Taccuino

Qualche parola, tante foto

Valeria Prina

Una parola fa da fil rouge alle foto che compongono una mostra. Sia pure differenti tra loro, tutte però sintetizzano dei sentimenti umani.

Il fil rouge questa volta è una parola: una parola attorno a cui è nata una mostra fotografica. Abbiamo scelto alcuni casi differenti tra loro, ma tutti sintetizzano un sentimento. È la capacità di resistere in modo positivo a eventi traumatici, è l’empatia con gli altri, è l’amore per un luogo con cui si sente una comunanza, è l’attenzione al quotidiano, è il desiderio di preservare l’ambiente. È la voglia di testimoniare e raccontare. Risultato sono delle mostre diverse tra loro, realizzate da fotografi con caratteristiche differenti. Immagini apparentemente poco assimilabili tra loro, ma tutte con un fil rouge che le caratterizza e il desiderio di raccontare a chi guarda. Possibilità che oggi, più che dalle riviste o dai giornali, è offerta dalle mostre o dai libri, consentendo così una visione che dura più a lungo nel tempo. In altri casi queste mostre rientrano in un ampio programma espositivo o sono itineranti.

Resilienza. Dice di aver capito che cosa significa resilienza dopo aver visto il documentario “Le ragazze di Mogadiscio vanno al mare”. Quella di Marco Gualazzini è una considerazione decisamente condivisibile. E proprio attorno al tema resilienza è stata realizzata la mostra “Resilient” con le foto di Marco Gualazzini ora a Milano presso Forma Meravigli, accompagnata dal libro dallo stesso titolo. Quella che vediamo in mostra fino al 24 marzo 2019 è una selezione curata da Alessandra Mauro – a sua volta selezione rispetto al libro - tra le foto scattate in 10 anni di lavoro in Africa, a volte tra colpi di mortaio, come in Somalia, in altri casi tra gente che deve sopportare guerra, fame, stupri considerati come armi di combattimento contro il nemico, come in Congo. Sono proprio questi i Paesi in cui Marco Gualazzini ha fotografato di più, senza comunque dimenticare Ciad, Kenya, Sudan, tra pericoli e sofferenze. «Proprio in quelle parti del mondo dove si sa che la libertà è costantemente violata - si legge nella postfazione di Gianluigi Colin -, dove la guerra impone orrori e violenze, Marco Gualazzini ha deciso di assolvere una sua personale necessità: quella di testimoniare. Un testimone acuto, attento, ben consapevole che la fotografia non può cambiare le sorti di un evento (tanto meno della Storia), ma può contribuire ad alimentare una coscienza critica e a fornire gli strumenti fondamentali per una memoria condivisa del nostro tormentato presente».

La selezione ha portato a una scelta delle foto più significative per espressività e qualità. Tutte realizzate secondo principi etici, con attenzione a non alterare la realtà con effetti digitali, esponendo per le luci, pur lavorando in digitale, con un risultato di sottoesposizione. E tutte foto a colori, perché per lui la realtà non è in bianco e nero. Nelle immagini si sente l’influenza culturale, nata negli anni di studio, della grande pittura, come Caravaggio per la luce e Tintoretto per la composizione. Così le immagini sono maggiormente in grado di colpire l’osservatore e successivamente farlo riflettere su quanto testimoniato dal fotografo. A questo si aggiungono le esaurienti didascalie, che accompagnano le foto in mostra e sul libro, per informare sulla situazione.

Istanbul. Una Istanbul non turistica e invece più oscura e piena di ombre, con la vita nei sobborghi della città è quella che emerge nelle immagini del fotografo turco Coşkun Aşar. Oltre 70 di queste sono state raccolte nella mostra “Blackout – Dark side of Istanbul” esposta a Palazzetto Baviera a Senigallia dal 9 febbraio fino al 31 marzo 2019.

«Coşkun Aşar guarda alla propria vita e alle vite di coloro che si trovano nel suo ambiente circostante che diventano visibili quando le luci si spengono – scrive Bruno Le Dantec nel testo che accompagna le foto -. Negli ultimi venti anni ha seguito e osservato persone nel lato oscuro di Istanbul, in un importante spazio storico e culturale della città, chiamato Beyoglu. Coşkun abitava nello stesso quartiere di Beyoglu dove vivevano questi emarginati. È diventato amico dei bambini di strada, membri delle gang, prostitute, papponi, insieme agli individui della comunità transgender che sono principalmente impegnati come lavoratori del sesso. Lo chiama il lato oscuro di Istanbul, un'area in cui gli abitanti sono socialmente esclusi e isolati, eppure un'area che diventa viva di notte. Coşkun ha vissuto in tutte queste vite e ha condiviso la vita con loro lì dentro».

