Il mondo della fotografia possiede innumerevoli sfaccettature, è un universo complesso, direi infinito, che nel suo interno racchiude chi fotografa ma anche chi guarda – estasiato a volte, disincantato altre; contiene il prodotto fotografico e chi ne fruisce, per mero interesse commerciale o per pura passione del bello; e fra questi ultimi rientrano i collezionisti, e fra i collezionisti italiani una personalità di spicco è sicuramente Giampiero Mughini. Lo scrittore, giornalista (ma non chiamatelo così perché si arrabbia), insomma l'uomo Mughini, non ha bisogno di presentazioni: come tutte le (ormai sempre più rare) vere personalità di spicco della cultura italiana, o lo si odia o lo si ama ma sicuramente non lo si ignora.

Personalmente lo amo, anche, o forse soprattutto, per il suo essere spesso sopra le righe e sempre in modo arguto e raffinato; ma se ne scrivo in questa rubrica è perché possiede una interessantissima collezione di fotografie d'autore ed è per questo motivo che l'ho incontrato. Mi ha accolta nella sua casa-museo di Roma, in un caldo pomeriggio estivo e abbiamo amabilmente conversato di fotografia, di libri, di collezionismo, insomma del "Bello", di ciò che rende colorata la nostra esistenza spesso a tratti piuttosto grigia.

Giampiero Mughini

od: Giampiero, tu sei un amante del "Bello" e... (subito mi interrompe, educato ma deciso)

Giampiero Mughini: Non sono amante del "Bello". Beh, certo, poi ognuno si sceglie il suo "Bello", no? Il bello mio non è quello di un altro, insomma, c'è gente che colleziona tappi di bottiglie di birra, in questo caso non si può parlare di amanti del bello.

od: Dunque per te non c'è una definizione oggettiva del "Bello"?

GM: No, no, assolutamente.

od: Il "Bello" allora è sempre e solo soggettivo?

GM: È solo soggettivo; uno cerca le cose, poi le trova, non le trova...

od: Non esiste il concetto di "Bello" universale?

GM: No, no. È facile dire che il Partenone è bello, ma è talmente ovvio; però un loft americano degli anni '60, dove suonavano il rock and roll eccetera è altrettanto bello. Invece quelli che pensano che il bello è soltanto il Partenone... perché poi, sai, ci sono i fanatici dell'una o dell'altra idea del bello. Quando io ero ragazzo, quelli che avevano parecchi anni più di me consideravano orribile il rock and roll o la minigonna, cioè le due cose più belle della mia vita; devo ringraziare Dio di essere nato nell'epoca in cui stava nascendo il rock and roll e in cui le ragazze portavano la minigonna.

Giampiero Mughini nella sua casa di Roma

od: Perché il tuo senso del bello è indirizzato verso la fotografia? Che cos'è per te la fotografia?

GM: Innanzitutto non è che io collezioni la fotografia tanto per avere una collezione. Io sto attento alla fotografia che è un linguaggio straordinario nato nel XX secolo (voglio dire, è nato prima, ma è nel XX secolo che diventa quello che diventa); sono molto attento, ma la fotografia a me interessa nel quadro di una più generale attenzione e passione per la casa dell'uomo del Novecento; io ho particolare attenzione e passione per la casa dell'uomo del Novecento, di cui vedi qui una campionatura, cioè per gli oggetti, per i linguaggi, per i feticci dell'uomo del Novecento e quindi il design, e quindi l'arte contemporanea e quindi la fotografia. In questo quadro la fotografia era un linguaggio fondante: dalla fotografia nasce il cinema e poi diventa un momento cruciale della comunicazione nella carta stampata eccetera; la fotografia ha il fascino di catturare quel certo momento che poi è passato e non esiste più, e non di restituirtelo come un verbale di polizia; la fotografia non è un verbale di polizia, la foto di un albero, di un cane, di una persona, di una gioia, di un dolore, non è un verbale di polizia, è la reinvenzione di quell'albero, di quel cane, di quella persona, di quel dolore, di quella gioia.

od: Ma qual è per te il fascino della fotografia? Mi spiego meglio: per me personalmente, ad esempio, il suo fascino è dato dal fatto che riesce a fissare l'attimo, per sempre.

