Spesso mi domandano come iniziare ad imparare a fotografare per poi trasformare i propri scatti in una professione. La risposta immediata, quella che subito mi balena alla mente quando mi pongono questa domanda, è che non esiste un'unica strada da seguire, anzi, un sentiero segnato non c'è proprio (e, tra l'altro, secondo me è questo il bello); ciò detto è chiaro che esistono dei percorsi consigliabili per tutti, c'è un punto di partenza ed è imparare ad usare una reflex, ossia impadronirsi della tecnica e per farlo... beh, per farlo non mi permetto di salire in cattedra e di dire si deve fare così o cosà. Posso però parlare della mia esperienza personale.

Dopo anni di fotografia con apparecchi fotografici digitali (usavo e via via uso ancora una Pentax Optio 330RS e una Leica D-LUX3), ho deciso di rinunciare ad un viaggio che volevo fare negli Stati Uniti e ho acquistato una Nikon (una D700, per la precisione); a casa ho aperto il libretto di istruzioni e mi sono sentita male, dico sul serio: i manuali universitari sui quali studiavo per gli esami erano meno complicati. In un primo momento ho pensato di essere idiota e imbranata, poi, leggendo alcuni forum, ho appurato che in molti criticavano quello stesso manuale, bocciandolo come poco agevole e troppo astruso; con la leggerezza nel cuore che deriva dal "mal comune mezzo gaudio", l'ho risfogliato con più calma ma senza grandi risultati. Dopo pochi giorni ho deciso che un corso base fosse imperativo.

Le scuole di fotografia abbondano, soprattutto nelle grandi città e Roma non fa eccezione; ne esistono di ottime, ma molte hanno prezzi stratosferici e richiedono colloqui preliminari prima di accettare le iscrizioni. Non mi sono certo scoraggiata per i colloqui e ne ho fatto uno in una scuola molto quotata qui nella Capitale: mi hanno accettata e fin qui tutto bene. Orari delle lezioni e costo del corso erano però proibitivi e alla fine ho rinunciato. Non dico che non bisogna frequentare questo tipo di scuole "stratosferiche", ben inteso, dico però che, sulla base del mio vissuto personale, non sono così indispensabili e il tempo mi sta dando ragione di questa mia convinzione. Con il manuale della Nikon che si impolverava sempre più e il coupon di iscrizione alla scuola nel cassetto, ho lurkato qua e là su Internet e ho posto l'attenzione su scuole che fornivano corsi base in tempi meno dilatati, con orari più flessibili e, particolare da non sottovalutare, a costi accessibili.

Fra queste c'era (e c'è tuttora), la scuola di fotografia ISO100 che prevedeva corsi pomeridiani e serali con un numero non elevato di allievi, a cadenza bisettimanale, della durata media di due mesi. La prima lezione era di prova, poi si poteva decidere se restare o andarsene e questo mi era sembrato un buon inizio. È così che ho conosciuto Marcello Melis, fondatore di ISO100. Quando l'ho frequentata io la sua scuola era già avviata ma non ancora così articolata com'è ora, a dimostrazione che, guidata solo dall'intuito, avevo puntato su un professionista valido. Marcello è un ingegnere spaziale, lavoro che ha svolto per diversi anni con grande soddisfazione; la fotografia è sempre stata una sua passione ma a livello amatoriale. Solo dopo, quando la sua vita ha preso una virata personale di quelle in cui più o meno tutti, almeno una volta nel corso della nostra esistenza ci imbattiamo, le foto sono diventate una professione.

"Per anni ho lavorato all'Agenzia Spaziale Europea occupandomi di immagini digitali da satellite e questo mi ha agevolato nel lavoro di fotografo poiché dal punto di vista tecnico dell'immagine digitale non ci sono segreti per me", così mi disse un giorno durante una chiacchierata. Ai corsi, pur parlando di rudimenti tecnici che come tali possono essere non dico noiosi però comunque poco discorsivi, Marcello spiega in modo chiaro ma semplice, e questo per me è un rilevante punto a favore. Dopo alcune settimane di lezione sono venuta a sapere che una sera doveva andare a fare delle foto di scena in un teatro in cui provava una compagnia di danza e gli ho domandato se potevo accompagnarlo, senza la mia macchina fotografica, solo per esserci e guardarlo lavorare. Lì per lì è rimasto un po' perplesso, poi mi ha detto "Ok, perché no? Vieni". Riporto l'episodio solo per sottolineare due fattori secondo me importanti nella professione del fotografo: il primo è la faccia tosta (mia in questo caso), che, ovviamente sempre accompagnata dall'educazione, non può mancare a chiunque voglia fare questo mestiere - unita alla curiosità, alla voglia di imparare con umiltà da chi è arrivato prima di noi - e il secondo è saper scegliere un buon maestro, che non è solo quello che ti insegna nelle ore canoniche dei corsi, ma quello che è disponibile a spiegarti il suo lavoro sul campo e Melis è senz'altro uno di questi.

