Anna Breda PhotographerAbbiamo incontrato Anna Breda recentemente, a un evento Fujifilm, dove oltre alla presentazione alla stampa del nuovo gioiello di casa, la fotocamera XT-10, venivano svelate due mini-mostre di opere realizzate con la fotocamera in questone. L’autrice di una di queste era proprio la protagonista di questo profilo, una giovane e promettente fotografa che vive a Bologna ma che lavora in ogni parte del mondo. Potrebbe essere anche il caso di dire che il suo lavoro venga apprezzato forse più all’estero che sul patrio suolo ma, non volendo innescare subito una polemica che potrebbe diventare infinita, diciamo solo che potrebbe essere così ma non c’è l’assoluta certezza.

La ragazza ha carattere e lo si evince dallo stile che impone alle sue immagini: poi basta parlarle un po’ per capire che ha idee molto chiare e serie sul futuro che riguarda se stessa e la sua professione. L’intervista è molto recente ma svela risvolti che vengono da anni lontani, fino dalla prima gioventù della nostra Anna.

©annabreda- 2015

osservatoriodigitale: Per noi le fotografie “in mostra” all’evento Fujifilm sono state una scoperta che ci hanno fatto nascere immediatamente la voglia di conoscerti meglio; ci parli un po’ di te?

Anna Breda: Certo. Sono nata a Trieste dove sono cresciuta viaggiando molto, come avviene a molta gente di li, sempre imparentata con qualcuno che oggi è di un’altra nazione. È un bel modo di crescere perché ti fa apprezzare anche le qualità e le caratteristiche di altra gente, altri popoli con le loro usanze e tradizioni. Poi, per assecondare la mia voglia e il mio desiderio di conoscere a fondo la logica degli spazi, mi sono trasferita a Milano dove ho frequentato la facoltà di architettura al Politecnico. Dopo la laurea ho studiato anche in Spagna e in Portogallo, tutte esperienze che mi hanno aiutato a conoscere un’altra idea di architettura e mi ha consentito di perfezionare le quattro lingue che parlo. Dopo qualche esperienza professionale in Italia sono approdata a Ljubljana dove ho lavorato per uno studio molto importante.

©annabreda-2015

od: Interessante, un altro fotografo-architetto, come ne abbiamo conosciuti tanti ultimamente, ma la fotografia come entra in gioco?

AB: In modo complementare all’architettura, almeno in un primo tempo, poi c’è stato un passaggio diretto a questo tipo di professione. Quando avevo diciotto anni non sapevo certo che nella vita avrei fatto la fotografa. Ho sempre avuto la passione di fotografare sin da ragazza ma è qualcosa che credo sia comune a molti. Solo quando ho iniziato a lavorare davvero come architetto mi sono resa conto che, alla mia professione, mancava qualcosa di veramente creativo: non vorrei essere fraintesa perché fare l’architetto è davvero qualcosa di creativo ma il passaggio dalla fase di studio a quella “operativa” mi ha fatto capire quanto questo fosse diverso e comportasse scelte che non intendevo né seguire né assecondare. Voglio fare un esempio chiarificatore; quando si progetta qualcosa, un edificio ad esempio, lo si fa tenendo conto di molte linee guida e poi si dà fondo alla propria immaginazione, ecco la creatività: poi però ci si scontra con la parte più pragmatica, le norme anti-incendio, per dirne una, che ti smontano completamente l’entusiasmo che hai in te. Almeno a me capitava così e non era una bella sensazione. Tra l’altro, e questa non è cosa da poco, tutte queste “divagazioni” tecnico-normative rendono il lavoro di progettazione di una lentezza insostenibile che proprio non si adatta al mio modo d’essere. È allora che ho deciso di cercare di integrare la fotografia architettonica dentro al mio lavoro fino a trasformare la mia professione in quella di fotografo d’architettura. Premetto che sono una grande fan della fotografia, una che non si perde una mostra sulla fotografia d’arte contemporanea e, per questo, vivo la fotografia come un mezzo fantastico per esprimersi. Le foto di architettura possono essere molto espressive e creative ma, visto che ormai quella era la strada che volevo percorrere, mi sono iscritta all’Accademia delle Belle Arti per conseguire il Master in Fotografia e Arti Visive a Bologna. Il master è stato molto utile anche se decisamente teorico, una formazione che mi ha spinto verso la fotografia da studio; devo ringraziare lo studio dell’architettura per avermi fatto acquisire un linguaggio preciso mentre all’Accademia ho appreso le tecniche di composizione, la conoscenza e la consapevolezza dei concetti che aiutano la ragione districarsi davanti agli spazi bi e tridimensionali. Ho capito tuttavia che è molto più facile acquisire la tecnica della concettualità.

od: E cosa c’entra la moda con tutto questo?

