Alessandro TrovatiAlessandro Trovati, fotografo milanese che si occupa prevalentemente di sport, ritorna da un assignment a Lanzarote. Quale evento sportivo si è svolto nelle isole Canarie? Nessuno, c'è stato uno shooting di nuovo materiale per una nota casa di abbigliamento. Sì, perché da un po' di tempo, oltre a fotografare lo sport più puro, quello con la esse maiuscola, Trovati viene spesso chiamato da clienti che producono abbigliamento o accessori sportivi per il suo stile dinamico, tipico di chi ritrae abitualmente gli atleti durante il gesto sportivo, capace di cogliere quell'attimo fatto di pochi centesimi secondo, a volte millesimi, in cui è racchiusa tutta la storia da raccontare. Si dice sempre che un'immagine valga più di mille parole e questo, nel caso della fotografia sportiva, crediamo sia ancora più vero. Il bel gesto atletico è facile da vedere, come spettatori, soprattutto quando l'evento si svolge su una ribalta di livello internazionale, quando cioè gli atleti rappresentano la massima espressione mondiale di quella disciplina sportiva: difficile è saperlo fermare in un fotogramma, a volte anticipando col pensiero quello che l'atleta farà nei prossimi attimi della sua prestazione. Questo è il lavoro del fotografo di sport, quello che si vede nelle foto annegato in mezzo a una marea di suoi colleghi, tutti armati di lunghi teleobiettivi bianchi, immagine alla quale ormai ci siamo abituati da anni. Facciamoci raccontare come si vive questo tipo di esperienza, una prima qui su osservatoriodigitale.

Pioggia - A. Trovati ©Pentaphoto

osservatoriodigitale: Come ci si avvicina alla fotografia sportiva?

Alessandro Trovati: Per passione credo, anche se nel mio caso è stato più facile o, forse, più naturale, visto che vengo da una famiglia di fotografi. Mio padre, Armando, ha fatto prima parte dello staff e in seguito è diventato direttore di Associated Press in Italia quindi per me era naturale vivere in mezzo al mondo della fotografia. Poi agli inizi degli anni '80 fondò la sua agenzia, la Pentaphoto, per la quale lavoriamo ancora tutti. La fotografia sportiva è frutto innanzitutto di una grande passione verso le discipline che si vogliono fotografare perché, a mio avviso, è necessario conoscere e amare lo sport che si fotografa per poterlo fare davvero bene. Ovvio, un po' di basi tecniche ci vogliono e più sono meglio è, anche se molto fa l'esperienza, come in tutte le professioni, direi così, artigiane. Io ho frequentato e mi sono dilpomato all'Istituto tecnico per il cinema e la fotografia, ma non mi ero quasi ancora abituato all'idea di passare dallo studio al lavoro che mio padre mi spedì ad Albertville, in Francia, per seguire quella che fu la mia prima Olimpiade invernale. Era una responsabilità enorme, tenuto conto che allora si lavorava ancora in pellicola e in Italia c'erano committenti che aspettavano le mie foto con apprensione. Fu l'anno dei quattro ori olimpici italiani tra i quali quelli di Tomba e della Compagnoni, un momento straordinario che mi trovai a vivere come il più giovane tra i fotografi professionisti accreditati.

od: Un'esperienza da brividi, in tutti i sensi.

AT: Sì, perché era una situazione davvero eccitante ma sentivo forte la responsabilità che avevo e che pesava sulle mie giovani spalle. È stata una grande esperienza, una palestra professionale: dovevo guardare con attenzione tutto, cercando anche di "rubare" il mestiere ai miei colleghi più esperti. Devo dire che di gavetta ne ho fatta tanta anche con mio padre, così come mio fratello Marco, anche lui fotografo, perché lo abbiamo sempre seguito nei suoi lavori e, sia in casa sia in studio, siamo cresciuti davvero respirando il mondo della fotografia, sportiva e non. Abbiamo avuto la fortuna di crescere a contatto con una delle maggiori realtà fotogiornalistiche del mondo, e quella non è una possibilità che hanno in molti. La mia fortuna è stata quella di poter tradurre in pratica quello che imparavo a scuola, grazie al fatto che vivevo praticamente in agenzia già da piccolo.