GM: Sì, ma un attimo che non esisteva prima che il fotografo scattasse la fotografia; non è che il fotografo riproduce un attimo che c'era già: no, lui lo reinventa.

od: Lo reinventa ma lo fissa.

GM: Lo fissa, certo. Lo fissa assolutamente. In quella foto (mi indica una fotografia alla parete dietro alle sue spalle, ndr) il soggetto è Ezra Pound, un Pound anziano che vive in Italia, a Rapallo; il fotografo è un fotografo siciliano, non molto noto ma bravissimo, che si chiama Salvatore Contino... non te la faccio lunga: lui è andato lì, in casa di Pound. Pound doveva fare un'intervista a Pasolini, ma in realtà non aveva aperto bocca e Pound che, ti ripeto, non aveva aperto bocca, a un certo punto scrive su un foglio di carta "looking": guardare, lo sguardo, il guardare. Contino gli fa questa foto ravvicinata e ci scrive sopra col pennarello, al momento della stampa, "looking": e questa è una delle ultime foto che ho comprato, una foto di cui sono orgogliosissimo.

Quella su quella parete è tutta una collezione di ritratti, sia fotografici che non fotografici, lì c'è una ceramica, lì c'è un olio di Guttuso, comunque sono ritratti, per cui lì al centro c'è il ritratto di un uomo molto celebre, per me, cioè me stesso (mi indica una fotografia che lo ritrae, è di qualche anno fa e mi informa che per quello scatto ci volle più di un'ora di posa, ndr).

od: Ti ricordi com'è nata la tua passione per le fotografie?

GM: Quando ero piccolo le foto mi piacevano ma non ci capivo nulla, non capivo nulla di niente. Ho cominciato a capire qualcosa delle varie faccende superati i quarant'anni; prima, non avendo avuto né maestri, né criteri, né scuole, né logge massoniche, eccetera eccetera, era tutto istinto.

od: Dunque alla fine sei tu il vero maestro di te stesso?

GM: Assolutamente; un maestro di sé stesso che nel corso di questo cammino è grato a un migliaio di persone che gli hanno indicato dei libri, delle piste, dei dolori.

od: La tua passione per i libri, già... tu sei un noto bibliofilo, cosa mi dici dei libri di fotografia?

GM: I libri di fotografia sono un segmento straordinario dei libri in quanto tali e anche i libri di fotografia non è che siano tutti uguali, non è una cosa semplice. Prendi ad esempio il catalogo della mostra di fotografia di Pinco Pallino: Pinco Pallino ha fatto una mostra di fotografie e allora si fa il catalogo delle sue fotografie e questo è un tipo di libro; poi ci può essere invece che Pinco Pallino si è occupato dei cani turchi, allora c'è un libro di fotografie di Pinco Pallino sui cani turchi; poi c'è una terza tipologia di libri, per me assolutamente i più belli, quelli che un inglese ha chiamato i "photobook". Cosa sono i photobook? Sono libri in cui non è che la fotografia è semplicemente poggiata sul libro - e quindi poteva essere una fotografia o poteva essere chissà cosa: no, in quel caso la fotografia innerva il libro, gli dà quella particolare forma, valenza, tipografia. Questi sono libri straordinari e in questi casi ci sono alcuni - tanti - casi che sono assolutamente spettacolari; nella cultura italiana pochi, perché stiamo parlando di un tema su cui l'Italia è indietro di vent'anni. Ma bada bene, nell'essere indietro di vent'anni o forse di trenta, l'Italia ha avuto una generazione di fotografi straordinaria.

od: Dimmene alcuni.

