Uno dei maggiori problemi che si riscontrano nel fotografare le costruzioni, soprattutto se si tratta di edifici che si sviluppano ampiamente in senso verticale, è la deformazione delle linee laterali degli stessi. Abbiamo tutti presente una foto di una cattedrale che, ripresa frontalmente dalla massima distanza possibile, assumeva comunque l'aspetto a "piramide", con la punta delle guglie che puntava verso il centro come la scritta iniziale di Guerre Stellari. Ancora, ci è capitato di fotografare un grattacielo e di ritrovarci con una sorta di siluro puntato dritto verso le profondità del cielo. Ricordiamo quindi di esserci allontanati un po', poi ancora un bel po' e, infine, di aver percorso qualche isolato al fine di poter inquadrare dignitosamente il nostro soggetto che però, nel frattempo, non era più visibile o era parzialmente coperto da qualche altro oggetto. Siamo tornati allora sul luogo qualche tempo dopo, armati di una nuova fotocamera o di un obiettivo supergrandangolare: non solo il nostro soggetto diventava così piccolo da risultare anonimo ma, quel che è peggio, il risultato non cambiava, anzi se possibile veniva accentuato. Disperazione. Eppure ricordiamo benissimo di aver visto delle immagini in cui i palazzi sono diritti nonostante la ripresa sia stata fatta in uno spazio limitato: merito dei filtri di Photoshop?
No, diciamo sinceramente di no. È vero che la correzione delle distorsioni introdotta qualche versione fa da Adobe nel suo programma più famoso aiuta di sicuro, ma lo fa intervenendo su particolari minori oppure costringendoci a rinunciare a porzioni importanti dell'immagine originale: come ben sa chi quella funzione l'ha utilizzata, per salvare la parte centrale dell'immagine si è costretti a ritagliare e a scartare le aree esterne della foto, irrimediabilmente compromesse dalla contro-distorsione indotta dal filtro digitale. Sarebbe come se, fotografando a Pisa la famosissima Piazza del Duomo, provassimo a "raddrizzare" la altrettanto famosa Torre pendente trovandoci a dover scartare dall'immagine proprio il bellissimo duomo o l'adiacente battistero... Vediamo allora come è possibile realizzare fotografie di contenuto architettonico mantenendo, in modo naturale, l'aspetto dei soggetti inquadrati.
Ci viene in soccorso una tipologia di obiettivi chiamati Tilt & Shift, cioè in grado di muovere il corpo ottico in tutti i modi possibili, quindi di basculare (Tilt) e decentrarsi (Shift) appunto. Premettiamo che non sono né ottiche economiche né tanto meno semplici da utilizzare: prevedono un po' di pratica ma i risultati sono ragguardevoli, come dalle immagini qui sopra, scattate dalla stessa posizione ma senza la correzione (foto a sinistra) e con (foto a destra).
Come si diceva in apertura l'approccio naturale alla fotografia è quello di inquadrare un soggetto e di scattare: i risultati, se il soggetto si estende soprattutto in altezza, sono questi (foto 2, la linea rossa indica il punto di fuoco della fotocamera)
Trovandoci davanti a un soggetto molto più alto di noi, viene naturale spostare il punto di inquadratura verso l'alto riuscendo così a inquadrare tutto il soggetto ma deformandone sensibilmente l'aspetto generale che risulterà così fortemente inclinato sui lati.
Sempre come si diceva nell'introduzione, la soluzione più immediata è quella di allontanarci dal soggetto stesso così da ridurre il rapporto tra la sua altezza e la nostra, tanto da permetterci di abbassare il punto inquadrato ed evitare la distorsione. In città succede che presto ci si rende conto di due fattori importanti che intervengono utilizzando questa soluzione: primo, il soggetto viene spesso nascosto da qualche altro edificio; oppure, secondo, diventa molto piccolo fino ad apparire così (foto 2, anche qui la linea rossa indica il punto di inquadratura)
Facciamo ora una considerazione pratica. Grazie al digitale possiamo renderci conto immediatamente del problema poiché il risultato dello scatto lo vediamo subito: pensiamo a quante facce deluse si saranno manifestate al tempo delle stampe o delle diapositive, quando si doveva aspettare il ritorno del rullino dal laboratorio per vedere i risultati delle nostre foto...