Triathlon A. Trovati ©Pentaphoto

od: Quali sono gli sport che segui con maggior piacere?

AT: Personalmente solo tre, sci, ciclismo e Formula Uno. In inverno abbiamo (come agenzia Pentaphoto, ndr) un contratto con la Coppa del Mondo di sci e quindi sono decisamente impegnato e spesso in viaggio, mentre in estate seguo il Giro d'Italia e il Tour de France, eventi che impegnano per oltre un mese ognuno. Nel resto del tempo seguo la Formula Uno. Questi sono gli sport che seguo direttamente e che prediligo, ma seguo anche le Olimpiadi: lo scorso anno ho trascorso molto tempo a Londra fotografando tutti gli eventi possibili in quella che, secondo me, è stata l'Olimpiade meglio organizzata dei tempi moderni. La città si presta in modo particolare a essere fotografata e gli organizzatori hanno sfruttato al meglio le possibilità che avevano associando gli eventi a location magnifiche come, ad esempio, Hyde Park sede delle gare di Triathlon o Wimbledon per il tennis, un vero e proprio santuario di quello sport. Alla partenza della gara di nuoto del triathlon olimpico ho scattato l'immagine che mi è valsa il primo premio alla mostra organizzata dall'USSI (l'Unione della Stampa Sportiva Italiana, ndr) per la foto dell'anno nella sezione Momenti di sport. In quell'occasione sono arrivato davanti a Stefano Rellandini, fotografo Reuters e mio cugino: l'avevo detto che siamo una famiglia di fotografi! Ecco, quella è stata proprio un'occasione in cui l'esperienza mi ha aiutato al momento dello scatto. In situazioni in cui tutti i fotografi sono costretti a sistemarsi in un'area predefinita il rischio è quello di scattare tutti la stessa foto: avere il senso della posizione e trovare l'angolo giusto per l'inquadratura è certamente frutto della creatività di un professionista, ma anche l'esperienza gioca un ruolo molto importante perché ti da quella spinta in più che non si può certo imparare a scuola o su un libro.

A. Trovati - Lance Armstrong - ©Pentaphoto

od: Come si ottiene allora una foto "diversa" se si lavora tutti dalla stessa postazione?

AT: È solo con gli anni che sviluppi "gli occhi e l'immaginazione" che ti permettono di realizzare fotografie esclusive, diverse da quelle degli altri tuoi colleghi con i quali ti trovi fianco a fianco. Così come alle Olimpiadi, anche alla Coppa del mondo di sci ti assegnano delle posizioni fisse, ma qui c'è sempre la possibilità di spostarsi e fare delle ricognizioni anche durante le prove, lungo il percorso, e trovare angoli dai quali scattare che possono rivelarsi davvero magnifici: ancora una volta è importante conoscere lo sport che stai fotografando e sapere quali sono le caratteristiche di un atleta, i suoi punti di forza, così da poter anticipare col pensiero le sue azioni e tentare uno scatto particolare.

Nel ciclismo trovo la massima espressione della creatività perché, quando segui una corsa su una moto, sei immerso direttamente nell'azione ma, al tempo stesso, hai più tempo per decidere le inquadrature, puoi concederti anche scatti più creativi che in altre occasioni non puoi nemmeno pensare. È così, fotografando il paesaggio al Tour, che ho scattato la foto di Lance Armstrong che è diventata la copertina di un numero di Sport Illustrated oppure la famosa fotografia in cui Marco Pantani si passa una spugna intrisa d'acqua sul viso provato dalla fatica. Devo dire che ci vuole un gran feeling anche con il motociclista ed è per questo che ormai ho un partner fisso che fa team con me da anni. Nel nostro lavoro ormai c'è molta specializzazione perciò chi fa lo sci fa praticamente solo quello, così come chi fotografa la vela o qualunque altra disciplina: viene riconosciuta e premiata la tua esperienza in quel campo e io sono fortunato se riesco a seguirne un paio a livelli altissimi.

