Era il 2009, il sole stava tramontando ed ero appena uscita da un appartamento - l’ennesimo che visitavo - perché in quel periodo stavo cercando casa. Sicuramente molti di voi conoscono lo stress legato alla ricerca di un posto in cui vivere il meglio possibile, di un luogo a cui poter far ritorno, di una cuccia calda insomma, e io quello stress quel giorno me lo sentivo tutto sulle spalle, come un macigno. Ero a Roma in piazza Fonteiana, una zona al confine tra Monteverde Vecchio e Monteverde Nuovo, anzi, per alcuni è già Monteverde Nuovo. Come dicevo ero andata a visitare un appartamento che di bello aveva solo l’enorme terrazza all’ultimo piano: ero stanca e anche un po’ sfiduciata, pensavo che non sarei mai riuscita a trovare qualcosa di decente ad un prezzo accessibile; con me c’era un amico che, nel tentativo di distrarmi per tirarmi un po’ su il morale, mi disse: "Lo sai vero che Pasolini ha abitato proprio qui vicino, in via Fonteiana, e ha scritto “Le Ceneri di Gramsci” in quella stanza là, dove c’è quella finestra?".

Conoscevo molto bene la raccolta poetica avendola letta nei miei viaggi in treno durante il liceo, ma che Pasolini l’avesse composta proprio a due passi da dov’ero in quel momento, no, non lo sapevo.

Continuammo a camminare e ci trovammo davanti al portone. Il palazzo sembrava rimasto intatto, come all’epoca in cui vi abitava Pasolini, e ci si poteva aspettare che si aprisse l’enorme portale in legno e che lui ne uscisse per andare verso via di Donna Olimpia, subito lì a pochi passi, a trovare l’ispirazione per “Ragazzi di vita”.

Pasolini però non uscì e io rimasi a guardarmi intorno, osservando la strada, i negozi che stavano per chiudere, cercando qualcosa che non riuscivo a trovare.
Con il mio amico decidemmo di tornare nei giorni successivi, così avremmo potuto incontrare la portinaia, che lui conosceva e che ci avrebbe mostrato meglio il palazzo raccontandoci anche qualcosa di quando ci abitavano i Pasolini, dal momento che lei all’epoca era già lì.

Tornando a casa dissi a questo mio amico, che altri non era che lo scrittore Fulvio Abbate, che volevo scattare delle foto e fare una mostra e lui mi consigliò: “Falla su Pasolini e via Fonteiana”.

Lì per lì mi sembrò un’idea meravigliosamente impossibile: come fare una mostra fotografica su qualcuno che non era più nel mondo dei vivi? Che non poteva più essere fotografato? Era assurdo. Poi cominciai a riflettere e a domandarmi che cosa restava in un luogo abitato da un artista quando questi non esiste più.

A via Fonteiana il condominio era rimasto lo stesso, uguale in tutto e per tutto a quando ci abitava Pasolini insieme con i genitori; ma al contempo di Pasolini e di quella Roma là, di quella “luce marina/ di via Fonteiana in cuore alla mattina”, se ci si guardava intorno non si trovava più nulla e non solo perché eravamo al tramonto, ma proprio perché il tempo sembrava essersi ingoiato tutto nell’indifferenza degli abitanti del quartiere.

Alcuni giorni dopo tornammo; io non ero molto convinta di voler fare quel lavoro, poi, una volta dentro all’atrio cominciai a scattare: la guardiola della portineria, la stessa che Pasolini vedeva ogni giorno entrando e uscendo; la buca delle lettere, identica a quando lui o sua madre o forse suo padre, chissà, si soffermavano per ritirare la posta; l’ascensore e le scale tante volte salite e scese, in silenzio, quando rientrava nel cuore della notte; il campanello; e poi fuori, dal cortile interno, alzando la testa fotografai la finestra della stanza al cui tavolo si sedeva Pasolini per scrivere.

Scattai e scattai, senza riflettere troppo, soffermandomi sui particolari che in qualche modo potevano far riemergere dalla nebbia del tempo il poeta che tanto avevo amato nella mia adolescenza e l’intellettuale che il mondo ci invidia e che noi invece abbiamo ammazzato come un cane rognoso.

Con Fulvio Abbate decidemmo che ogni foto sarebbe stata accompagnata da una sua didascalia, da parole che avrebbero rievocato in qualche modo Pasolini e il suo lavoro. Per Fulvio non era difficile, essendo un conoscitore di tutte le sue opere e della sua filmografia; per me, in veste di fotografa, era più complicato: dovevo rievocare un morto attraverso immagini di oggetti che lui aveva toccato, che lo avevano visto ma che al tempo stesso erano inanimati.

Quando riversai le foto sul computer le guardai e riguardai: optai per il bianco e nero per una questione filologica ma subito decisi anche che doveva essere un bianco e nero attenuato, sui toni del grigio, di quel grigio patinato di bianco, dello stesso colore della polvere che si posa sui mobili quando una casa rimane chiusa e disabitata per tanto tempo e questo per il semplice motivo che avevo compreso cosa rimane di un artista nei luoghi in cui ha vissuto: rimane la polvere, nient’altro.

La mostra dal titolo “Roma, via Fonteiana 86, qui Pasolini ha scritto ‘le Ceneri di Gramsci’” è stata ospitata a Roma, nel maggio 2010, alla Galleria Monserrato Arte 900, ma ora questo lavoro, ampliato con alcune altre foto legate a Pasolini nel contesto di Monteverde Vecchio, è ospitato al Centro Studi Pasolini con il titolo “Pasolini, Roma e la casa delle Ceneri”.

Il Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa della Delizia ha sede in Casa “Colussi”, abitazione materna del poeta, che vi trascorse con la famiglia parte dell’infanzia e della giovinezza. Costituito nel 2005 come associazione privata senza fini di lucro su iniziativa della Provincia di Pordenone e del Comune di Casarsa, soci istituzionali con la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, l’Università di Udine, la Società Filologica Friulana e Cinemazero di Pordenone, il Centro Studi conserva un prezioso Fondo archivistico sulla produzione pasoliniana del periodo friulano, dichiarato nel 2010 “bene d’interesse culturale”. Attraverso un’intensa attività annuale, articolata tra mostre, convegni, iniziative editoriali, servizi audiovisivi, è impegnato nella valorizzazione della figura e dell’opera di Pasolini, anche al di là della stagione casarsese.

Come scrive Angela Felice, che del Centro Studi Pier Paolo Pasolini è l’attuale direttrice, “Il poeta, con le sue Ceneri, non c’è più, a Roma e altrove il mondo ha sbiadito il suo sapore di avventura misera e stupenda e anche le case paiono spente sotto veli di polvere».

Però, nonostante la patina del tempo, sono molto felice che le mie foto vengano accolte nel Centro Studi Pier Paolo Pasolini e non per vanesio orgoglio professionale, ma perché sono profondamente convinta che sia in assoluto il luogo più adatto per questo lavoro: lì infatti ci sono i mobili dell’appartamento di via Fonteiana, lì c’è la presenza fisica di Pasolini e quindi, in un certo senso, lì quegli scatti tornano a casa.

Il sito di Monica Cillario si trova all'indirizzo www.monicacillariophotographer.com