The Guardian - 24 hours in picturesThe Guardian pubblica ogni giorno sul proprio sito una sorta di riassunto quotidiano per immagini: una "selezione delle migliori immagini dal mondo" nella quale eventi di cronaca si mescolano con istantanee di vita spicciola. Una finestra alternativa sugli avvenimenti delle ultime ventiquattr'ore, filtrati attraverso lo sguardo ovviamente parziale di un photo editor e che tuttavia aggiungono ulteriori dati e sensazioni alla mole di informazioni che già compone il nostro menu giornaliero di notizie.
Non c’è rottura tra le linee che collegano le storie del mondo.

Prendi la pagina bianca dell’universo e per ogni angolo di pianeta, c’è una foto che ti rappresenta quel grande pulviscolo di racconti, tesi gli uni agli altri, in cui l’uomo si ricongiunge con altri sé, in una miniera di significati, dai volti segreti, con parole mai dette. Innamorarsi si può del mare qualunque, come del cielo stellato, non sappiamo di dove, non sapremo di quando. Eppure guardiamo e, dopo un attimo, ci innamoriamo.

Ritorna sempre più frequentemente la copertina di riviste e pagine web che lavorano il mondo in scatti da comporre, per poi associare, nell’ordine sparso di continenti e vapori, il giorno intero della nostra terra vissuta.

24 ore non sono che un soffio, eppure queste visioni affiancate così distanti, così magnetiche, parlano di quelle scene che scappano al regista del cosmo, una grande sceneggiatura di respiri e sospiri che, insospettabili, parlano del cammino che intraprendiamo. C’è un uomo che semplicemente guarda l’alba in Brasile. È una storia.

C’è un ragazzo nepalese che si carica sulle spalle pile di materassi arrotolati. È una storia. C’è un serpente che morde e una donna che piange.

C’è un cammelliere al lavoro, e un soldato che uccide.
Sono storie.

La varietà di fotografie che possono affiancarsi tra loro non è mai solo una somma di parti disuguali, è semmai la ricomposizione di un’armonia incomprensibile. La storia del mondo ha ore nascoste, eppure un occhio le trova, una foto le imprime. Chi curerà la donna che urla nella folla? Chi ricorderà il fiato di quella ballerina nell’ombra? Sono storie che, a volte, restano.

Ogni volta che sfoglio questi album quotidiani di sintesi del mondo, scorgo come se negli occhi di tutti i fotografi che ci spiegano l’essenza di ciò che circonda, esistesse un’impalpabile uguaglianza di resistenza all’oblio. È bello credere di non dimenticare. Come quando si conservano carte e scontrini, frammenti di fogli e mappe stropicciate. Non vogliamo buttare via niente.

Anche i fotografi, questi che parlano alle ore segrete, piccole o grandi che siano, non buttano via niente. E difatti ci regalano un’atmosfera che lega l’Est all’Ovest, il deserto all’oceano, in un afflato duraturo che, come una lontana impressione digitale, ci spinge a fare di ogni singolo scatto la cornice del nostro tempo. Nessuno ricorderà la strada di quel giovane con i materassi sulle spalle e chissà dove si è inabissato l’uomo che fissava il sole brasiliano. Nessuno.

Eppure quelle memorie di istanti lasciati cadere per tutti, ma non per noi, si ingigantiscono come bolle di sapone che fanno brillare gli occhi.

Qualche istante dopo, si rompono.

Nell’aria tutt’attorno, però, fate attenzione.

Perché di quel momento invisibile, per chi sa vedere, rimane sempre una scia.

O, se preferite, chiamatelo ricordo.

(data di pubblicazione: maggio 2013)

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