A. Trovati - Feuz - ©Pentaphoto

od: All'organizzazione dei tuoi spostamenti pensa l'agenzia?

AT: Sì, e per questo vorrei sottolineare quanto è importante poter lavorare con e per un'agenzia. Di nuovo, ripeto, io sono stato molto fortunato all'inizio ad avere in casa tutto ciò di cui avevo bisogno per cominciare ma, ovviamente, non sarebbe bastato se il rispetto per il mio lavoro non me lo fossi guadagnato sul campo. Un'agenzia è importantissima perché fare il fotografo di sport a livello professionistico ha dei costi che sono davvero elevati, basta pensare a tutti gli spostamenti, agli alberghi, ai viaggi aerei per non parlare dell'attrezzatura, che da sola vale un investimento di alcune decine di migliaia di euro. Se avessi dovuto arrangiarmi da solo probabilmente molte cose non le avrei fatte perché l'aspetto economico è davvero rilevante. Inoltre vivendo l'agenzia si entra in contatto con il vero mondo dei fotografi: io sin da ragazzo ho imparato a capire quali erano le situazioni importanti e quelle in cui era meglio non trovarsi, parlavo di tecnica e di sensazioni con persone che hanno scritto la storia della fotografia - sportiva e non - nel nostro Paese. La passione per lo sport me l'ha trasmessa sicuramente mio padre, soprattutto per il ciclismo: grazie al suo lavoro e ai suoi insegnamenti possiamo permetterci di lavorare ancora ai massimi livelli internazionali, infatti abbiamo ancora tra i clienti proprio Associated Press senza contare molte case di abbigliamento sportivo come Colmar, Salomon, Arena, solo per citarne alcune. Proprio grazie al lavoro svolto nella fotografia sportiva, lavoro che trova grande riconoscimento anche all'estero, siamo giunti ad aprire una sezione Advertising dell'agenzia, dove portiamo la nostra esperienza nella realizzazione dei servizi fotografici che poi andranno a finire nelle pubblicità.

Grazie a questo tipo di lavori ho imparato anche a riprendere in modo diverso, addirittura da subacqueo anche se niente di estremo, dove comunque ho dovuto imparare e conoscere modi differenti di inquadrare il soggetto e l'utilizzo delle fotocamere con lo scafandro a tenuta stagna.

A.Trovati - Tour - ©Pentaphoto

od: A proposito, parlaci della tua attrezzatura e del modo in cui scatti.

AT: Attualmente utilizzo due corpi macchina Canon 1D X e una Canon 1Ds Mark III. Le ottiche che utilizzo maggiormente sono il 500 e il 600mm ma il mio corredo prevede anche un 16-35 f/2.8, un 70-200 f/2.8 e il magnifico 50mm f/1.2, obiettivi che utilizzo quando sono più vicino all'azione. Sono entusiasta delle prestazioni delle nuove Canon perché oltre alla velocità di scatto che avevo nelle precedenti 1D mi offrono il piacere di scattare a pieno formato; lo definisco piacere proprio perché personalmente lo trovo tale, mi ricorda quando si lavorava in pellicola, mi sembra di tornare un po' alle origini però con tutti i plus che offre la fotografia digitale. Questo non significa per me scattare all'infinito, sfruttare a pieno le possibilità della fotocamera: al contrario io cerco di scattare oggi come facevo un tempo con la pellicola. Pensata l'immagine che voglio scatto al massimo cinque fotogrammi dell'azione e ho la foto, proprio come si faceva un tempo, come mi hanno insegnato i grandi fotografi. Spesso tra gli amatori ma anche tra i professionisti si pensa, soprattutto oggi con il digitale, che scattando centinaia di foto si è sicuri di portare a casa un risultato ottimale. Trovo che invece così si finisca impantantati in una marea di scatti tutti da verificare, catalogare e sistemare in post-produzione. Io penso che tutto ciò non rappresenti il modo giusto di lavorare, almeno per me che, tra l'altro, sono uno che avversa quasi del tutto la post-produzione: le foto devono essere già pulite di base, l'immagine deve già riflettere quello che volevi dire quando l'hai scattata senza atifici ed elaborazioni seguenti.

