Editoriale

Novembre - Dicembre 2020, Anno XIV, N. 107

Ezio Rotamartir

Sento già le voci di moltissimi che inneggiano alla fine di un anno davvero terribile sotto molti aspetti. Mah, verrebbe da dire a chi di anni così ne ha visti passare tanti, al punto da sostenere che questo, alla fine, non è nemmeno stato uno dei peggiori...

Foliage 2020 New England ©CC per osservatoriodigitale n.o 107

Finisce l'anno bisestile più isterico dell'ultimo mezzo secolo (per chi ha avuto la fortuna e l'audacia di vivere questo lasso di tempo) e con esso il quattordicesimo anno di pubblicazione di osservatoriodigitale. Un bel periodo che ci ha regalato tantissime soddisfazioni ma, al tempo stesso, anche alcune delusioni: le prime dal punto di vista tecnologico (abbiamo iniziato quando le reflex digitali erano nella loro fase "adolescenziale", già cresciute ma non troppo) mentre le seconde sono arrivate quasi sempre, e in modo inevitabile, da quello umano.
– Ma che cosa ne volete sapere voi che siete una testata di fotografia (principalmente) di materia umana? Limitatevi a parlare di ambiti che conoscete e lasciate perdere il resto.

Allora significa che ancora non ci conoscete e non conoscete il piglio da schiena dritta che contraddistingue non solo il direttore del giornale, quello che firma e mette sempre la faccia su quello che scrive, ma anche di tutti coloro che sono in Redazione, sì con l'iniziale maiuscola, visto che oggi, anche nel settore fotografico, i giornali sono quasi tutti opere destinate alla distribuzione di notizie preconfezionate o quasi, spesso servi dell’inserzione pubblicitaria.

La pandemia ha fatto molto in termini di danni economici anche a questo settore merceologico ma, tanti altri, li ha causati la boria e la scarsa capacità di chi si trova a guidare alcune aziende (sì con l'iniziale minuscola) che operano in questo sgangherato mondo. Sembra che i manager spesso vengano scelti con delle riffe di quartiere e con loro, in cascata, i vari manager che vengono fatti accomodare su sedie sempre più traballanti. Scelte poco oculate, decisioni che sembrano venire dai secoli bui, strategie mirate al massimo a svoltare le sorti del trimestre in corso: questi sono gli hatu che tali signori sembrano capaci di mettere in atto. Appaiono come delle finte monete antiche coperte di ruggine*.

Non parliamo della comunicazione spesso affidata a improvvisatori o a persone che fino a ieri con alta probabilità si occupavano di levigatrici di marmo o di surgelati. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Dov’è l’impulso creativo, dove sono le proposte editoriali: dove sta la professionalità che un tempo distingueva queste figure?
Come? Sento qualcuno che parla di coda di paglia...

No caro amico mio, come sai noi di osservatoriodigitale siamo stati allergici alla pubblicità sin dagli esordi e la nostra Testata è sempre stata libera (e bella, mi verrebbe da dire citando proprio un claim pubblicitario degli anni Settanta) e senza padroni, una scelta che ci permette ancora oggi di scrivere quello che ci pare, nei commenti e nelle nostre rubriche. Comunque, se proprio vogliamo toccare l'argomento fino in fondo, penso con dispiacere a tutti quei colleghi che quest'anno si sono sentiti orfani dei lauti banchetti con open bar, fino all'anno scorso organizzati dalle varie case in occasione della presentazione di nuovi prodotti: scene poco edificanti per professionisti di tale levatura, degne dei ristori organizzati per gli indigenti dalle onlus più note.

Da che pulpito viene la critica? Chiedete in giro, sono stato più volte rimbrottato perché me ne andavo al termine delle presentazioni senza fruire dei luculliani banchetti a disposizione. Che ingrato che sono.
Eppure eccoli tutti ancora li, a incensare personaggi che forse ne sanno ormai più di alcol, tatuaggi e di epatoprotettori che di fotografia, gente che è rimasta ancorata a metodi comunicativi che risalgono all’unità d'Italia e che si vanta di saperla lunghissima su argomenti che, credo, oggigiorno interessino una percentuale a una cifra, sotto il due, della già scarsa schiera di lettori di giornali specializzati.

Poi ci si chiede come mai il nostro mercato è in continua contrazione? Ovviamente la colpa è tutta degli smartphone, maledetti oggetti che fanno anche le foto, che hanno ucciso il mondo del commercio fotografico. Si continua a guardare il dito che indica la luna. Però si è giunti al punto di annunciare nuovi prodotti che, nella realtà dei fatti, vedranno la luce (e il mercato) solo dopo mesi, addirittura anni in casi eclatanti come quello della fotocamera Zeiss ZX1. E non parlo solo di oggetti di fascia alta, anche di qualcosa di più semplice ed economico, che impiega oltre sei mesi ad arrivare a destinazione facendo scemare tutto l'interesse di chi l'ha ordinato.

Spesso si tratta di un insieme di fattori che lega una certa dirigenza, una classe di commercianti e un gruppo di "comunicatori" che farebbero molto bene a scegliere la strada della pensione, per sopraggiunti limiti di età e che, al contrario, si sentono i baluardi della verità, i tenutari di chissà quali reconditi segreti tramandati – in molte occasioni insieme alle aziende – dai genitori imprenditorialmente più fortunati dei loro eredi: una storia già vista e vissuta, solo per fare un esempio, nel mondo della musica, stampata e distribuita.
Mi preme sottolineare che ci sono anche alcune eccezioni ma non sarebbe bello citarle per il loro scarso numero e così da dare a tutti gli altri l’alibi di non rientrare nella categoria degli svantaggiati – chiamiamoli così per non essere troppo caustici.

Ergo che cosa ci aspettiamo per il novello anno – forse Covid free – che ci riporti gli sfarzi e il benessere dei tempi andati? Oppure continueremo ad assistere impotenti alla chiusura di negozi e attività commerciali come accade da ben prima che la pandemia fosse un argomento di discussione? Chissà ora, ad esempio, che cosa farà tutto il giorno quel noto negoziante milanese che ha chiuso i battenti in fretta e furia, lui che aveva fatto della spocchia e della superbia le uniche vere attrazioni della sua attività?
Di sicuro avrà tutto il tempo per preparare l'albero e il presepe con grande perizia e la dovuta attenzione ai particolari. Oppure potrebbe impiegare il suo tempo a riflettere su alcuni errori commessi in passato. No, di sicuro continuerà a dare la colpa di tutto a infiniti motivi, lontani dal vero e, come lui, continueranno a farlo tutti quei bei personaggi di cui si è parlato qualche riga sopra.
Sicuramente sono conscio che il panettone, il pandoro o qualunque dolce natalizio sarà meno acido, ma non meno pesante, di queste considerazioni di fine anno. Chi l’ha detto che bisogna essere buoni? A volte è necessario mettere il dito nella piaga, per tentare di generare una reazione e, a mio avviso, essere realisti è sempre preferibile ad essere buonisti, un termine dispregiativo che indica persone che nascondono infidia e mancanza di personalità. La bontà non è un bel vestito che si indossa quando gli altri ci guardano ma una qualità dell’anima.

Auguri di buone feste da parte di tutti noi. Ci ritroveremo nel 2021 ma cari lettori voglio ringraziarvi per averci accompagnati numerosissimi anche in questo "strano" 2020.
Buona lettura,


Ezio Rotamartir

*(Cit. Edmund Wilson, critico letterario che disse anche che al mondo non esiste nulla di perfetto tranne la musica di Mozart)

 

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