Che il tradizionale mercato della fotografia sia diventato negli ultimi anni sempre più difficile, complice l'enorme aumento dell'offerta di immagini indubbiamente favorito dall'accessibilità della tecnologia digitale, è un fatto innegabile. Nonostante la cosiddetta "civiltà delle immagini" implichi un massiccio consumo delle stesse, altre dinamiche hanno portato a un abbassamento del valore medio che la committenza è disposta a riconoscere; gli stessi new media nati e diffusisi negli ultimi quindici anni hanno deluso le aspettative di chi vedeva in essi un mercato dalle grandi potenzialità, e per molti fotografi è quindi diventato imperativo trovare strade alternative per poter mettere a frutto le proprie competenze. Chi si specializza in nicchie particolari, chi allarga il proprio raggio d'azione all'insegna della convergenza digitale, chi sceglie la strada della divulgazione con libri, corsi e workshop, chi si dedica alla sperimentazione e alla ricerca. E poiché il compito di questa rubrica è quello di testimoniare i cambiamenti e le contaminazioni in atto, stavolta parliamo dell'esperienza di chi è riuscito a unire la passione per la fotografia all'amore verso la natura e gli animali inventandosi una professione suggestiva proprio al punto di congiunzione di questi due interessi. Quella che state per leggere è la storia di Federico Veronesi, fotografo e guida che ha fatto dei maestosi scenari del Kenya il suo studio e la sua vita.

Federico Veronesiod: Lo scorso anno abbiamo pubblicato il profilo di un'altra "malata di Africa" come Alessandra Soresina, ma in quel caso si è trattato di una biologa che ha scoperto sul campo la propria passione per la fotografia. La tua situazione sembra essere invece opposta, essendo tu un fotografo che ha deciso di portare la sua professione tra gli animali della savana. Qual è la genesi di una decisione così insolita?

FV: Ho sempre avuto fin da bambino una enorme passione per gli animali, in particolare per quelli africani, trasmessami senz'altro dall'ambiente famigliare ma poi consolidatasi quando ho potuto fare il mio primo vero safari all'età di sei-sette anni: lì mi si è aperto un mondo che ho però tralasciato negli anni seguenti dedicandomi allo studio e a una preparazione più tradizionali, ma al quale sono tornato immediatamente dopo la laurea in economia. Paradossalmente è stato proprio questo tipo di studio, certo lontano dalle scienze naturali, a permettermi di trovare lavoro in Kenya con uno stage trimestrale presso la nostra ambasciata di Nairobi, esperienza che mi è servita soprattutto come test per capire se, passione per gli animali a parte, quei luoghi potessero essere per me tanto vivibili da potermici trasferire definitivamente.

od: Mi sembra che il test abbia avuto esito positivo...

FV: Assolutamente, e per questo ho subito cercato lavoro localmente trovandolo presso una NGO italiana per la quale ho svolto funzioni amministrative. In quattro anni di permanenza ho potuto approfondire la conoscenza del paese, crearmi qualche contatto e viaggiare per i parchi nazionali insieme con la mia attrezzatura fotografica appena avevo un momento libero. E, alla fine, mi sono sentito pronto per compiere il salto e dedicarmi interamente alla fotografia: lasciato il lavoro amministrativo ho creato la mia base operativa in un campo tendato nel Masai Mara, una delle tre o quattro aree più ricche di animali dell'intera regione insieme al Serengeti e al lago Nakuru.

Foto di Federico Veronesiod: Quando sei arrivato in Kenya non eravamo ancora nell'epoca digitale. Come ti regolavi allora?

FV: In effetti ho iniziato come fotografo analogico scattando diapositive fino almeno alla fine del 2005, quando la tecnologia digitale ha iniziato a fornire una qualità adeguata. A Nairobi c'era un laboratorio molto valido per lo sviluppo delle diapo che serviva l'intera comunità di fotografi operanti in tutto il Kenya; il problema era invece l'approvvigionamento dei rullini, costosi e di difficile reperibilità, tanto che ero solito come tutti approfittare di ogni rientro in Italia per ricostituirmi le scorte.

od: Com'è la situazione per un occidentale che decida di trasferirsi a vivere e lavorare in Kenya?

FV: La mia esperienza è stata decisamente buona: il Kenya è un paese abbastanza aperto, che ha capito che la presenza di occidentali residenti attira turismo e investimenti, e si regola di conseguenza. Anche i rapporti individuali sono buoni, e non ho mai avuto alcuna difficoltà né la sensazione di trovarmi in mezzo a qualche problema. Il segreto, come sempre, è quello di fare tutto in regola, tenere un profilo appropriato ed essere rispettosi del paese che ti ospita. Certo, occorre sempre tenere presente una certa precarietà di fondo dell'Africa: tutto può succedere, come è capitato proprio in Kenya dove abbiamo vissuto un paio di mesi davvero difficili agli inizi del 2008. Ora la situazione è tornata tranquilla, ma l'instabilità è un fattore con cui fare i conti quando si sceglie un continente peraltro bellissimo come quello africano.