Il 90% degli scatti li realizzo in modalità manuale: è vero che le moderne fotocamere ti mettono a disposizione una serie infinita di possibilità automatiche, ma io preferisco sempre avere il controllo su tutto. In certe condizioni dove il tempo di scatto è decisivo lavoro a priorità di otturatore ma sono sicuro che questo non costituisca mai oltre il 10% dei miei scatti totali.

Nel mondo dell'advertising sportivo ho portato un modo nuovo di riprendere che all'inizio ha suscitato qualche perplessità tra i clienti: ricordo che alla prima seduta di shooting iniziai con un 300mm creando quasi il panico tra le persone che c'erano sul set proprio perché era un'ottica decisamente insolita per quel tipo di foto. A me piaceva però l'idea di inserire il soggetto in un contesto che richiamasse l'azione della gara dove l'atleta è al centro dell'immagine e tutto il resto è fuori fuoco. Adesso quel modo di scattare è diventato parte del mio stile e sono le aziende che me lo richiedono. È ovvio che sul set utilizzo anche altre ottiche ma il mio modo di lavorare ricalca quello della fotografia sportiva.

A. Trovati - Ginnastica - ©Pentaphoto

od: Consiglieresti la tua professione a un giovane fotografo?

AT: La professione di fotografo, sportivo e non, può essere davvero faticosa anche se, vista da fuori, sembra un lavoro in cui ci si trova in uno stato di perenne vacanza, forse grazie ai viaggi frequenti e ai luoghi bellissimi che si frequentano. Purtroppo a volte sono proprio gli spostamenti che ti sfiniscono, lunghi viaggi intercontinentali nei quali devi anche sobbarcarti il peso di tutta l'attrezzatura. Ormai passo lontano da casa almeno cinque mesi all'anno e a volte si corrono dei rischi legati proprio all'incolumità del corredo. Ormai, nel nostro lavoro almeno, i rischi per l'incolumità fisica del fotografo sono ridotti al minimo, a differenza dei colleghi che fanno fotogiornalismo o reportage dalle zone di guerra. Anche se la situazione dopo il 2001 è diventata più complicata per chi viaggia con bagagli pesanti e che spesso vengono sottoposti a minuziosi controlli, diciamo che tutto è diventato routine e non è poi così complicato muoversi, ad eccezione forse della Russia dove ancora i controli sono piuttosto severi: ci sono stato di recente in occasione delle gare pre-olimpiche di Sochi, dove si terranno i prossimi Giochi invernali. Con quelli del prossimo anno salirà a 10 il numero delle edizioni olimpiche a cui avrò partecipato, 7 invernali e 3 estive, e questo per me è un bel traguardo. Sono soddisfazioni che difficilmente un altro lavoro ti può offrire. Certo ci vuole sacrificio e voglia di imparare, perché la concorrenza è forte e numerosa.

Io credo personalmente che la fotografia, in genere, sia tutt'altro che morta; io vedo sempre molta gente che fa fotografie, molto più di quanta se ne vedeva un tempo. C'è grande informazione anche grazie alla diffusione delle notizie in Internet che aiutano ad aumentare la cultura del mondo fotografico. Certo non bisogna illudersi di essere tutti fotografi perché si hanno a disposizione strumenti sofisticati che un tempo erano appannaggio solo dei super professionisti: la fotografia è immaginazione e creatività, la foto che scatti deve essere già dentro di te prima che tu prema il pulsante della fotocamera.