Alessandra SoresinaBiologa, scrittrice, fotografa, soprattutto fonte di storie ed esperienze, si può dire che Alessandra Soresina sia "fotografa per caso". Milanese di nascita, appassionata di genetica, finisce per scegliere l'indirizzo zoologico sulla scia della sua passione per gli animali. Come spesso accade, Alessandra viene "folgorata" dall'Africa durante un viaggio in Namibia e Botswana nel 1995, durante i primi anni di università. L'esperienza di quel viaggio straordinario la convince che la vita che fa per lei non è quella del laboratorio ma quella a contatto con la natura più selvaggia.

od: Alessandra, ci spieghi com'è iniziato questo tuo percorso così eclettico?

Alessandra Soresina: Avevo appena completato la mia tesi riguardante la vita dei daini in Toscana, nella tenuta di San Rossore, ed ero entrata casualmente in contatto con un'associazione milanese che gestiva principalmente progetti di studio in Tanzania. Dopo una prima esperienza nel nord dell'Australia finalizzata alla scoperta dei Tiwi, una popolazione aborigena locale, nel 2000 ho potuto seguire il mio primo progetto autonomo in Tanzania, nella Saadani Game Reserve a nord di Dar Es Salaam, diventata parco nazionale nel 2001. Per sei mesi ho svolto un censimento di mammiferi vivendo a contatto con la natura più selvaggia, lontano da qualunque tipo di comodità: potevo contare solamente su una tenda, una jeep, un GPS, un assistente e mangiare soltanto riso e fagioli. Tornata in Italia ho scoperto che l'associazione per la quale lavoravo aveva chiuso i battenti per mancanza di fondi. Così, insieme a un collega mi sono messa a cercare in proprio i finanziamenti necessari per portare avanti il loro progetto principale: il Tarangire Lion Project. Per oltre cinque anni ho studiato e monitorato i leoni del Parco Nazionale del Tarangire in Tanzania. Il più grosso traguardo è stato l’applicazione di radiocollari grazie ai quali è stato possibile seguire gli spostamenti dentro e fuori dall’area protetta.

od: E ora?

AS: Divido il mio tempo tra l’Africa e l'Italia: Tanzania prima e Mozambico adesso. Quando lavoravo in Tanzania restavo in Africa durante la stagione secca da luglio a dicembre. D’inverno lavoro come maestra di sci per contribuire a finanziare i miei progetti, e il resto dell’anno analizzo i dati raccolti, organizzo la mia attività e vado alla ricerca di finanziamenti per nuovi progetti.

od: In tutto questo riesci a trovare spazio anche per la fotografia.

AS: Sì, ho scoperto la passione per la fotografia come conseguenza diretta del mio lavoro e della bellezza dei luoghi in cui mi muovo. Dalla prima macchina fotografica analogica essenziale del primo viaggio in Africa, priva di zoom, ma che mi ha permesso di scoprire un insospettabile "occhio fotografico" e mettere a punto un taglio del tutto personale dei miei scatti, sono quindi passata alla Nikon F50 senza più abbandonare il mondo Nikon: pensa che utilizzo ancora una Nikon F100 per scattare diapositive di eccezionale bellezza. Poi la passione per la fotografia è cresciuta di pari passo con il mio lavoro, che richiede ovviamente ottiche di portata elevata: ho allora acquistato vari zoom Sigma (tra cui un 170-500, che mi è stato poi rubato in Africa con tutta l'attrezzatura) per passare poi al teleobiettivo Nikon 300mm/f2.8 che impiego attualmente per tutti i miei scatti, al massimo in combinazione con un duplicatore di focale.

od: Fai tutto solamente con un 300mm?

