osservatorio digitale lo aveva già intervistato qualche anno fa, nel 2010 per l’esattezza. Ricordo una lunga e interessante intervista telefonica: lui a Venezia e io a Roma. Da allora però, ne è passata molta di acqua sotto i ponti, anzi, per rimanere in tema, c’è stata molta acqua alta a Venezia, forse troppa, e Graziano Arici ha deciso di trasferirsi in Francia, ad Arles per l’esattezza. In alcune interviste da lui rilasciate a diversi quotidiani nazionali avevo letto del suo archivio (immenso, importante, bello, ma rifiutato dal bel paese) e della sua decisione di lasciare Venezia e l’Italia. Avevo letto le polemiche, ma volevo sentire con le mie orecchie, capire bene la realtà dei fatti.  Così, dopo diversi miei sì, sì, vengo a trovarti, seguiti da  altrettanti rinvii, quest’inverno sono finalmente riuscita a raggiungerlo ad Arles. Mi ha accolta nel suo appartamento arlesiano, tipicamente bohemienne e molto accogliente e abbiamo chiacchierato… ovviamente di fotografia.

od Prima di tutto vorrei sapere se hai davvero lasciato Venezia o se è solo una separazione passeggera, un colpo di testa, un broncio da innamorati.

GRAZIANO ARICI Io sono nato a Venezia, tutti i miei avi sono a Venezia da quattrocento anni; quindi capisci bene che io quella città ce l’ho proprio nel sangue, come dire? Io sento le singole pietre di Venezia.

od Certo, ed è per questo che ti ho domandato e che ti ridomando: ma l’hai proprio lasciata definitivamente?

G.A. Ti stavo dicendo: io di Venezia sento le pietre, sento l’umido, vedo le cose che ai turisti sfuggono, conosco davvero ogni singolo angolo, ogni anfratto, tutto. E oggi come oggi Venezia è bellissima, sì, ma come un decoro teatrale. Per ventuno anni io sono stato il fotografo del Teatro La Fenice, quindi conosco benissimo il decor e so che nel decor non ci vivo, non ne sono capace; devo per forza avere uno scambio, un qualcosa che mi arricchisca, che mi faccia continuare ad evolvere umanamente. Ne ho bisogno come l’aria che respiro, altrimenti soffoco. A Venezia avevo un ruolo abbastanza importante, si può dire che bene o male sono stato il fotografo di tutti i grandi avvenimenti degli ultimi decenni; sono stato anche il solo fotografo votato per essere ammesso come socio all’Ateneo Veneto, istituzione antichissima in cui nessun fotografo è stato mai fatto entrare: mi era arrivata una lettera in cui mi comunicavano che mi avevano scelto. Son tutte belle cose, no?

od Beh, sì, certamente...

G.A. Ecco, sì, però sono tutta forma.

Graziano Arici. Fotografia di Monica Cillario

od E tu per il tuo Archivio volevi sostanza. Parlami del tuo Archivio, che vorrei capire meglio.

G.A. Il mio archivio ha una grossa parte legata ai ritratti. Le foto scattate da me sono quelle che vanno dal 1972 in poi; le altre, quelle precedenti, le ho acquistate. Ad un certo punto, guardando le mie foto di archivio, quelle che avevo fatto io, ho cominciato a pormi la domanda: come faccio ad andare indietro, ad avere una documentazione antecedente al mio lavoro? Mi sono cioè  chiesto come avrei potuto andare indietro nel tempo.

od Perché hai voluto andare indietro nel tempo?

G.A. Perché il mio target di lavoro è sempre stato quello di raccontare la vita culturale e i grandi personaggi che hanno gravitato intorno a Venezia; ma quando dico grandi intendo proprio quelli che hanno fatto la storia culturale di questo e dell’altro secolo.

od Beh, io direi soprattutto del secolo scorso, del Novecento, perché questo secolo qui ne ha meno.

G.A. Sì, infatti sono andato via da Venezia anche un po’ per questo. Ma andiamo con ordine, ti stavo dicendo che ad un certo punto ho cominciato a sentire l’esigenza di poter andare indietro nel tempo, di completare il mio archivio anche con grandi personaggi che io, per motivi anagrafici, non avevo potuto fotografare. Così ho cominciato a cercare le fotografie, ma non ho acquistato blocchi di foto (avrei potuto, ma mi son guardato bene dal farlo, perché ho voluto sceglierle una per una).

od Come mai questa volontà di scegliere singolarmente le foto?

G.A. Perché volevo avere un archivio vasto, ma con foto che avessero tutte un certo stile, il mio. Io non ho mai fatto ritratti in posa, non mi sono mai piaciuti, li ho sempre trovati banali, inflazionati; ho sempre cercato di ritrarre le persone nel modo meno convenzionale possibile e quando ho cominciato ad acquistare le foto fatte da altri prima di me, ho scelto quelle scattate da fotografi che mi sembrava avessero un approccio fotografico il più possibile simile al mio, proprio per dare una continuità critica al mio archivio. Sono stato mesi e mesi a fare quella che io chiamo the choice, la scelta.

