L'Armonia Nascosta
L'Opera d'Arte e la fotografia artistica
Giorgio Di Maio
Arte è un taglio di capelli come è arte la Cappella Sistina; un manifesto pubblicitario come un quadro di Kandinskij. Ma l’Arte può avere uno scopo?
Una svolta epocale della concezione di arte si ha agli inizi del XX secolo quando la riproduzione meccanica consente la diffusione di oggetti d’arte privi di unicità. Il fenomeno viene osservato da Walter Benjamin nel famoso saggio L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica: con la perdita del hic et nunc l’opera d’arte perde la sua aura, riprendendo la metafora di Charles Baudelaire che nel 1869 aveva pubblicato il poemetto intitolato Perdita d’aureola nel quale scriveva: “Poco fa nell’attraversare il Boulevard, in gran fretta, mentre saltellavo nel fango tra quel caos dove la morte giunge al galoppo da tutte le parti tutt’in una volta, la mia aureola è scivolata, a causa d’un brusco movimento, giù dal capo nel fango del macadam.”
Baudelaire fu dunque forse il primo ad intuire il declino della figura del poeta vate e che, nell’epoca della modernità, l’arte avrebbe perso il suo carattere sacrale. Il movimento Dada diede poi un colpo finale, anche se il nichilismo artistico dei dadaisti nasceva da propositi diversi dagli esiti che poi avrebbe prodotto. Tristan Tzara, ha così spiegato nel 1950 le ragioni del dadaismo: «Per comprendere come è nato Dada è necessario immaginarsi... il livello intellettuale dell'arte e della letteratura a quel tempo. ...verso il 1916-1917, la guerra sembrava che non dovesse più finire. Di qui il disgusto e la rivolta. Noi eravamo risolutamente contro la guerra, senza perciò cadere nelle facili pieghe del pacifismo utopistico. Noi sapevamo che non si poteva sopprimere la guerra se non estirpandone le radici. ..... Non bisogna dimenticare che in letteratura un invadente sentimentalismo mascherava l'umano e che il cattivo gusto con pretese di elevatezza si accampava in tutti i settori dell'arte, caratterizzando la forza della borghesia in tutto ciò che essa aveva di più odioso...»
Sappiamo che oggi arte può essere tutto: arte è la sedia di design che prodotta industrialmente è presente in migliaia di appartamenti di tutto il mondo, funzionale al sedersi nello svolgimento di qualunque attività per cui risulti comoda; arte è la musica ascoltata secondo i vari sistemi di diffusione digitale; arte è l’abito di moda; arte è un taglio di capelli; arte è la grafica e la foto pubblicitaria; artistici sono i nudi dei calendari; arte può essere l’arredo di un bagno con i suoi stravaganti pezzi igienici, etc. etc. Non c’è più alcun limite nel quale si possa contenere in maniera univoca il carattere artistico di un oggetto.
L’arte non è più cultuale, donde per Benjamin il concetto di aura, né ha più carattere estetico-espositivo. L’arte ha subito indubbiamente una mercificazione e con la facilità di riproduzione e possesso dell’oggetto d’arte si è persa quella distanza tra l’opera e colui che ne godeva ovvero quella sensazione di qualità religiosa, in senso lato, che coinvolgeva lo spettatore innanzi la materia unica e irriproducibile dell’opera d’arte.
Benjamin aveva già scritto nel 1931 Piccola storia della fotografia e secondo il filosofo è proprio nella fotografia che l’opera d’arte inizia a perdere la dimensione ineffabile e sacrale dell’hic et nunc, ovvero perde la sua aura.
Per Adorno, che apparteneva alla stessa Scuola di Francoforte di Benjamin, non c’è speranza: il sistema capitalistico fagocita tutto e addormenta le coscienze. Il collettivo non ha possibilità di comprendere l’arte mentre i gusti e i consumi sono pilotati dal sistema. Remota la possibilità di spiriti rivoluzionari così forti da essere rimasti indenni dalle influenze del sistema. L’unica arte possibile è quella refrattaria al mercato ma perciò destinata a quei pochi che hanno gli strumenti conoscitivi per comprenderla.