GM: Allora, cominciamo dall'inizio del secolo: i fratelli Bragaglia, nell'ambito delle avanguardie europee che usano la fotografia stanno, che so?... Mah, metti che nello scaffale superiore ce ne siano cinque, bene fra quei cinque ci sono i fratelli Bragaglia. Poi negli anni Trenta comincia a fotografare Carlo Mollino, il quale è un genio in tutto quello che fa e dunque anche nella fotografia; infine, nel dopoguerra, scatta una generazione: Berengo Gardin, Giacomelli, Mario De Biasi. Tutta gente di primissimo piano, solo che nelle aste internazionali un francese e un inglese stanno a cento e Berengo Gardin o Giacomelli o Mario De Biasi stanno a dieci.

od: Questo perché?

GM: Per un motivo semplicissimo, perché ogni Paese impone i suoi autori; il nostro è un Paese atto a Patrizia Daddario, non agli artisti o agli artisti d'avanguardia. Io ho visto i due bilanci della Biblioteca Nationale Française e della Biblioteca Nazionale di Roma (è vero che noi abbiamo la Biblioteca Nazionale di Roma e anche quella di Firenze, quindi forse bisognerebbe sommare i due bilanci): il bilancio della Biblioteca Nationale Française è di circa 265 milioni l'anno, il bilancio della Biblioteca Nazionale di Roma è di un milione e ottocentomila. Secondo te Firenze supererà i trenta milioni? Quindi che cos'altro dobbiamo dire? La cosa che io dico sempre: a Parigi ci sono trecentocinquanta librerie antiquarie, a Roma sette, otto, ma nel dire otto sono stato largo; devo aggiungere qualcosa? C'è bisogno di aggiungere qualcosa? Vendita del whisky nel mondo, primo posto: l'Italia... Che altro dobbiamo aggiungere?

od: Spezziamo una lancia però: Torino ha una bella tradizione di librerie antiquarie e anche Milano...

GM: Ah, beh, accidenti, Torino... sai, a Torino è nato il cinema, il Partito Comunista ha avuto un ruolo di rilievo per anni, lì è nata la Einaudi... Torino è una "nazione" meravigliosa.

Mughini e il libro di Sophie Calle

od: Torniamo un attimo ai photobook.

GM: (Giampiero si alza, va verso uno scaffale, ne estrae un libro e me lo mostra, ndr) Questo è un photobook molto bello, si intitola "Prends Soins de toi", l'autrice è Sophie Calle, una francese attiva ai nostri giorni. Crea questi libri dove un romanzo viene costruito a metà con il testo e a metà con le foto e naturalmente non puoi prescindere né dall'uno né dall'altro, ma in fondo l'elemento fondante è la foto. Questo è un suo libro recente, dedicato alla madre; di suoi ce ne sono altri molto rari, ma lei ne ha fatti tantissimi.

od: Esistono photobook italiani?

GM: Sì, ce ne sono ma pochissimi.

od: La prima foto che hai acquistato, che ti ha fatto battere il cuore, te la ricordi?

GM: Me la ricordo come se fosse adesso: io stavo in Sicilia, non è che avessi tante possibilità di nessun tipo, però qualche possibilità me la creavo e allora una di queste fu di organizzare la presentazione a Catania del libro "Feste religiose in Sicilia", testo di Leonardo Sciascia, fotografie di Fernando Scianna. Organizzai la presentazione di questo libro nel 1966 e contemporaneamente organizzai una mostra di foto di Scianna e gliene comprai una per 1500 lire: all'epoca Fernando aveva più o meno la mia età, poco più di vent'anni; ricordo benissimo il soggetto, è una foto che ho ancora: è la foto in una specie di stalla di una famiglia siciliana probabilmente se non nobile certamente altolocata, dove convivono un busto di un gentiluomo, una scultura che potrebbe essere ottocentesca ma forse anche settecentesca, e un carrettaccio: c'è il sapore della Sicilia, io ero siciliano e per me forse in quel momento il sapore della Sicilia era più rilevante di quanto non lo sia adesso. Io ora sono totalmente indifferente alla Sicilia, anzi, per usare un'espressione, se dipendesse da me potrebbero metterci sopra una bella bomba atomica - dopo aver tolto la gente naturalmente... la gente la togli, sbagliando ma la togli.

od: Invece la foto a cui tieni di più?