Foto di Federico Veronesiod: Il tuo lavoro non è però quello del fotografo tradizionale.

FV: Ero consapevole che, almeno inizialmente, mi sarebbe stato difficile riuscire a vivere soltanto vendendo i miei scatti. Da qui l'idea di mettere a disposizione le mie conoscenze della fotografia e del posto per un'attività parallela al servizio di altri fotografi. Esiste infatti una vasta offerta di cosiddetti "safari fotografici", ma in realtà si tratta quasi sempre di normali safari senza alcuna preparazione specifica; qualcuno offre la partecipazione di un fotografo professionista che tiene un corso e siede a fianco dell'autista a cui dà le direttive per posizionarsi in favore di luce e di inquadratura. La mia idea è un po' diversa e si basa sul presupposto che sia il fotografo stesso a fare da guida e da autista, cosa che permette di muoversi sempre tenendo presenti le esigenze di luce, composizione e sfondo oltre, naturalmente, al comportamento degli animali che si vogliono riprendere.

od: Come si svolge il tuo safari-tipo?

FV: A differenza del safari turistico mordi-e-fuggi, i risultati migliori si hanno solo se si accetta di calarsi nei tempi e nei ritmi della natura. Il mio safari dedica molto tempo a seguire l'animale individualmente per conoscerne il carattere e le abitudini. Entrando nel clima ti affezioni al tuo soggetto, ti ci immedesimi perché riesci a stabilirci un rapporto: in questo modo è possibile riconoscerne i segnali e capire quando sta per succedere qualcosa. La fotografia naturalistica è fatta di lunghe attese e azioni improvvise: se non ti appoggi a un esperto è facile perdere il momento giusto. Molti dei fotografi che vengono con me, specialmente quelli che tornano più spesso, dopo aver avuto una panoramica dei diversi animali e delle situazioni, apprezzano molto questo approccio, e sono spesso loro stessi a chiedermi di focalizzarci su un particolare soggetto anche per tutta la durata del safari.

Tieni conto poi che si fotografa sempre dall'automobile, sia per una questione di sicurezza sia perché gli animali diventano guardinghi o addirittura fuggono non appena scorgono la figura umana. L'auto, almeno nei parchi nazionali, non è associata a un pericolo e quindi non è considerata una minaccia. Ecco allora che ho strutturato apposta il mio fuoristrada secondo le esigenze del fotografo: per questo ho tetti apribili, finestrini molto ampi e un supporto per la testa di un treppiede sulla portiera del guidatore. Ho anche fatto modificare le portiere laterali affinché sia possibile inquadrare dal basso sdraiandosi sul fondo della macchina, un accorgimento essenziale per riprendere animali di piccola taglia o anche solo per cambiare la prospettiva dell'immagine.

Foto di Federico Veronesiod: Per questa attività ti appoggi a tour operator?

FV: No. Inizialmente avevo provato ad avvalermi di questo canale ma, tranne una singola eccezione, i tour operator non mi hanno mai portato clienti. Funziona meglio Internet e il contatto diretto: qualche articolo su riviste, qualche partecipazione a concorsi fotografici, il mio sito... il nome ha iniziato a circolare e le persone interessate mi contattano direttamente; la parte logistica del viaggio si organizza poi con una agenzia locale molto valida e sperimentata. Il vantaggio del contatto diretto è ovviamente che arrivano a me le persone che cercano esattamente il tipo di esperienza che io propongo, mentre col tour operator è sempre presente il rischio di incomprensione con clienti che vogliono una vacanza più turistica e tradizionale.

Mantengo poi un rapporto di collaborazione con i due ragazzi italiani titolari di Africa Wild Truck con i quali dal Malawi organizziamo periodicamente dei workshop in vari paesi africani - il prossimo si terrà a luglio in Zambia - viaggiando con un grosso camion attrezzato. In questo caso mi limito a fare da guida fotografica in modo del tutto slegato dalla mia attività in Kenya, ma è comunque un'esperienza molto interessante.

od: Quali sono i tratti più caratteristici della tua clientela? Il loro lato più forte è quello fotografico o quello naturalistico?

