Io ci credevo nella realtà. Sì, insomma, guardavo la gente muoversi intorno, gli alberi che facevano fatica a rimanere fermi, i paesaggi crescere in proporzioni come giganti verdi, persino le stelle di notte e qualche luna. E ci credevo a quel che vedevo. Mi bastava l’orizzonte e capivo che ogni cosa era al suo posto. Altro che macchine fotografiche, altro che telescopi! Perché non accontentarsi degli occhi? Perché non sopravvivere con l’ incessante trasmissione delle pupille e con la sola energia delle ciglia e delle lacrime, senza batterie e messe a fuoco automatiche? Tutto il visibile del mondo era a mia disposizione e anche gratis! Per non parlare di quando viaggiavo in treno o in aereo: non mi pareva vera quella scorpacciata di chilometri d’immagini tutta bevuta in poco tempo, dove ogni linea si sfilava e la corsa costruiva un unico grande film di case sempre più lontane, sirene velocissime e un unico grande cielo immobile. Poi, un bel giorno, si consumò il grande tradimento.

Un mio amico, con la scusa dell’ottima lasagna materna, m’invitò a casa sua e, nel bel mezzo di un pomeriggio qualunque, accese Photoshop. Gli orizzonti scrutati in poco tempo divennero livelli, la materia si trasformò in una serie di invisibili fogli di carta trasparente. La grafica ebbe il sopravvento sulla natura: i cieli turchesi divennero arancioni, le donne scoprirono la perfezione dei fianchi e persino le montagne si limarono le vette, togliendosi da dosso la forfora della neve.

Guardare d’un tratto era diventato superfluo, troppo elementare per definirsi ancora vero. Se volevi vedere le cose, le dovevi correggere. Lasciate ogni occhio, o voi che ritoccate! I nostri volti erano diventati schermi perfettibili, la dose di colore della nostra pelle una pura percentuale matematica. Chi se ne importa di quello che accade fuori, fateli pure volare ancora gli aerei in cielo, tanto noi li abbiamo già mandati nello spazio! Che la povera realtà mostri pure la banalità del sorriso di un bambino sdentato, che ci pensiamo noi a farlo diventare l’eroe della prossima réclame del dentifricio! In poche parole, Photoshop era riuscito a rivoluzionare il nostro modo di relazionarci con l’universo, conferendo alle cose la chance di cambiare la propria posizione rispetto all’ordine in cui erano state naturalmente collocate. Copernico e il suo caschetto cinquecentesco si erano rimaterializzati nel pennello magico di una toolpalette e ogni cosa non era più al suo posto.

Era un po’ come dire: “Gente, non siamo più noi a girare intorno alle immagini, ma sono quest’ultime a (rag)girarci!” Nessuno aveva ragione di lamentarsi e l’avventura continuò fino ad oggi, quando gran parte delle foto che guardiamo è platealmente diversa dall’originale (termine, quest'ultimo, lentamente in via d’estinzione).

Chi in questo momento starà leggendo il presente articolo potrebbe legittimamente pensare che non c’è niente di nuovo sotto il sole, che queste cose si conoscono dalla notte dei tempi e non c’è certo bisogno del sottoscritto per capire come si vede (oops... ritocca) il mondo. Un fotomontaggio (dalla presunta fiction dello sbarco sulla Luna fino al macabro memoriale delle gemelle Cappa intorno alla defunta cugina Chiara Poggi) è più reale della realtà e questo forse potrebbe essere il perfetto claim per vendere l’immaginario dei nostri giorni a un ipotetico alieno appena sbarcato dagli ultra-mondi.

Tuttavia c’è ancora qualcosa che va chiarito e sistemato. Ecco che si ritorna allora su Internet, utero di questa rubrica da poco nata, che porta su di sé il nome di Net(E)scape proprio perché può servire a fuggire (e rifugiarsi) tra meandri sperduti di cookies e URL, dove è possibile ancora distrarsi per capire l’ambiente che ci circonda. Pochi giorni fa, in una classica scappatella internautica notturna, sono capitato su questo sito: http://oddee.com/item_96986.aspx. Il suo titolo è già profetico e provvidenziale, dato l’argomento in esame: “15 coolest photo you won’t believe are not photoshopped”. Nessuna abiura, semplicemente una carineria per dirci: non è più alla realtà che si deve dar conto, ma al meccanismo che la sovrascrive: Photoshop, appunto.

La logica si è trasformata al punto che il realmente esistente diventa improbabile, ritoccato e ritoccabile anch’esso, quasi come se la realtà (quella in cui credevo, vi ricordate?) non potesse essere mai in grado di sfidarci con immagini più forti di quelle che noi siamo in grado di produrre attraverso la finzione di utensili virtuali. Sembra ritoccata ma è difatti reale l’esitazione di un equilibrista, sospeso tra un mare di montagne. Sembra ritoccata ma è realmente visibile l’immagine di una giovane ragazza che dorme sul cielo se riusciamo a credere che basta una sporca pozzanghera a darcene un abbagliante riflesso. Sembra ritoccato ma è solo un gioco di proporzioni naturali il gesto di quel bambino che affonda i denti in un cono di nuvole. Senza dimenticare le capriole dell’artista Li Wei il quale riesce davvero a camminare sulle acque, con la testa, perpendicolare alle onde come un raggio di sole. O non è impossibile che una ragazza sia sospesa a mezz’aria indicando una finestra, se si cattura bene l’attimo di un salto improvviso. E la realtà è tale da sorprenderci anche con l’illusione di uno specchio spezzato nel quale riescono a unirsi i volti complementari di due persone differenti; e ancora può regalarci l’idea che sia davvero esistito un uomo (Rick Rojatt), uno stuntman particolarmente pazzo, in grado di cavalcare aerei in fase di decollo. Sì, oggi è fin troppo facile fare confusione con quello che potrebbe esistere e quello che effettivamente vive attorno a noi. Ecco però che i miei occhi, i nostri occhi, possono ritornare a luccicare, a proiettare ombre, fantasmi, luci e verità. Si potrà anche avere la mappa delle infinite combinazioni attraverso un software di compositing, ma ogni monitor ha i suoi confini, e ogni computer la sua energia esauribile.

Io ci credevo nella realtà. E ci credo ancora. Mi basta la mattina non esitare nell’alzare le serrande e capire come possa essere ancora possibile che un aereo, chissà quanto lontano, lasci in mezzo al cielo più terso una scia bianca e perfetta a forma di cuore. Ci credo, vedendola e basta. Senza ritoccarla. Perché è sempre lì, a mia disposizione. E non si esaurisce con un colpo di spugna o con Control+Z. Quella scia disegnata da chissà quale romantico pilota, qualche mattina è ancora lì, intangibile ma visibile. E mi fa compagnia. Come tutta la realtà, d’altronde. Come ogni cosa che mi vive attorno e continua a essere instancabilmente al proprio posto.


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