Benjamin invece non rinuncia all’idea di un’arte, che proprio grazie alla riproducibilità e quindi con ampia possibilità di diffusione, svolga un attività educativa, smuova le masse, le induca a riflettere. L’arte può assumere un senso politico, anche questo inteso in senso lato.
Quale è allora la posizione dell’Armonia nascosta nei confronti dell’arte?
Da un lato si condivide la posizione di Adorno: il sistema capitalistico non potrà mai essere rivoluzionato perché è in possesso di elementi tali di condizionamento delle scelte del popolo che un’arte estranea al sistema non avrà mai alcuna possibilità di determinare un substrato culturale che induca alla gente di sovvertirlo. Nessun individuo, politico, pensatore o artista che sia, potrà mai essere completamente al di fuori del sistema cui è obbligato a far parte e alle cui regole deve attenersi anche in suo proporsi di diffondere idee sovversive.
Il capitalismo potrà solo implodere. Percettibili segnali se ne colgono già ora. Ma il crollo potrà avvenire tra venti come tra duecento anni. Non ci è dato di prevederlo. Inoltre il crollo del sistema capitalistico è cosi temibile per le conseguenze nefaste che potrebbe produrre che, uno spirito rivoluzionario ma dotato di una buona dose di pragmatismo, finisce col temere che avvenga. Almeno fino a che non si siano costruite delle nuove condizioni per le quali possa accadere nella maniera più indolore possibile per l’umanità.
In questo frangente l’arte sarà più pura quanto più sarà libera dai condizionamenti del mercato, senza per questo dovere rinunciare all’eventuale successo economico che, anzi, le potrebbe offrire nuovi mezzi per la sua diffusione. Ma l’arte è contemplazione, può nascere solo se non si hanno secondi fini. È strumento di conoscenza.
La fotografia dell’Armonia nascosta si propone un programma ambizioso: quello di introdurre la sperimentazione del linguaggio delle Avanguardie del ‘900 per una lettura della realtà, del nostro circostante, provando a conciliare, laddove ce ne fosse bisogno, Kandinskij con Benjamin.
Per il filosofo tedesco il mondo moderno ha sostituito alla contemplazione la fruizione distratta però, con spirito ottimistico, egli intravede la possibilità attraverso l’immaginazione artistica di riscattare il nostro mondo: i fenomeni e gli oggetti che sono frutto della volontà di una omogeneizzazione in senso materialista possono essere adoperati nella costruzione di un migliore futuro e ciò attraverso l’immagine dialettica ovvero una immagine che vive del suo perpetuo relazionarsi all’altro da sé: “Solo le immagini dialettiche sono autentiche immagini (cioè non arcaiche); e il luogo, in cui le si incontra, è il linguaggio”.
Per Kandinskij “La vera opera d’arte nasce dall’artista in modo misterioso, enigmatico, mistico. Staccandosi da lui assume una sua personalità, e diviene un soggetto indipendente con un suo respiro spirituale e una vita concreta. Vive, agisce e collabora alla creazione della vita spirituale.... È un linguaggio che parla all’anima con parole proprie, di cose che per l’anima sono il pane quotidiano, e che solo cosi può ricevere. Se l’arte si sottrae a questo compito rimane un vuoto. Se l’anima è ottenebrata e sviata da concezioni materialistiche e atee o dalle aspirazioni puramente pratiche che ne sono la conseguenza, si diffonde l’idea che l’arte «pura» non sia data all’uomo per uno scopo, ma senza scopo, ed esista solo per l’arte (l’art pour l’art)”. (1)
Adoperando la celebre citazione di László Moholy-Nagy “Non colui che ignora l'alfabeto, bensì colui che ignora la fotografia, sarà l'analfabeta del futuro”, si conclude che la fotografia artistica è chiamata a utilizzare le sue enormi potenzialità per partecipare alla costruzione delle migliori condizioni possibili allorquando la crescita materialistica avrà raggiunto i suoi inevitabili limiti, individuando in queste condizioni quella che Kandinskij prefigurava come epoca della grande spiritualità, oppure nella persistenza di un’umanità solidale e di grande forze interiore in grado di affrontare la lotta a favore della vita e della pace.
Note: (1) Wassilj Kandinskij, Lo spirituale nell’arte, Cap. VIII, L’opera d’arte e l’artista
Data di pubblicazione: febbraio 2018
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