AB: La moda è stata la via che ho cominciato a seguire prima per scelta tecnica poi, col tempo, anche da grande appassionata perché era un mondo in cui valeva ancora l’accoppiata professionista–immagine di qualità. Quando devo affrontare un nuovo lavoro, un nuovo servizio, per me è un po’ come ritrovare il modo di lavorare dell’architetto: c’è sempre una fase progettuale che deve seguire poi tutti i momenti di lavorazione fino alla realizzazione dell’opera, in questo caso del servizio fotografico da consegnare al cliente o alla testata che lo pubblicherà. Mi piace l’idea del servizio che va prodotto, con tutto quello che ne consegue, ma a me è un aspetto che piace molto, non mi spaventa come invece sento da alcuni colleghi.

od: Quando hai cominciato e com’è stato all’inizio?

AB: La mia carriera di fotografa di moda è cominciata agli inizi del 2012 e non è stato certo facile: da una parte sentivo la negatività espressa da alcuni colleghi che si lamentavano continuamente (anche e soprattutto in occasione di incontri professionali ai quali partecipavo proprio per cercare di capire come si muovevano i professionisti del settore) mentre dall’altra capivo le difficoltà che presentava il momento storico ed economico che stavo attraversando. Quasi tutti mi parlavano di possibilità “quasi nulle” di successo ma io ho insisitito perché credo nella volontà e nella costanza: in un sistema che è chiuso spesso c’è bisogno proprio di ricambio per far sì che si apra. Inoltre devo dire che la fotografia di moda rapresenta per me una fotografia di ricerca, l’interesse per la quale, in me, non è mai sopito. È proprio così che credo di aver trovato la mia strada.

©annabreda-2015

od: Hai uno studio dove lavori di solito?

AB: Sì, è a Bologna ed è uno spazio condiviso con altri tre colleghi fotografi che si trova all’interno di una vecchia struttura industriale. Spesso, però, mi capita di lavorare altrove, soprattutto quando mi trovo all’estero.

©annabreda-2015od: Quali sono i tuoi “strumenti di lavoro”?

AB: Attualmente lavoro ancora con una Canon 5D Mark II perché non ho trovato grandi stimoli per passare alla Mark III. Trovo che il file RAW sia di ottima qualità e mi permetta di lavorare molto bene anche in post produzione per ottenere le fotografie che voglio. Sono molto incuriosita dal nuovo modello, la 5Ds da 50 magapixel, praticamente con la risoluzione di una medio formato, che nel mio campo potrebbe dare molti risultati positivi. Personalmente sono innamorata delle fotocamere come Hasselblad o Phase One, capaci di scatti con una qualità incredibile, decisamente superiore a quella offerta dai sensori montati sulle DSLR full frame e la voglia di comprare un sistema di quel tipo è forte però la ragione mi spinge verso altre alternative visto che, soprattutto in Italia, è difficile se non impossibile giustificare un costo maggiore di un servizio “solo” perché è realizzato con strumenti migliori.

od: Parlaci della tua esperienza con Fujifilm.

AB: Anche in questo caso mi è piaciuta molto l’idea perché fa parte di un progetto. All’inizio, sarò sincera, ho nutrito qualche dubbio perché pensavo che la fotocamera (XT-10,ndr) con il suo sensore relativamente piccolo non potesse restituirmi le immagini che avevo in mente e con le quali sono abituata a lavorare. Tra l’altro per la prima fase della collaborazione ho avuto davvero poco tempo, alcuni giorni, per portare a termine il lavoro. Non avendo modo di lavorare in studio con le luci controllate ho deciso di scattare con la luce naturale e, dopo tre giorni ero già in stampa con le immagini che erano in mostra la sera dell’evento di presentazione della fotocamera. Solitamente lavoro con aperture comprese tra f/5,6 e f/11 ma con Fujifilm è diverso, così come la messa a fuoco è diversa. Mi sono trovata bene da subito anche perché i controlli sono comodi e facili da utilizzare. Avevo già un po’ di esperienza con queste fotocamere perché possiedo una X-100 che mi ero comprata per i miei viaggi e dalla quale ho avuto grandi soddisfazioni, per la qualità delle immagini e per la quasi invisibilità: la puoi usare ovunque senza quasi essere visto. Penso che questo concetto di fotocamera sviluppato da Fujifilm sia particolarmente indicato per gli amatori evoluti ma che possa dare grandi soddisfazioni anche ai professionisti.