Dipende forse dal fatto che lui stesso ha iniziato proponendosi come "ragazzo di bottega", scattando foto gratuitamente, insomma facendo la classica gavetta senza ricavarne un compenso in denaro, almeno non subito; lavorando per passione e non per mestiere. La passione con gli anni lo ha portato a creare la sua scuola che offre corsi base e avanzati di fotografia reflex digitale, moduli tematici di fotografia professionale, corsi di reportage e street photography, nonché color management in fotografia digitale e un corso di ritratto tenuto da Luigi Saggese (il fotografo di Miss Italia per intenderci); i moduli hanno una durata di 22 ore, ci si può iscrivere tutto l'anno, prevedono due uscite, un massimo di dieci persone e un costo che varia fra i 250 e i 330 euro. Quando l'ho rivisto mi ha spiegato che ha in progetto anche altre lezioni sulla figura femminile in studio, nonché sui book, "che sono un'esperienza che è tutto tranne che banale in quanto è un percorso di feeling emotivo con le persone che ritrai", e così dicendo mi ha confermato quello che sempre ho pensato, ossia che questo lavoro non lo puoi fare se non smuovi delle emozioni, in te stesso e negli altri.

Imparata una base tecnica ho cominciato a scattare provando grande soddisfazione perché finalmente riuscivo ad accedere al menu della mia reflex senza ammattire troppo, ma sentivo che mi mancava qualcosa: la capacità di scegliere un taglio che desse particolarità allo scatto, che facesse di una mia foto "la" foto e non un'immagine anonima. In questo caso, strano ma vero, mi è venuto in soccorso Facebook. Fra gli amici di una mia amica ho visto le foto di Pasquale Comegna, che mi hanno folgorata. Pasquale fotografa di tutto, dai ritratti ai paesaggi, ai monumenti, al cibo, ma non c'è una sola sua foto che non abbia una singolarità che fa di quella foto un unicum. Ho osservato bene e più volte i suoi lavori e mi sono resa conto che quello che dava bellezza e soggettività agli scatti era lo sguardo, la scelta del taglio. Gli ho chiesto l'amicizia e gli ho domandato se teneva dei corsi di fotografia. Ricordo che eravamo in estate e mi rispose che era troppo impegnato fra foto per riviste, mostre e scatti per i suoi libri di fotografia per fare dei corsi, ma aggiunse anche che ogni tanto teneva dei workshop e che nell'eventualità mi avrebbe contattata. Pensai che non lo avrei più sentito, poi, in autunno, mi arrivò una sua mail. Era a Roma e di lì a breve avrebbe fatto un workshop di due giorni in giro per la città, costo 150 euro. In quei due giorni di full immersion nelle strade e nei monumenti romani ho imparato ad avere un altro sguardo, a cogliere il particolare che dà personalità ad uno scatto.