Keith Haring, 1984. Fotografia di Graziano Arici

od Hai speso molto?

G.A. Ho speso abbastanza poco.

od Perché?

G.A. Perché sono furbo.

od Hai stampe o negativi?

G.A. Io ho solamente negativi, non ho comprato stampe, per scelta.

od Come mai hai scelto di avere solo negativi?

G.A. Perché volevo avere i diritti. Di queste foto ho anche i pergamini che hanno contenuto gli scatti e ce li ho con il provino attaccato.

od Quindi, ricapitolando, tu hai scelto di comprare solo i negativi per poter continuare ad avere i diritti di tutte le foto e hai scelto gli scatti che si avvicinavano di più al tuo modo di fare foto, giusto?

G.A. Sì, esattamente; io non ho scelto il ritratto solito, non volevo foto in posa, ne volevo di più originali. Per esempio: foto di Cocteau in giro ce ne sono moltissime, ma Cocteau che si fa la barba allo specchio, ecco, di foto così non ce ne sono molte e quello è un genere di foto che avrei potuto fare io.

od Arriviamo all’amaro calice, parliamo della tua decisione di lasciare Venezia e l’Italia.

G.A. Ho passato tre, quattro anni di grande noia a Venezia, perché Venezia è veramente un postaccio. E se dico che Venezia è un postaccio è perché io ho vissuto gli anni in cui Venezia era ancora un gioiello, una meta di artisti e intellettuali, insomma, ho vissuto l’ultima grande Venezia.

Enzo Cucchi and Maurizio Cattelan, 1997. Fotografia di Graziano Arici

Mentre mi dice questa frase, volge lo sguardo alla parete alle mie spalle e con il dito mi indica alcune cose appese: uno spartito di Luigi Nono (che lui chiama confidenzialmente “Gigi”), poi c’è un lavoro di Jeff Koons, seguito da un Pistoletto, un Paladino, un Vedova, un Cattelan, un Cucchi… e intanto mi racconta che ora, un po’ alcuni sono morti e un po’ Venezia non è più il centro culturale di un tempo e nemmeno la Biennale serve a risollevarne le sorti. Allora chiedo timidamente: e il festival del cinema?

G.A. Non è assolutamente più quello di una volta. A Venezia non c’è più la possibilità di avere vere occasioni di dialogo, di confronto costruttivo e, come ti ho appena detto, non è più vista come una meta in cui vanno gli intellettuali.

od Mi stai dicendo che ormai Venezia è solo più una meta da turismo di massa, da navi da crociera?

G.A. Sì, esatto.

od Torniamo al tuo archivio. Tu lo hai proposto a diverse istituzioni ma loro te lo hanno rifiutato, è così?

G.A. Sì, tutti si sono dimostrati interessatissimi al mio archivio, ma a parole, poi al momento di fare i fatti le cose non si sono concretizzate.

od Chiedevi troppi soldi?

G.A. Ho tutto documentato da lettere e posso tranquillamente dire che no, non chiedevo affatto la luna. Senza contare che offrivo un archivio in perfette condizioni e tutto in ordine (e solo per metterlo in ordine io personalmente ho speso centinaia di migliaia di euro, soldi che loro avrebbero risparmiato trovandosi il lavoro già tutto catalogato). Comunque ti racconto anche un altro fatto che mi ha indotto a dire basta, ed è questo. Io ho sempre avuto il mio lavoro legato ai ritratti, che è quello che, diciamo così, mi dava il pane; poi però ho portato avanti parallelamente un lavoro personale, mio, che non ho mai fatto vedere a nessuno.

od Ma era una specie di escamotage per fuggire alla quotidianità, alla routine del tuo lavoro o era veramente un strada parallela?

G.A. Era una strada parallela che però, per motivi miei, non avevo mai fatto vedere. Ma qualche mese prima di andar via, in giro per Venezia incontrai Ziva Kraus (una nota gallerista, ndr) e le dissi che stavo iniziando un lavoro di nudo che avrei fatto con l’iPhone. Lei si dimostrò interessata, tanto da dirmi di portarle a vedere le foto a lavoro finito. Io faccio il lavoro, porto tre o quattro stampe alla sua galleria, lei le appoggia al muro, mi dice che risaltano benissimo, si complimenta, mi dice che verrà una mostra bellissima, insomma, è entusiasta; poi vedo che si blocca di colpo, dicendomi: però tu sei famoso per i ritratti, se espongo questo tuo tipo di lavoro la gente sarà meno attratta. Ecco, per me questa è stata la chiave di volta, io lì ho capito che dovevo andarmene da Venezia, ho realizzato che ero invischiato in una città morta.

od Quindi non è stato solo il fatto che ti hanno rifiutato l’archivio, è stata tutta una serie di cose.