FV: Sono sempre persone che uniscono molta passione per entrambi gli aspetti, a volte anche in modo viscerale. Direi che in loro si ritrova sempre un forte senso di attenzione nei confronti della natura e della conservazione, mentre la preparazione fotografica è variabile. Comunque avendo molto tempo a disposizione durante le attese è possibile seguire dal punto di vista tecnico chi ha bisogno di suggerimenti e consigli, mentre con i fotografi esperti ci si scambiano opinioni.

Foto di Federico Veronesiod: E a proposito di fotografia, arriviamo all'obbligatoria domanda relativa all'attrezzatura.

FV: Uso principalmente una full frame Nikon D700 con un obiettivo da 600mm, ricorrendo al formato APS-C di un corpo D300 quando ho bisogno di maggiore distanza. La mia configurazione principale è stata scelta perché gli animali che riprendo sono solitamente molto grandi, e la focale così lunga permette di staccare bene lo sfondo. Per i paesaggi ricorro a ottiche grandangolari non molto spinte - mai sotto i 24mm per intenderci - dal momento che non potendo scendere dall'automobile vi sono dei vincoli di prospettiva. Uso meno le ottiche intermedie da 80 a 200mm, mentre gli obiettivi da 200 a 400mm sono adatti alle situazioni d'insieme quando c'è bisogno di margine per non perdere l'eventuale movimento improvviso di un animale o per fornire un contesto e un senso dell'ambiente intorno al soggetto.

od: Tu che la usi costantemente sul campo, quale esperienza hai avuto in termini di affidabilità dell'attrezzatura?

FV: Effettivamente io non sono uno che tratta l'attrezzatura con molta delicatezza, eppure finora non ho mai riscontrato problemi particolari. Vero è che mi muovo sempre in macchina e a una certa altitudine, dove la temperatura non supera i 30 gradi, e quindi non siamo in ambienti estremi; però esiste un grosso problema con la polvere anche se direi che colpisce di più le ottiche che i corpi macchina. È una polvere che si insinua nei meccanismi degli obiettivi impedendo lo scorrimento fluido degli zoom e delle ghiere: l'unica soluzione è smontare le ottiche e ripulirle, ma localmente non esiste un'assistenza tecnica adeguata per cui questo genere di manutenzione deve essere fatto in Italia.

Foto di Federico Veronesiod: Un tempo chi si recava nel cuore dell'Africa con una macchina fotografica tornava con un reportage che poteva vendere senza difficoltà a qualche rivista illustrata. Oggi, a parte la siccità del mercato editoriale, non esiste più l'effetto novità che poteva esserci una trentina di anni fa. Come vive questa situazione un fotografo come te?

FV: Estenderei il discorso alla fotografia naturalistica in genere perché, specie in contesti molto accessibili come i parchi nazionali africani, il rischio è di ripetere immagini già viste o noiose e didascaliche. Quindi la sfida è quella di sfruttare questa stessa accessibilità per inventare qualcosa di diverso. Non è facile, tanto più essendo vincolati a scattare dalla macchina, quindi con una prospettiva relativamente fissa. Io stesso sto effettuando da tempo vari esperimenti, dato che è una strada che va senz'altro seguita se si vuole uscire dai soliti canoni. Esemplificativo è il comportamento di chi viene in safari con me: la prima volta cerca di ripetere le stesse inquadrature che ha visto sui giornali o in qualche documentario, magari privilegiando la quantità di animali fotografati rispetto alla particolarità delle situazioni riprese; poi, quando magari torna una seconda volta, apprezza di più il mio approccio specialistico e va alla ricerca di qualcosa di differente. Ci vuole preparazione, pazienza, metodo e, come sempre, un pizzico di fortuna, ma la soddisfazione è davvero grande.

Foto di Federico Veronesi

od: Saranno anche foto già viste, come dici, ma c'è sempre modo e modo per farle: tanto è vero che l'ente del turismo del Kenya ha scelto i tuoi lavori per un programma di promozione turistica.

FV: Quando trascorri tanto tempo con un animale hai maggiori possibilità di catturare la luce migliore e le scene più interessanti, e questo è certamente un vantaggio rispetto a chi si muove con tempi ristretti. Ora che dispongo di un archivio di una certa consistenza mi è più facile trovare committenze come quella che dicevi o richieste per la realizzazionedi cataloghi; ho anche un libro fotografico in cantiere con Silvana Editoriale, tanto che in autunno tornerò in Italia per seguirne le bozze conclusive. Ma il mio lavoro principale, penso ancora per un bel po', continuerà a essere lungo le piste del Masai Mara.

Tutte le fotografie che accompagnano l'articolo sono di Federico Veronesi.

Federico Veronesi: www.federicoveronesi.com

Data di pubblicazione: giugno 2010
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