GM: È una polaroid di Carlo Mollino, ci sono stato dietro tre o quattro anni perché il suo proprietario non la voleva vendere. Mollino ha fatto molte polaroid ma questa credo che sia se non la più bella comunque veramente meravigliosa. Per anni, ripeto, ci sono stato dietro, poi finalmente il suo possessore - una persona di Torino - si è convinto a vendermela; io mi trovavo a Torino per lavoro, un pomeriggio di pioggia sono andato lì, ho firmato un assegno di 10 milioni di vecchie lire di dieci anni fa, e l'ho finalmente acquistata. A me piacciono molto le polaroid perché sono ancora più l'istante: polaroid ce n'è una, c'è quella e basta, non è che ci sono due polaroid uguali.

od: Francesca Woodman? Ti piace?

GM: Io sono pazzo della Woodman, ho anche una sua foto. Sono pazzo di lei. La Woodman come tu sai ha quasi debuttato a Roma, fece una mostra in una libreria che era la libreria di miei amici, uno era Giuseppe Casetti che ha tuttora una libreria antiquaria (la libreria era la "Maldoror" e di quell'evento e di Giuseppe Casetti osservatorio digitale si è occupato nel mese di febbraio, ndr). Allora con 100 o 50mila lire ti portavi via una sua foto. Casetti le foto della mostra se l'è tenute e le ha vendute via via, io ne ho comprata una da lui per 17mila euro.

od: Ti faccio un altro nome: Lee Miller...

GM: Che cosa farei io per avere una foto della Miller? Qualsiasi cosa! Venderei mia madre ai beduini, mia madre non c'è più ma gliela venderei lo stesso. La personalità della Miller è pazzesca, ma c'è naturalmente da dire una cosa: la Miller non sarebbe diventata la Miller senza Man Ray; lei è pazzesca, ma se c'è una che ha avuto un maestro è la Miller; anche se era di per sé una meraviglia, una personalità, senza Man Ray lei non sarebbe diventata quello che è diventata.

La nostra conversazione è praticamente terminata ma andando verso la porta intravedo in sala da pranzo una serie di fotografie che colpiscono la mia attenzione. Domando a Giampiero di cosa si tratta. Mi guarda con un sorriso entusiasta e mi dice: sono foto di un fotografo poco noto, un giovane esordiente direi, un certo Pablo Chiereghin: le ho acquistate in una libreria milanese in cui lui stava esponendo ed è una serie intitolata "Dopo l'8 aprile 2008", ossia dopo le elezioni politiche. Sono fotografie che rappresentano lui alla fermata dell'autobus, una pianta di basilico accanto ad una finestra, un quaderno con un foglio bianco in cui appare, molto in piccolo, il disegno stilizzato del membro maschile, insomma, sono foto che possono dire tutto e niente.

Fotografie giganti a casa Mughini

Le osservo e comprendo che mi hanno colpita per la perfezione dello scatto: non sono tagliate, non hanno subito ritocchi, sono lineari, semplici e in questa semplicità scorgo la loro forza estetica. Probabilmente la stessa forza che ha colpito anche Giampiero, che le espone sulle pareti di casa, accanto a foto di giganti come Luigi Ghirri o Irina Ionesco.

In strada rifletto sui discorsi fatti, ho gli occhi ancora pieni della meraviglia delle foto che ho avuto la fortuna di vedere da Giampiero. Penso al collezionista ma anche all'uomo, al suo cinismo che in realtà cinismo non è affatto, al dolore che ho intravisto nel suo sguardo disincantato e al fatto che per quanto belle fossero le immagini d'autore che mi ha mostrato, quelle che continuano a rimanermi impresse sono le ultime, di un fotografo molto meno noto, sconosciuto anzi rispetto agli altri grandi nomi. Un collezionista vero però è anche questo, ossia uno che acquista non solo ciò che ha un nome, ma ciò che lo colpisce, che tocca le corde della suo sentire; e mi rendo conto che se anche non esiste il "Bello" universale, esistono però una forza estetica e una sensibilità, queste forse sì, universali.

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