Ecco che ci viene il dubbio che esista qualche soluzione più pratica al nostro problema. Esiste, ed è rappresentata dagli obiettivi "tilt and shift", oggetto del nostro test. Il gruppo di ODLab, in una giornata semi estiva, si porta nella vicina e magnifica basilica di Sant'Ambrogio per cercare di sfruttare al meglio le qualità delle ottiche del test: i nuovi obiettivi Canon TS-E 17/4 e TS-E24/3.5 II di seconda generazione, lenti che solo a prenderle in mano incutono rispetto e preoccupazione. Per completezza d'informazione diciamo che sono disponibili anche un 45mm e un 90mm della stessa serie. La caratteristica che colpisce da subito è il peso di questi obiettivi, dato dalla loro complessa struttura metallica e dalla quantità di lenti utilizzata.
Tornando ai nostri esempi quello che ne risulta dall'utilizzo è questo (foto 4). Un risultato sorprendente ma cerchiamo di capire come è possibile. Prima di tutto vi sarete resi conto che la linea di inquadratura è decisamente più bassa rispetto alle altre due immagini, dove si trovava praticamente al centro orizzontale dell'immagine: questo perché è intervenuto un fattore importante come il decentramento che ci induce a spostare la fotocamera verso il basso anziché verso l'alto, come accadeva con un obiettivo "normale". Tutto questo è frutto di calcoli precisi, riiconducibili a una scala che è presente sulle lenti ts che indica quanto l'obiettivo sia stato spostato in un senso, nell'altro oppure in entrambi, al fine di comporre la foto in maniera corretta. Ci sono ovviamente formule matematiche precise e trattati scientifici sull'argomento ma non vorremmo tediarvi inutilmente. Vi daremo solo alcuni aiuti per capire meglio. Partiamo dal presupposto di utilizzare una fotocamera con il sensore a pieno formato, 24 x 36mm, solo ed esclusivamente per una questione di calcolo. Come noterete nelle prime due immagini, la linea rossa è a metà dell'immagine, quindi circa a 12mm in senso verticale. Utilizzando il 24mm ts, che ha la possibilità di decentrarsi di ben 11mm, otterremo la possibilità di spostare verso il basso (o verso l'alto) la nostra linea fino a 23mm, quasi al bordo dell'inquadratura (foto 4). Questo perché, come indicato dai manuali a corredo di queste lenti così particolari, quegli 11mm sono la distanza massima di spostamento della lente ma anche quella dell'immagine che si forma sul sensore della fotocamera così da permettervi di tornare al punto iniziale da cui avreste voluto scattare la foto e, finalmente, farla senza problemi. La formula più semplice per calcolare la distanza minima da cui sarà possibile scattare con una lente ts è data dalla semplice formula seguente:
Lunghezza Focale/Spostamento della linea centrale = Distanza/Altezza del soggetto
Detto così sembra impossibile ma un esempio chiarirà tutto, anche perché non staremo certo ogni volta a misurare tutto prima di scattare. Diciamo che ogni piano di un edificio è alto circa 5 metri così, un palazzo di dieci piani sarà alto circa 50 metri. Diciamo che ci troviamo a circa 40 metri dal soggetto e stiamo utilizzando il nostro obiettivo 24mm ts. Facendo il calcoli (40m moltiplicato 24mm diviso poi per 50m) il risultato è 19,2mm che, sottratto ai 12mm che indicano la metà esatta del nostro formato, ci danno uno spostamento di 7,2mm da impostare sull'obiettivo per poter fotografare correttamente il nostro soggetto (foto 3) rimanendo nella nostra posizione originale. Utilizzando il 17mm ts (che permette un decentramento massimo di 12mm) il risultato sarebbe di 13,6mm, cioè uno spostamento di soli 1,6mm sulla lente, per ottenere lo stesso risultato: questo ci permetterebbe quindi di avvicinarci eventualmente ancora di più al nostro soggetto oppure di fotografarne uno più alto.
Il nuovo TS-E 17/4 L è stato accolto dai fotografi di architettura metropolitana come un miracolo, viste le sua capacità e prestazioni: è composto da 18 elementi divisi in 12 gruppi, che comprendono cristalli UD ed elementi mobili che permettono di mantenere i bordi ben definiti e di ridurre le aberrazioni a livello cromatico. L'ottica ha un angolo di ripresa di 104° e, l'eccellente sistema meccanico, consente un'inclinazione fino a 6.5° e garantisce una distanza minima di messa a fuoco, ovviamente solo manuale, di soli 25mm. Per ridurre il riflesso la lente frontale è stata trattata con un particolare rivestimento. L’angolo di inquadratura decisamente ampio di questa lente, tipico di un normale 17mm, permette riprese in ambito cittadino davvero impensabili fino a poco tempo fa.