Continua dunque a Senigallia la grande stagione espositiva della fotografia internazionale, che ha già permesso di vedere le foto di Robert Doisneau e Alexander Rodchenko.

Milano. È proprio la scoperta di Milano a fare da fil rouge alla mostra “Prima Visione 2018. I fotografi e Milano”, presso Bel Vedere. Fino al 23 febbraio 2019 è esposta una selezione di immagini realizzate nel 2018 da quarantasei fotografi che hanno scelto Milano come terreno di riflessione o di scoperta. È ormai un appuntamento fisso che da anni si ripete presso la galleria milanese e ogni volta della città emergono aspetti differenti, perché Milano negli anni si è trasformata, raggiungendo un alto livello di appeal con una intersezione tra le nuove costruzioni e i palazzi storici, ma anche un profondo rinnovamento culturale.
La mostra prosegue un percorso che in 14 anni ha permesso di capire come i fotografi vedono una Milano in continua evoluzione.

Quotidianità. L'incontro tra pittura e fotografia, tra artisti e fotografi non è certo una novità: Ugo Mulas è uno dei casi più eclatanti. Ora presso Contrasto Galleria, in via Meravigli, dal 7 febbraio fino al 24 marzo 2019 sono esposte le foto che Gianni Berengo Gardin ha realizzato nello studio di Giorgio Morandi. Le foto diventano così un modo per entrare nella quotidianità del pittore, quella che può aver fatto da atmosfera nei momenti di ispirazione e che proprio per questo non sarebbe stata altrimenti conoscibile. « La sensibilità del fotografo – si legge nella presentazione - restituisce a questo luogo la dignità di tempio del pensiero e della creazione artistica, evitando l’aspetto più pittoresco e aneddotico del mito bohémien che lo voleva impolverato e maleodorante».

Continua dunque la scoperta di uno dei protagonisti della pittura italiana del Novecento.

Terra. Proprio il nostro Pianeta, la Madre Terra sono al centro della mostra “Another Earth” di Bruna Rotunno, esposta fino al 27 febbraio 2019 a Milano presso Red Lab Gallery/Miele.

Non è la voglia di raccontare dei luoghi, ma il desiderio di far emergere l’energia della terra che ha animato la fotografa: « È una fotografia nata da un incontro intimo e appassionato con la Madre Terra – si legge nella presentazione della mostra -, con la sua energia primigenia, i suoi colori che si accendono di una cromia magica. Queste immagini, pervase da un senso di ineffabile mistero, sono la risposta al richiamo di una natura vista e sentita come un mondo potente, ancora capace di stupire e di offrire esperienze profonde, nelle quali immergersi e rigenerarsi». È anche un modo per stimolare l’attenzione all’ambiente, spinti dalla voglia di non distruggere la bellezza del nostro Pianeta, che appunto emerge dalle foto.

Nei locali di via Solari 46 grazie al sistema photoShoWall l’osservatore ha la sensazione di trovarsi immerso nelle immagini. Qui il progetto espositivo “Ascoltare la Terra”, dopo la mostra di Bruna Rotunno, continuerà con “Nylon” di Ulderico Tramacere (7 marzo – 1° aprile 2019), “Nel buio si cela la luce” di Erminio Annunzi (aprile/maggio 2019), “Atlas” di Alessandra Baldoni (giugno/luglio 2019).

Bicicletta. Molto diverse dalle precedenti, ma percorse da un forte spirito ecologista appaiono le foto che compongono la mostra “Con i miei occhi. Paesaggi, volti, colori lungo VENTO Bici Tour 2018” promossa dal Politecnico di Milano. Esposta presso il Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo fino al 17 febbraio 2019 vede protagonista un mezzo attento all'ambiente come la bicicletta. Attraverso questa emerge un paesaggio lungo il fiume Po, tratteggiato dalla futura ciclovia turistica VENTO, che per oltre 700 km collegherà Torino a Venezia, passando per Milano. Tra le oltre 700 immagini proiettate e scattate da 40 cittadini-ciclisti ne sono state selezionate 80, presentate con un richiamo ironico all’opera “Ruota di bicicletta” di Marcel Duchamp, composto dall’assemblaggio di due pezzi simbolici della bicicletta - ruota e forcella - messi a disposizione da due storici marchi della tradizione ciclistica italiana: Campagnolo e Bianchi. Il tutto è sostenuto da scatole in legno che diventano allo stesso tempo l’imballaggio della mostra itinerante, ospitata nei prossimi mesi in 12 città lungo il filo di VENTO.

Data di pubblicazione: febbraio 2019
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