ritratti fatti con la Giant Camera che si mescolano ai lavori di ritratto familiare anche moto recenti. È anche un'occasione per lanciare questo mio tipo di lavoro che, infatti sta già dando dei risultati positivi.
od: E ora a che cosa ti dedichi?
MA: A molte cose e progetti: non riesco a stare ferma e penso sempre a che cosa farò domani. Nell'immediato ho dei lavori teatrali di Brignano da riprendere ma ho già cominciato a lavorare ad alcuni ritratti di famiglia che mi sono stati commissionati proprio grazie alla mostra. Inoltre nel mio studio di Milano, una ex falegnameria ora appositamente attrezzata a studio fotografico, faccio sempre ricerca per me stessa. Credo davvero che la fotografia sia quacosa che sta tra Kairos, il dio greco del momento opportuno, e Kronos, l'altro dio greco del tempo ma anche della rivelazione. Tornando ai progetti ne ho uno sul teatro ma del quale non voglio parlare per motivi scaramantici: che ne dite se ci ritroviamo qui tra un anno a parlare di com'è andata?
Tutte le foto dell'intervista e di copertina sono di Marina Alessi. La mostra a lei dedicata sarà aperta fino al 15 gennaio 2015. Altre informazioni sono reperibili sul suo sito personale all'indirizzo www.marinaalessi.com
Ci piace ricordare che Marina Alessi ha vinto nel 1999 il premio ClickCiak per le foto di scena del film di Aldo, Giovanni e Giacomo con la regia di Massimo Venier Così è la vita.