Basilico a MontecarloA febbraio un grande della fotografia, Gabriele Basilico, ci ha lasciato. Poche settimane prima, nel Principato di Monaco, era stata inaugurata una grande mostra: “Monacopolis”, di cui consiglio vivamente la visione e uno dei motivi per cui vale la pena vederla è che la parte esposta al Nouveau Musee National ospita, fra le altre cose, un lavoro di Basilico. Si tratta degli scatti di Monte Carlo che lui fece fra il settembre 2005 e il giugno 2006. Quelle fotografie ora si trovano esposte tutte lì, a Villa Paloma, e sono bellissime.

Occorre premettere che a Monaco l’urbanizzazione non risponde ad un ideale ma ad un’economia: il concetto di città ideale fondato su una visione globale e ieratica di funzionalità qui urta con dei vincoli inconciliabili fra loro (mancanza di spazio - il Principato si estende su soli due chilometri quadrati di territorio e con questo bisogna farci i conti - pressione immobiliare molto forte, terreni ripidi e a picco sul mare, aumento demografico notevole, nonché uno stile di vita individualista), eppure negli scatti di Basilico questo materialismo scompare per dar spazio ad una visione architetturale di ampio respiro.

Montecarlo - Gabriele Basilico

Le sue fotografie rivelano una città che prende a volte l’aspetto della “Metropoli” così come l’aveva concepita Paul Citroen nel 1922 in uno dei suoi collages più famosi.
Monaco è una città policentrica, labirintica e frastagliata in cui le diverse funzionalità sono integrate tra loro e le immagini “aeree” di Basilico, prese dai balconi o dai tetti terrazzati riescono a mettere in evidenza, come per magia, solo il lato armonico delle strade, dei palazzi e delle sopraelevate, disegnando alla vista di chi guarda un paesaggio metropolitano che si dipana in linee e curve in armonia fra loro, complice anche la scelta, sapiente, del bianco e nero, che permette una migliore manipolazione dei chiaro-scuri.

Quando si arriva in una città sconosciuta in un primo momento si ha una sensazione di straniamento prima di riuscire ad orientarsi ma questo straniamento - come sottolinea giustamente Jean-Michel Bouhours nella sua introduzione a “Monte Carlo” (il bellissimo volume che raccoglie tutti gli scatti fatti da Basilico nel Principato) - in questo lavoro fotografico sembra non esserci mai stato perché la sua esperienza dell’universo urbano era tale da permettergli di riuscire immediatamente a trovarsi a proprio agio in qualsiasi paesaggio. In pochi attimi questo grande maestro era in grado di mettere a fuoco le particolarità di un quartiere così come di una città, per complessa che potesse essere.

Montecarlo - Gabriele Basilico

Testimoni che lo videro all’opera raccontano che scrutava ogni dettaglio, inquadrava una parte di soggetto con un occhio e con l’altro non perdeva la focalizzazione del quadro d’insieme e poi scattava, con la sicurezza che gli derivava sì, dalla lunga esperienza, ma soprattutto dal fatto che considerava la macchina fotografica come uno “strumento di amore e di rivelazione continua”.

L’istante decisivo spesso evocato da Cartier-Bresson, in Gabriele Basilico risiede nella tensione tra lo spazio della percezione naturale e il luogo spazio-temporale che lui sceglie di estrapolare e di immortalare nell’eternità dello scatto.

“Nella luce tagliente, nelle condizioni atmosferiche ideali nelle quali normalmente fotografo, il calore del sole sulle spalle mi dona la sensazione di essere un tutt’uno con lo spazio in cui lavoro e questo spazio, inanimato, immobile, morto, diventa vivo”, così Basilico descriveva il suo modo di creare; e quando ho visto esposte le sue fotografie su Monte Carlo così l’ho ricordato io stessa: vivo, per sempre, nei suoi scatti immortali.