Camilla FerrariLo scorso mese abbiamo parlato della Cambogia, dei suoi tramonti e della sua calda e afosa capitale. Oggi il nostro viaggio ci porta dall’altra parte del mondo, e dall’altra parte della scala Celsius: ci troviamo in Islanda, la terra delle rocce vulcaniche, delle cascate e dei deserti glaciali.

Come tutti sappiamo, l’Islanda scatena un certo fascino in molti fotografi, grazie alla maestosità dei suoi paesaggi lunari e delle atmosfere estremamente suggestive, che permettono di realizzare scatti molto interessanti. Ma c’è una parte di quest’isola meno frequentata, immersa in chilometri di deserto roccioso ricoperto di lava - per un attimo mi è sembrato di essere parte del set del Signore degli Anelli, e non mi sarebbe sembrato strano incontrare qualche creatura demoniaca proveniente da Mordor…

Questo luogo è Lofthellir, che ospita le sculture di ghiaccio più grandi attualmente conosciute in una grotta di lava islandese. Dopo ore di guida in macchina e mezz’ora di camminata tra le rocce (l’unico modo per raggiungerla è tramite un tour organizzato), si presenta davanti ai miei occhi questa discesa nella profondità della terra… Una visione fiabesca e inquietante al tempo stesso, se considerate che l’unico modo per entrare all’interno della grotta è un buco di circa 70 centimetri.

Camilla Ferrari @2016 Islanda

Quindi, immaginatevi come mi sono sentita avendo un abbigliamento a strati per proteggermi dal freddo, la macchina fotografica al collo, lo zaino con il resto dell’attrezzatura, ma soprattutto… il cavalletto. Non sarei mai entrata in quella grotta portando tutto con me, e al tempo stesso sapevo che non sarei riuscita a scattare a mano libera in un luogo buio come quello. Avevo bisogno della mia attrezzatura. Guardando nel buco vedo una discesa di ghiaccio, ma non ne vedo la fine a causa della scarsa luminosità; nonostante questo prendo la - poco - saggia decisione di lasciare cadere il cavalletto per farlo scivolare alla fine della discesa, con la speranza di ritrovarlo integro una volta riuscita ad entrare.

Fortunatamente il mio Manfrotto era sano e salvo, così come il resto dell’attrezzatura. A quel punto non restava altro che raggiungere la parte più ampia della grotta dove si nascondevano le formazioni di ghiaccio. Dopo aver gattonato per strette feritoie e aver rischiato altre due o tre volte di rompere la macchina fotografica contro le stalattiti, finalmente abbiamo raggiunto le sculture di ghiaccio, soprannominate dalla guida “Ice castle”. E aveva ragione.

Per permettermi di fotografare meglio la scena, ha posizionato alcune luci di vario colore dietro il ghiaccio, che ha fatto da diffusore e ha reso tutta la scultura illuminata tanto quanto bastava per scattare questa fotografia.

Volevo trasmettere l’atmosfera fiabesca, mistica, quasi elfica che avevo provato dal mio ingresso in quel mondo oscuro e che allo stesso tempo mi aveva reso un po’ inquieta. Sulla Canon 5D Mark III che ho portato con me avevo montato un obiettivo grandangolare 12-24mm, così da riuscire ad includere nell’inquadratura l’interezza della grotta. Poiché il pavimento della grotta era ricoperto di ghiaccio i miei piedi scivolavano, così come il cavalletto, ma ho cercato di stare il più ferma possibile trattenendo il respiro - un trucco che un fotografo mi svelò durante un workshop. Ovviamente ho dovuto alzare parecchio gli ISO - 8000 - poiché volevo avere tempi non troppo lunghi in modo da riuscire a fermare nello spazio la silhouette della guida che posizionava le luci, come se fosse lui la creatura demoniaca che la mia mente aveva immaginato mentre raggiungevamo la grotta…

Dopo aver scattato, mi sono fermata ad osservare quello spettacolo. La guida ha poi spento tutte le luci, lasciandoci nel buio più nero, che ognuno si è goduto in profondo silenzio, interrotto soltanto dal suono delle gocce che dal soffitto cadevano ripetutamente sul ghiaccio.

Data di pubblicazione: maggio 2016
© riproduzione riservata

 

Cerca su Osservatorio Digitale