Questa rubrica, curata da un noto professionista milanese, si propone di far conoscere ai più il processo che dallo scatto dell'immagine va fino al suo impiego in un progetto, al prodotto finito. In altre parole Gabriele Dardanoni vi guiderà, non senza richiami ai rudimenti fondamentali dell'editing digitale, attraverso le fasi che portano alle immagini finite, composte e impaginate che ormai ci circondano dalla carta stampata alle insegne promozionali.

In un mondo digitale l’immagine può essere elaborata. Il professionista dell’immagine diventa un vero creativo che può, anzi deve, trasformare secondo le necessità le foto di cui dispone. Prima di entrare nel dettaglio delle tecniche e delle opportunità che il computer offre per potere modificare una immagine bisogna fare un passo indietro. Tornare alla situazione di qualche anno addietro per valutare quanto sia stato profondo il trauma dell’avvento del digitale nel mondo dei professionisti dell’immagine.

Tutti ricordano la professione tradizionale del fotografo quando il supporto era la pellicola e l’immagine nasceva quindi in forma analogica. Il fotografo esprimeva la sua creatività lavorando principalmente con la luce, scegliendo le inquadrature e i soggetti per raccontare la propria versione del mondo. L’interazione tra luce e corpi solidi, la scelta delle dominanti e delle cromie, l’utilizzo della profondità di campo e della velocità di esposizione erano gli elementi con cui un professionista lavorava per ottenere un prodotto che, a foto sviluppata, poteva essere considerati finito.

Altri professionisti dopo di lui, casomai, provvedevano a partire da tale materiale per giungere ad altre forme di comunicazione dell’immagine. Gli art delle agenzie o dei giornali “piegavano” alle loro logiche le foto di cui disponevano per ottenere risultati ancora differenti: partendo da un prodotto che poteva già essere considerato finito creavano altro. E questo quasi all’infinito, con la complicità delle lavorazioni successive al puro scatto dell’immagine. Poi è arrivata la rivoluzione del digitale nelle immagini. La catena creativa si è in un certo senso accorciata e tutti partecipano allo stesso livello ad una competizione di creatività che finisce con il disorientare. Oggi il fotografo può scattare una immagine e “lavorarla” al computer fino a darle le esatte caratteristiche che vuole: pronta per essere utilizzata nell’editoria o in pubblicità senza altre lavorazioni. Il ruolo dell’art è dunque mutato: non più un creativo che deve lavorare con materia prima fotografica per giungere all’espressione della sua creatività, bensì un professionista che sa spiegare nel dettaglio quale risultato vuole e lascia al fotografo le fasi tecniche e le procedure di elaborazione dell’immagine. Almeno in teoria. Perché i tempi non sono ancora compiuti e le vecchie logiche sono ancora spesso dominanti con i fotografi che devono (o vogliono) limitare la propria potenzialità espressiva e gli art che ricorrono alla vecchia e tranquillizzante trafila delle lavorazioni successive degli scatti… In questo modo dell’immagine digitale bisogna avere presenti quali siano le caratteristiche base dell’immagine e, in considerazione degli strumenti disponibili, vedere quali e quanti interventi sia possibile realizzare sul mero scatto per trasformarlo in una immagine che soddisfi la creatività dell’autore. Dal punto di vista digitale l’elemento infinitesimo di una immagine è il pixel (contrazione di picture element, ovvero elemento dell’immagine). È il più piccolo quadratino di immagine che è caratterizzato da un unico colore sull’intera gamma disponibile. Non entriamo nel dettaglio di tutte le possibili variabili connesse con tale colore, che dipende dal metodo con cui viene catturata e processata l’immagine. Ricordiamo soltanto che i principali standard sono il sistema RGB (Red, Green, Blu) con cui di solito vengono acquisiti i dati e dallo standard CMYK, la classica quadricromia con cui quasi sempre vengono poi riprodotte le immagini. Come tutti sanno l’acronimo della quadricromia si riferisce ai quattro colori degli inchiostri di stampa (Cyan, Magenta, Yellow, BlacK). Dalla dimensione del pixel deriva direttamente la risoluzione dell’immagine, ossia il numero di singole informazioni che contribuiscono all’immagine complessiva. L’unità di misura normalmente accettata è il dpi, ossia il "dot per inch" tradotto in italiano letteralmente in “punti per pollice" - ma i programmi di trattamento delle immagini possono anche lavorare con i punti per cm. È cosa nota che per poter essere stampata in offset un'immagine deve avere una risoluzione finale di 300 dpi. Ma in altri casi sono sufficienti risoluzioni inferiori, come per esempio nel caso di stampa di poster con macchine ink-jet.

Nei prossimi numeri vedremo più nel dettaglio come valutare le caratteristiche iniziali di una immagine e quali siano le enormi possibilità di correzione e creative che il digitale permette.

Il sito di Gabriele si trova all'indirizzo www.apotema.mi.it

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