La Polaroid è (o forse sarebbe meglio dire “è stata”) l’icona pop di un universo incantato alla portata di tutti. Ma quando parliamo di Polaroid, dove finisce la fotografia e inizia l’opera d’arte?

La Polaroid nasce grazie al lavoro di ricerca di un chimco americano: Edwin Herbert Land. La leggenda, ma forse è una storia vera, narra che sia stata la figlia di Land ad ispirargli l’idea della fotografia istantanea quando gli domandò perché non fosse possibile vedere le foto immediatamente dopo aver scattato. Quella domanda diede il La nella mente di Land, tanto che trascorse i cinque anni successivi a fare ricerche e tentativi per superare gli ostacoli tecnici e mettere a punto il prototipo di quella che, nell’immaginario collettivo, è diventata poi un’icona nella storia della fotografia.

Il prototipo a cui Land lavorò fin dal 1942 venne presentato al pubblico della Optical Society of America nel 1947: si tratta del modello denominato “95”, in riferimento al suo prezzo di listino e questo primo apparecchio istantaneo venne venduto in un milione di esemplari. Il dottor Land sin da subito, ossia sin dal 1948, si assicurò la complicità di Ansel Adams. E così Adams, la star della fotografia americana dell’epoca, divenne ben presto il suo consigliere artistico.

Land non era solo un chimico geniale, era anche un fantastico manager di se stesso e infatti ebbe la grandiosa intuizione di distribuire apparecchi fotografici e pellicole ai grandi fotografi e artisti di tutto il mondo: Walker Evans, Manuel Alvarez-Bravo, Mino White, Bernard Plossu, Andy Warhol, Chuck Close; non solo, si rivolse anche agli studenti delle scuole di fotografia offrendo materiale e dicendo loro: divertitevi con il mio apparecchio fotografico, esploratene tutte le possibilità e, in cambio, regalatemi qualche vostro lavoro.

Si instaurò così una collaborazione fattiva, sul campo, nella quale critiche e consigli vennero presi seriamente in considerazione per la messa a punto di nuovi apparecchi e pellicole. Ogni mossa era attentamente studiata dal punto di vista del marketing, certamente, ma è altrettanto sicuro che Land non aveva previsto che il suo procedimento avrebbe giocato un ruolo decisivo nelle nuove pratiche artistiche.

I professionisti, ma anche gli artisti di un certo calibro, s’ispirarono all’estetica amatoriale, all’utilizzazione del colore, alle stesse esitazioni legate allo stile spontaneo e imperfetto del procedimento chimico e quello “stile imperfetto” divenne lo stile Polaroid e contribuì a trasformare le fotografie in icone dando vita all’universo artistico Polaroid.

Basti pensare ai ritratti fotografici che il pittore pop inglese Richard Hamilton ha fatto di Francis Bacon, giocando sul sottile confine dato da un mezzo così popolare quale l’apparecchio Polaroid era (ed in parte è tuttora), reso però artisticamente unico dall’elaborazione personale del singolo artista.

Infatti, se la magia della Polaroid sta nel fatto che una volta eseguito lo scatto noi vediamo la foto svilupparsi sotto i nostri occhi, come un vero e proprio incantesimo o come un gioco alchemico, il suo fascino, ciò che ha attratto gli artisti di ogni ordine e grado, consiste invece nella possibilità che l’autore dello scatto ha di intervenire sul prodotto in quei 4-5 minuti in cui la foto prende forma e durante i quali si possono manipolare gli acidi. Inoltre, ogni foto Polaroid è unica e irripetibile e dunque, a suo modo, è un’opera d’arte, tanto più lo è nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (per dirla con Walter Benjamin).

La pensa così anche William Ewing, che dal 1996 al 2010 è stato Direttore del Musée de l’Elysée di Losanna, il quale ha accolto nel suo deposito museale più di 16mila clichés Polaroid collezionati da Land durante tutta la sua vita. Non sono certamente tutte opere d’arte - disse Ewing durante un’intervista - alcuni lavori sono sperimentali, e questo spirito di sperimentazione, non sempre riuscito, fa però la forza della collezione: presenta infatti una gamma di creatività senza equivalenti in fotografia e un soggetto infinito di studi per i ricercatori.

Purtroppo alcuni di questi clichés sono stati battuti all’asta a New York nel giugno del 2010 con quotazioni non inferiori ai 5000 euro (ricordo fra tutti un ritratto di Patti Smith fatto da Robert Mapplethorpe): l’asta fu organizzata per far fronte ai debiti che la società Polaroid aveva accumulato negli anni; infatti, nel corso del tempo la Polaroid è fallita, ha chiuso ma poi, come una fenice che risorge dalle sue ceneri, è rinata, sotto forma di Impossible Project e questo perché Polaroid non è solo un marchio, che come tale può nascere, vivere e poi morire… Polaroid è un nome che richiama un’immagine che è parte del nostro universo collettivo e come tale non morirà mai.

Come dice un grande della fotografia italiana, Franco Fontana, la Polaroid si presta molto alla manipolazione. È sempre creatività e creatività vuol dire “liberarsi” del visto, del conosciuto, per interpretare il non visto, per dare significato al non visto.

Durante i minuti in cui gli acidi sono ancora in divenire, si può manipolare ciò che abbiamo scattato, si può cioè trovare quello che i nostri occhi hanno visto e l’opera d’arte consiste proprio in questo trovare. Come diceva Picasso: io non vado a cercare, io vado a trovare.

Non tutti però sanno trovare, molti si limitano a cercare. Credo che stia proprio qui la differenza fra chi scatta una foto con una Polaroid e chi crea un’opera d’arte con la Polaroid.

Data di pubblicazione: luglio 2015
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