AS: Sono una naturalista e una studiosa di animali, mi muovo sempre guidando la mia macchina, e questo obiettivo è il solo che mi consente di catturare le situazioni uniche con le quali vengo a contatto anche a mano libera. In realtà da poco mi sono regalata il nuovo zoom Nikon 200-400 f/4 che, per esperienza personale, avendo avuto occasione di provarlo sul campo, considero attualmente il massimo per la fotografia naturalistica in associazione a una fotocamera full frame per la sua luminosità e per le caratteristiche di ripresa delle foto di azione. Ho poi intenzione di acquistare entro breve tempo un grandangolo per esplorare nuove opportunità nella mia esperienza fotografica.

od: Quale approccio hai scelto alla fotografia naturalistica?

AS: Trascorrendo moltissimi mesi sul campo, molto più tempo dunque rispetto a un fotografo naturalistico, ho l'opportunità di trovarmi in situazioni e assistere a scene che accadono una volta sola nella vita. Anche quando intraprendo viaggi esclusivamente finalizzati alla fotografia, che mi consentono di catturare più liberamente immagini di grande spettacolarità, sfrutto le mie nozioni di zoologia: conoscere il comportamento degli animali e le particolarità del loro habitat mi aiuta notevolmente per anticiparne i movimenti.

od: Avrai comunque dei luoghi dove preferisci scattare.

AS: Sì, una zona in particolare tra le mie preferite è Ndutu situata a sud del Parco Nazionale del Serengeti, una delle poche località in Africa in cui è possibile guidare liberamente fuori pista. È in questo luogo che tra gennaio e febbraio oltre due milioni di gnu migrano per dare alla luce i loro piccoli, quindi si vengono a creare situazioni tra prede e predatori che in altri luoghi sono difficili da osservare. Per questo motivo negli ultimi sei-sette anni mi sono recata una decina di volte a Ndutu per riprendere scene altamente spettacolari. La conoscenza del mondo animale e dei comportamenti delle prede e dei predatori, unitamente alla possibilità di guidare fuori pista come detto, consente di anticipare le situazioni e di trovarsi nella posizione di appostamento migliore per scattare. Per poter catturare scene che si svolgono con estrema rapidità, magari pochi secondi, è infatti fondamentale trovarsi nel posto giusto al momento giusto. Per esempio è importante riuscire a individuare quali saranno le possibili prede, seguendo quindi da vicino queste ultime e non i predatori, in modo da posizionarsi il più vicino possibile al centro della scena. È importante anche monitorare la situazione. Per esempio, per i predatori di Ndutu, in questo periodo dell’anno, c'è molto da mangiare, quindi non si spostano mai molto. Se ad esempio un giorno individui una famiglia di ghepardi con i cuccioli in una determinata zona, il giorno dopo torni nello stesso luogo e inizi la ricerca da lì, con la ragionevole certezza di ritrovarli entro uno o due chilometri. Gli appostamenti sono solitamente molto lunghi, ma è il prezzo da pagare per ottenere delle buone foto. Devi seguire costantemente gli animali che desideri fotografare, anche se magari per la maggior parte della giornata rimangono praticamente nascosti nei cespugli a dormire, perché bisogna essere pronti a seguirli quando si mettono in movimento.

od: In questo rapporto ravvicinato con gli animali e la natura non ti è mai capitato di avere paura?

AS: In linea generale non mi sono mai trovata in situazioni di vero pericolo, un po' perché sono quasi sempre in macchina, anche per fotografare. Situazioni di difficoltà sì, ad esempio mi sono trovata da sola con la macchina impantanata e nell'impossibilità di chiedere aiuto, e ho dovuto scavare da sola per una decina di ore per liberarmi dal fango. Le situazioni in cui ho avuto paura sono state sempre con gli elefanti, che abbondano nel Parco Nazionale del Tarangire dove ho lavorato a lungo. Soprattutto in fuori pista, lontano dalle zone battute dai turisti, i pachidermi sono parecchio aggressivi e può capitare che decine di animali carichino la macchina per spaventarti. In questi casi l'importante è rimanere immobili, senza cercare di fuggire, perché allora caricherebbero realmente; dimostrando di non avere paura, invece, si fermano a qualche metro di distanza.

od: Ti pensavo a fotografare appostata nell'erba alta e invece mi hai detto che scatti dalla macchina.