"Nella fotografia, come spesso nella vita, bisogna togliere, svuotare più che riempire, alleggerire", questo è il leitmotiv del modo di lavorare di Pasquale, anche lui disponibilissimo a seguirti passo passo, a regalarti la sua esperienza con generosità e umiltà; ciò deriva, credo, dal fatto che pure Pasquale ha iniziato per caso a fotografare, per passione mista a quei casi della vita che non riusciamo a spiegare bene nemmeno a noi stessi. Ha iniziato a Parigi, accompagnando un amico che gli aveva spiegato i primi rudimenti di fotografia; lì ha cominciato a fotografare tutto ciò che gli sembrava interessante: "Tornai a Roma con ben dieci rullini in bianco e nero e quello fu il materiale che mi permise di lavorare in camera oscura; il risultato, con il senno dell'oggi, non fu affatto male per un principiante. In quel periodo lavoravo come tecnico in teatro e cominciare a sperimentare in quel contesto i nuovi lavori fotografici fu la cosa più logica; certo un settore particolare, ma da lì prese il sopravvento la mia passione. Dopo anni di teatro aprii uno studio fotografico a tutti gli effetti a San Lorenzo (un quartiere universitario di Roma, ndr), che divenne un punto di riferimento per tanti fotografi romani perché non era solo uno studio ma uno spazio adibito anche a galleria fotografica, ospitando decine di autori noti e meno noti. Con l'avvento del digitale e con la modifica sostanziale del mercato fui costretto a chiudere ma cercai di sfruttare questa specie di rivoluzione entrando di forza nel contesto di internet creando con un amico il mio sito Web 'Lifeinitaly'".

Detto tra parentesi: il sito di Pasquale è da ben dieci anni al vertice della classifica di Google versione inglese sotto la voce "italian photo". Con lui ho fatto anche un workshop di due giorni nelle valli dell'Umbria per fotografare l'Autunno (due giorni e una notte con cena inclusa in un agriturismo meraviglioso al costo di 150 euro, tutto compreso, anche il venirti a prendere alla stazione se arrivi con il treno!) e in questo caso ho imparato ad avere uno sguardo diverso sulla Natura che dovevo fotografare, ho imparato a immaginare la foto prima di scattarla, a pensare a togliere, a scendere nel particolare cogliendo il punto di forza del soggetto più che il soggetto nel suo insieme. L'esperienza con Pasquale mi ha arricchita e ha migliorato la scelta estetica delle mie foto senza intaccare troppo il mio portafoglio (particolare secondo me non irrilevante). I suoi workshop sono sempre una sorta di viaggio di scoperta nell'estetica della fotografia, complici anche le varie location (ne ha in programma, tanto per citare quelli secondo me più significativi, alcuni in luoghi magnifici come Venezia, o suggestivi come quello notturno per le vie di Roma, a fotografare la notte).

Marcello Melis e Pasquale Comegna sono stati i miei primi maestri, mi hanno dato molto sia dal punto di vista tecnico-estetico sia su quello umano, mettendomi in contatto con altri professionisti che hanno arricchito il mio bagaglio professionale e li cito perché sono la dimostrazione che alla fotografia ci si può accostare raggiungendo buonissimi livelli anche senza dover necessariamente spendere una fortuna; è importante però accostarcisi con passione e senza pretendere di avere un guadagno immediato. Da loro come da altri ho imparato tanto, ma una delle cose più importanti è stato l'aver appreso che questo è un mestiere che fai solo se mosso da vera abnegazione, da una passione senza se e senza ma. Ogni fotografo è diverso, ma un punto li accomuna tutti: l'amore per la fotografia al di là del guadagno immediato. Nei giorni scorsi una ragazza che voleva muovere i primi passi in questo campo, mi ha chiesto come fare per riuscire a guadagnare con le proprie foto; non mi ha domandato da chi andare per imparare, per migliorare, ma come farsi pagare. Le auguro molta fortuna, però sono perplessa di fronte ad un simile approccio e non perché con la fotografia non si possa guadagnare, anzi, ma per il semplice fatto che non si può, secondo me, pensare alle foto come a un mero mercato, non credo sia mai stato così e di sicuro non lo è più oggi. Prima della remunerazione ci deve essere l'emozione.

Probabilmente sono un'estremista (ho rifiutato un lavoro pubblicitario ben retribuito perché non credevo nelle foto che dovevo scattare: dovevo pubblicizzare un caseificio fotografando i proprietari immersi con tanto di boccaglio e maschera da sub nelle caldaie colme del latte con cui si fa il parmigiano; la trovavo un'idea scontata e non credevo in quelle foto pertanto non ho accettato), ma non pretendo che il mio atteggiamento sia condiviso, ognuno ha il proprio approccio al lavoro. Una cosa però mi sento di affermarla: della fotografia se ne può fare una professione e quindi di fotografia si può vivere, ma, soprattutto, di fotografia si vive – ed è questo ciò che secondo me fa la differenza.

Le foto a corredo dell'articolo sono dell'Autrice.