Dietro lo scatto

Siem Reap, Cambogia

Camilla Ferrari

Mi piace pensare che, attraverso le mie fotografie, le persone possano rivivere l'atmosfera dei luoghi che sono rappresentati nell'immagine. Che esse siano in grado di raccontare in qualche modo il silenzio, il rumore, l'umidità, il caldo, la pace e il caos.

Mi piace pensare che, attraverso le mie fotografie, le persone possano rivivere l'atmosfera dei luoghi che sono rappresentati nell'immagine. Che esse siano in grado di raccontare in qualche modo il silenzio, il rumore, l'umidità, il caldo, la pace e il caos.

Riguardando la fotografia che ho scelto per questa puntata di Dietro lo scatto, non posso non pensare a quanto sia stata stupefacente l'atmosfera in cui l'ho scattata: quest'uomo è il guardiano di una pagoda vicino alla città di Siem Reap, in Cambogia. È l'unico a possedere le chiavi di un piccolo tempio, non accessibile ai turisti se non in rarissimi casi.

Io e miei compagni di viaggio eravamo appena arrivati nella pagoda, sapevamo di dover aspettare che il guardiano ci raggiungesse, ma di lui non c'era traccia. Dopo una breve attesa, ecco arrivare un uomo di un'età non definibile, con il viso inciso da profonde rughe e tuttavia uno sguardo così fresco, così incontaminato.

Girò le chiavi nella serratura e, nell'aprire la porta, il rumore fece eco in un tempio deserto e completamente oscuro.

Il guardiano iniziò lentamente ad aprire, una per una, tutte le finestre sui due lati più lunghi del tempio: ho nella mia mente l'immagine cristallina di quel momento, quando piano piano spiragli di luci iniziarono ad entrare dalle pesanti finestre ad illuminare tutti i piccoli dettagli degli interni. Le colonne, i bassorilievi, il pavimento a fantasia geometrica. Tutto prese lentamente vita.

E quando finalmente ogni finestra fu aperta, il guardiano si mise a pregare, come se non avesse nessuno intorno a lui e come se avesse illuminato il tempio unicamente per se stesso e per la sua pace. Fu un momento incredibile, durante il quale non scattai fotografie proprio per la concentrazione su ciò che stava accadendo.

Tuttavia, negli attimi precedenti alla sua preghiera, durante l'apertura delle finestre, non ho resistito: ho scattato e scattato per cogliere l'attimo perfetto, in modo che lui avesse una posizione naturale e in equilibrio con l'ambiente ma non fosse troppo evidente il gesto che stava compiendo.

La luce entrava dalle finestre e illuminava il suo viso proprio come volevo, quindi ho aspettato che rivolgesse la testa verso l'esterno e ho scattato tre fotografie. Tre attimi del suo movimento, tre atmosfere completamente diverse.

Cosa volevo comunicare con quell'immagine? Volevo descrivere la sua azione o volevo piuttosto raccontare la sospensione di quell'istante? Volevo che i bassorilievi sulle finestre fossero così definiti da sembrare tridimensionali, e che la luce dipingesse il suo viso in modo quasi accecante. Che il tempio, buio alle sue spalle,  trasmettesse la sensazione surreale e di mistero che ho provato in quel luogo surreale.

Data di pubblicazione: marzo 2017
© riproduzione riservata

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