AS: In linea di massima sì, scatto tutte le foto dall'auto, che guido sempre personalmente per poter scegliere la posizione ideale dal punto di vista della luce e della scena da riprendere, con tutta l'attrezzatura fotografica necessaria situata al posto del passeggero. Più raramente scatto foto da terra, in particolare nel corso di appostamenti in prossimità delle pozze d'acqua alle quali si recano gli animali per abbeverarsi. Oltretutto devi tenere conto che io fotografo sempre a mano libera, e il 300mm che utilizzavo fino a poco tempo fa è molto leggero ma non è stabilizzato. Poiché in genere scatto dal posto di guida, non riesco ad utilizzare un cavalletto. Generalmente tengo la macchina fotografica in grembo e mi limito ad appoggiarla al finestrino con un supporto di gommapiuma o simile. Al massimo uso la portiera come una sorta di perno, aprendola per orientare in una certa misura la macchina fotografica. Inoltre, in macchina è molto più facile avvicinarsi agli animali che non a piedi.

od: Dicevi di aver iniziato con una F100. Come è avvenuto il tuo passaggio al digitale?

AS: Per questo devo ringraziare la sponsorizzazione di Nital, che mi ha fornito una D70 che ho potuto utilizzare per diversi anni. Successivamente sono passata alla D200 e da pochi mesi utilizzo la D3, di cui devo dire di essere estremamente soddisfatta. Nel mio lavoro è ovviamente imperativa la velocità di scatto, e il passaggio dalla D200 alla D3 si è rivelato decisivo in termini di prestazioni.

od: Per il tuo genere di fotografia è importante anche la velocità di impostazione. Come ti regoli al riguardo?

AS: In linea di massima utilizzo la macchina con l’autofocus e le altre impostazioni in manuale, anche quando si tratta di riprendere delle azioni, perché assicura un maggiore controllo sullo scatto. Ricorro alle impostazioni automatiche solo nelle situazioni limite in cui altrimenti l'azione in corso andrebbe perduta; quando è possibile curo il bilanciamento del bianco. Faccio poca post-produzione, preferisco cercare di fare subito le foto meglio possibile: i ritocchi sono davvero ridotti al minimo, soltanto un po' di contrasto e di livelli, che è anche poi quel poco che è consentito fare nei concorsi fotografici cui partecipo quando il tempo a disposizione me lo consente.

Negli ultimi due anni Alessandra si è dedicata più assiduamente alla carriera di scrittrice e fotografa, pubblicando due libri: A piedi nudi (ed. Pendragon), che racconta della sua esperienza in Tanzania, e Un giorno da leoni (ed. Piemme), un libro di fotografie e pensieri. Le sue foto sono state finaliste al concorso internazionale Shell Wildlife Photographer of the Year (2006, 2007) ed esposte in diverse mostre. Nel 2006, in qualità di esperta di grandi felini, ha partecipato a una spedizione sull'Himalaya per lo studio del leopardo delle nevi. Attualmente è coinvolta in un progetto di ricerca in Mozambico ed è appena tornata da una spedizione alla quale ha partecipato - unica esponente italiana nel team di ricercatori - nell'ambito di un'iniziativa privata volta a creare una riserva naturale. Da poco è diventata anche testimonial di Wild Roses, una linea di abbigliamento tecnico e sportivo dedicato solo al pubblico femminile, facendola entrare di diritto in un pool di donne che si dedicano alle attività "estreme", come l'attraversamento dei maggiori deserti a terra o dei poli in solitaria. Altre foto e informazioni sulla storia e le attività di Alessandra Soresina si possono trovare sul suo sito.

www.alessandrasoresina.com

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