Adesso ho in programma un altro lavoro, sempre con la XT-10, dove avrò più tempo per concentrarmi sull’utilizzo della luce e sul file RAW prodotto dalla fotocamera.

od: A proposito dei file RAW, che cosa utilizzi per  il loro sviluppo?

AB: Ho due tipi di approccio, a seconda di quello che devo ottenere; utilizzo Camera Raw e Photoshop oppure gestisco l’intero flusso in Capture One Pro di Phase One. Di solito lavoro poco sulla post produzione di un’immagine se non per “pulire” gli sfondi oppure i capi che indossano le modelle e poi per uniformare la pelle, che è il lavoro che richiede più pazienza e perizia. Sulla luce non intervengo mai in post proprio perché, lavorando in studio, riesco a creare sempre la luce che desidero. tornando al discorso della pelle, invece, mi applico parecchio perché ho tutta una mia tecnica personale visto che non utilizzo nessun plug-in di quelli automatici ma solo ritocco manuale: mi piace ottenere delle immagini patinate che siano pulite e armoniose al tempo stesso. Le tecniche di ritocco le ho apprese da sola perché, all’Accademia, non si impara nulla di tecnico ma moltissimo sul concetto di immagine all’interno della storia dell’arte.

L’uso di Photoshop l’ho appreso studiando da sola, imparando il programma direi dalla a alla zeta, attraverso corsi e libri: solo conoscendo un’applicazione a fondo trovi il tuo modo di lavorare, la maniera ideale per utilizzarla per giungere ai risultati che ti sei imposta.

Devo ammettere che mi piace davvero molto il mondo della tecnologia quindi né software nuovi né hardware diversi mi spaventano, anzi mi stimolano a conoscere tutto a fondo, a ricercare e sperimentare. Inoltre mi piace, come ho già detto prima, fare ricerca continuando a imparare, a guardare quelli che sono più bravi, i migliori. A me per esempio piace moltissimo il danese Ewing Olaf Springveld così come ovviamente Steven Meisel e Mario Testino ma anche l’italianissima Lucia Giacani, giovane e bravissima fotografa di moda. Cerco sempre di guardare e imparare gli stili di tutti i più bravi ma senza cadere nell’emulazione. Credo che quelle che potrebbero diventare un giorno le mie cifre stilistiche sono l’uso della luce e la composizione quasi grafica dell’immagine, la sua pulizia.

©annabreda-2015

od: Non ci resta che parlare dei tuoi lavori e dei tuoi progetti…

AB: Ho il privilegio e la fortuna di lavorare con tanti magazine di moda ma prediligo quelli che amano le fotografie di ricerca e meno commerciali, come ad esempio Runway. A breve partirò per un servizio di moda–sposa a Dubai e poi altre iniziative, come quella con Fujifilm appunto. Mi intriga molto la fotografia di beauty perché le immagini richiedono una grande quantità di dettagli perciò devono essere di altissima qualità. È un mondo che mi piacerebbe “esplorare” così come un mio progetto sul ritratto che, però, credo dovrà aspettare ancora un po’ perché venga realizzato.

Per quanto riguarda il mio lavoro credo che potrebbe trovare maggior riscontro all’estero rispetto all’Italia. Credo che da noi ci siano ancora troppi fattori esterni che condizionino la scelta di una foto invece di un’altra inoltre penso che la qualità dell’immagine sia tenuta molto più in considerazione all’estero. Sono considerazioni amare perché amo l’Italia e adoro lavorare qui ma temo di dover fare delle scelte diverse se me lo richiederà il mio lavoro.

Tutte le immagini sono © Anna Breda; maggiori informazioni sulle sue fotografie e il suo lavoro sono visibili nel suo sito internet ufficiale, www.annabreda.it

Data di pubblicazione: giugno 2015
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