Rivisto e corretto, anzi diciamo pure completamente ridisegnato coni suoi 16 elementi suddivisi in 11 gruppi dotati di cristalli UD per la massima riduzione dei riflessi e delle distorsioni cromatiche, il nuovo TS-E 24/3.5 L II è meno "spinto" del 17 ma altrettanto versatile e migliorato, rispetto alla versione precedente, soprattutto per quanto riguarda la vignettatura dell'immagine e la caduta di luminosità ai bordi dell'inquadratura. L'angolo di inquadratura è di 84° e, rispetto al modello originale, ha circa il 9% in più di capacità di inclinazione oltre al miglioramento dei comandi e meccanismi di bloccaggio (che restano un po' difficili da utilizzare, soprattutto se si hanno mani grandi), sia in posizione orizzontale sia verticale. La distanza minima di fuoco per il nuovo 24mm è di 21mm.
Un problema che sussiste con tutte le ottiche di questo tipo è che, quando si utilizza il massimo del decentramento, si possa notare un decadimento del livello di luminosità ai bordi dell'immagine a causa dell'estremo e innaturale campo visivo di queste lenti: le aperture più piccole aiutano a prevenire lievemente il problema. Tutte le regolazioni di basculaggio e decentramento possono essere effettuate o impedite attraverso la regolazione di due viti, forse troppo piccole, che si trovano sul lato opposto rispetto ai controlli di tilt e shift.
Il controllo del fuoco, si è già detto, è solo manuale anche se l'operazione non è proprio una passeggiata, soprattutto alle aperture più ampie a causa anche dello schermo di messa a fuoco che si trova di default sulle moderne DSLR: ci vorrebbe almeno uno schermo a linee parallele o con il buon vecchio centro a lente di Fresnel. Sicuramente l'opzione Live View può risultare di grande aiuto: dato l'attacco full-auto di queste ottiche, quando il soggetto è a fuoco l'indicatore nel viewfinder diventa verde dopo di che si può procedere alle regolazioni di tilt o shift, che non influiscono sulla messa a fuoco.
Oltre all'impiego primario nella fotografia architettonica dove si usa molto la parte di decentramento (o shifting) non si deve dimenticare l'altra caratteristiche di queste lenti, cioè il basculaggio (o tilting) che permette all'obiettivo di spostarsi a destra e a sinistra in modo indipendente. Di solito tutto ciò che si trova parallelo al piano di immagine della fotocamera e a una certa distanza risulterà a fuoco: con il controllo tilt si può andare oltre a questo concetto e rivedere i piani di messa a fuoco secondo un'altra logica. Uno degli esempi più eclatanti è un'immagine in cui tutto è sfuocato tranne il soggetto (oggi molto di moda soprattutto in pubblicità): si esaspera il livello di basculaggio, si apre al massimo il diaframma e si mette a fuoco il soggetto desiderato lasciando il resto in un alone naturale. Carino come effetto basta non abusarne. È ovvio che, così come si possono correggere le distorsioni, con questo tipo di lenti se ne possano indurre altre per scopi puramente artistici, avendo la possibilità di distorcere gli elementi presenti nell'inquadratura così da creare un'immagine particolare.
Un'altra limitazione data dall'utilizzo di queste ottiche è la difficoltà di esporre correttamente, anche se gli esemplari del test possono interagire in maniera (quasi, ad eccezione della messa a fuoco) completamente automatica con il corpo macchina. Il problema risiede alla base del concetto di lente grandangolare: più ci si allontana dal centro dell'immagine meno luce verrà catturata, questo a causa di ciò che viene chiamato dagli esperti la vignettatura del coseno alla quarta (cos4 vignetting). Senza farla troppo difficile vi basterà sapere che è un problema che sorge quando la distanza tra la lente e il sensore (o la pellicola) è piccola se rapportata alla larghezza dell'immagine. Nelle normali ottiche grandangolari, per prevenire questo effetto, si utilizza una tecnologia chiamata a "teleobiettivo invertito" dove l'ultimo gruppo di lenti è spostato sufficientemente in avanti per lasciare un certo spazio tra la lente e il sensore; questo significa che, sempre facendo i conti con un sensore a pieno formato, anche sugli obiettivi più spinti la lente si trovi sempre ad almeno 40mm dal sensore che è largo 36mm, così che la vignettatura cos4 venga evitata. Questo vale anche per le lenti ts, con la sola differenza che più si agisce sul tilt o sullo shift, maggiore è la parte meno luminosa dell'immagine.