G.A.  Sono state molte cose messe insieme e Ziva è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Per chiarire: prima cosa il rapporto che le istituzioni importanti hanno avuto con il mio archivio; anche perché bisogna tener presente che io non ho mai offerto il mio archivio a nessuno, tutti me l’hanno chiesto! Tutti mi hanno chiesto incontri, alcuni mi hanno detto che non lo avrebbero comprato ma mi avrebbero dato comunque lo spazio per esporlo e poi… niente, tutte parole (e ho le lettere, tutto nero su bianco).

od Se non fosse che lo sto sentendo direttamente da te, francamente avrei difficoltà a crederci, tanto mi sembra assurda tutta la faccenda. Ad ogni modo, ora sei venuto qui ad Arles in pianta stabile?

G.A. Sì.

Charles Ray and Paul McCarthy, 1993. Fotografia di Graziano Arici

E mentre mi dice quel sì non scorgo alcun tentennamento. Cosi gli domando: ma la Francia invece? Si è mostrata interessata a questo tuo archivio?

G.A. Io sono venuto qua con un atteggiamento molto umile e appena arrivato conoscevo solo la panettiera che sta in fondo alla strada. Sono qui, fisso, da tre anni e non ho mai sbandierato ai quattro venti chi sono, cosa ho fatto, eccetera; semplicemente, anche tramite un social network come Facebook, ho cercato contatti nei dintorni che avessero interessi legati alla fotografia e un po’ alla volta ho cominciato a farmi un giro di amicizie. Ho incontrato una gallerista che vive qui vicino a me, le ho mostrato i miei lavori, lei mi ha presentato un po’ in giro e piano piano ho cominciato ad essere conosciuto: mi hanno fatto fare due mostre a La Ciotat (e mi hanno pagato loro le stampe e non solo, mi hanno pagato per esporre); poi ho fatto due mostre, piccole, qui ad Arles e sono piaciute; l’anno scorso invece ho esposto in una galleria, sempre qui ad Arles, durante i Rencontres: la mostra è andata molto bene, in 20 pomeriggi abbiamo avuto qualcosa come 4500 visitatori. Era la prima volta che esponevo tutto il mio lavoro e temevo un po’ il giudizio della critica, invece è andato tutto benissimo, talmente bene che ora ho in programma, per febbraio, un’esposizione in Russia perché la mia mostra è stata vista da Olga Sviblova, una signora che dirige un importante museo a Mosca, il MAMM. Era venuta a vedere il mio lavoro perché glielo avevano consigliato, è rimasta due ore e poi mi ha detto che voleva assolutamente che facessi una mostra al MAMM. Ovviamente stampe, cornici, tutto quanto, sono a carico del museo che poi mi restituirà i lavori e io con molta probabilità porterò poi il tutto in un’esposizione che dovrebbe tenersi a Berlino.

od Meraviglioso! Non sei contento?

G.A. Sì.

od Ma hai l’amaro in bocca riguardo all’Italia?

G.A. No, non me ne importa nulla. Certo, ho già parlato con alcuni giornali italiani, in particolare di Venezia, i quali scriveranno di questa mia mostra e scriverò un paio di lettere, questo sì. Ad ogni modo il discorso è il seguente: qui c’è una qualità di vita completamente diversa, ma dicendo questo mi pare di dire cose scontatissime. Per quanto riguarda il mio lavoro invece, io qui ho un confronto permanente con la gente, con persone che fanno cose, che producono arte e cultura, che organizzano eventi, sempre; ed è una cosa che io in Italia non ho mai avuto. Credo però che non sia solo un fatto legato ad Arles, perché a Lione ho avuto la stessa percezione e quindi mi sento di dire che è la Francia in generale che è più attenta alla cultura.

od Rimpianti?

G.A. Ma scherzi?!

La mia intervista a Graziano si è conclusa qui.

Lui ed io ci siamo visti a metà gennaio; strada facendo ha esposto a Lione; poi il MAMM di Mosca ha ospitato la mostra “Graziano Arici. Venezia. La cultura del mondo e i suoi volti” (che si concluderà il 17 marzo prossimo): le sue opere hanno avuto un grande successo di critica e di pubblico e Graziano ha tenuto un master class durante la Fotobiennale 2016, a Mosca.

Del suo Archivio son tornati a parlare diversi giornali, nonché  la Farnesina, attraverso l’Istituto Italiano di Cultura di Mosca e, come gli ho detto prima di salutarlo, son convinta che di lui continueremo a sentir parlare e forse qualcuno, qui da noi, si morderà le mani. Anche perché l’adagio nemo propheta in patria, francamente, ha fatto il suo tempo.

Data di pubblicazione: marzo 2016
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