Arles senza i RencontresSe dico Arles, la maggior parte delle persone penserà ad una bella cittadina della Provenza e magari anche a Van Gogh (che qui soggiornò nel 1888, per circa un anno). Chi è legato al mondo della fotografia però, assocerà Arles ai Rencontres, ossia ad uno dei festival della fotografia più famosi d’Europa e probabilmente anche del mondo.

Gli Incontri Internazionali della Fotografia di Arles, oggi conosciuti semplicemente come i Rencontres d’Arles, si tengono tutti gli anni da luglio a settembre e questo fin dal 1970, anno in cui vennero inaugurati per la prima volta grazie ad un’idea del fotografo arlesiano Lucien Clergue in collaborazione con lo scrittore Michel Tournier e lo storico Jean-Maurice Rouquette.

Col tempo questi incontri hanno attirato sempre più l’attenzione di fotografi, critici, intellettuali ma anche di appassionati e di turisti e così, di anno in anno, hanno acquisito importanza, attirando un pubblico in continua crescita.

Grazie ad una programmazione composta quasi esclusivamente da materiale inedito, i Rencontres sono diventati un punto di risonanza internazionale per la fotografia; le esposizioni e le mostre sono presentate in diversi punti della città e una delle caratteristiche della manifestazione è che alcune di esse si tengono in luoghi solitamente non accessibili al pubblico, come piccole cappelle medievali o complessi industriali del XIX secolo.

Arles | Osservatorio Digitale

Va detto anche che i Rencontres sono stati e sono tuttora un trampolino di lancio per numerosi fotografi e ciò ha sicuramente contribuito ad accrescerne la notorietà e spiega anche la fila che si crea per cercare di riuscire a far esporre i propri lavori durante il festival.

Per tutti questi motivi, di Arles durante gli incontri della fotografia sono piene le cronache. Però io personalmente mi son sempre domandata cosa ci fosse ad Arles, fotograficamente parlando intendo, nei periodi in cui non ci sono i Rencontres: in primavera e soprattutto nei mesi invernali, in questa piccola cittadina della provincia francese, che ne è della fotografia? E che ne è delle esposizioni, degli incontri, dei dibattiti, insomma della vita culturale che gravita intorno al mondo della fotografia?

Con queste domande in testa ho preso il TGV da Nizza fino ad Avignone, poi un regionale e sono scesa alla stazioncina di Arles in un pomeriggio di metà gennaio, atipicamente tiepido per la stagione.

Devo dire che un po’ ho giocato in casa, perché sono andata ad incontrare un fotografo che conosco da alcuni anni e che ultimamente ha deciso di trasferirsi definitivamente proprio ad Arles ed è dal suo studio-abitazione che ho iniziato la mia indagine.

Il fotografo di cui sto parlando è Graziano Arici; di lui osservatorio digitale si era già occupato anni fa e prossimamente uscirà un’altra intervista tutta dedicata alla sua “fuga dall’Italia” e alla storia del suo archivio, ma non voglio fare qui altre anticipazioni.

Sono arrivata a casa sua e, prima di intervistarlo sulla sua nuova vita qui, abbiamo fatto una chiacchierata sulla Arles dei tempi morti.

Graziano mi ha detto che la vita ad Arles in questo momento è una vita di passaggio perché adesso come adesso la cittadina è in bilico tra quello che era Arles prima - cioè un misto fra una piccola città campagnola di provincia e un paese nobile e colto - e quello che tutti si augurano sarà in futuro: un polo di attrazione culturale grazie allo spazio creato dalla Fondazione LUMA. La crisi economica ha portato alla chiusura di numerose fabbriche, così il Comune ha deciso di puntare tutto sulla cultura costruendo una grossa area che ospiterà spazi espositivi, un archivio e molte altre attività culturali e inoltre la stessa Scuola di Fotografia verrà trasferita lì, con volumi raddoppiati. E nell’ex sede dell’Ecole Photo verrà invece aperto un museo dedicato alla fotografia.

Arles | Osservatorio Digitale

Ascoltando Graziano ho capito che nei prossimi anni le cose si muoveranno sicuramente, ma al momento? Per approfondire ho posto la domanda anche ad Ariane Carmignac, giovane brillante ex-studentessa della Scuola di Fotografia che sta proseguendo i suoi studi di specializzazione e che segue un percorso creativo molto personale in cui la foto avrà sicuramente un posto importante ma che è però ancora tutto in divenire.

Ariane mi ha spiegato che per lei Arles durante l’inverno è un po’ un deserto, molte gallerie sono chiuse infatti proprio nei periodi invernali. Allo stesso tempo però ce ne sono alcune che cercano invece di fare qualcosa, magari non grandi cose, ma comunque importanti. Tutto si risveglia verso marzo-aprile, mentre durante l’inverno l’universo fotografico è principalmente legato alle cooperative o a piccoli vernissage che si ha l’impressione siano stati creati appositamente per gli arlesiani.

Anche per lei, come per Graziano, le cose sono comunque sul punto di cambiare o almeno così si spera.

Il centro LUMA porterà sicuramente dei cambiamenti nella vita cittadina, ma contrariamente a Graziano lei non è certa che cambierà anche ciò che è legato alla foto poiché il centro non è dedicato specificamente solo alla fotografia ma alle attività culturali più svariate.
Il giorno successivo al mio arrivo, con in testa ancora le parole di Graziano e di Ariane, ho deciso di camminare per le strade e di cercare di farmi un’idea personale riguardo alla fotografia ad Arles quando non ci sono i Rencontres.

Arles, Ecole Nationale de Photographie | Osservatorio Digitale

E cosi ho capito che Arles è una deliziosa cittadina provinciale sul genere di quelle descritte da Georges Simenon. La sera le sue strade sono deserte (nel fine settimana alcune piazze sono un po’ più popolate ma è poca cosa rispetto alla movida a cui siamo abituati nelle grandi città in qualsiasi stagione), ma mentre percorrevo i vicoli accompagnata solo dal rumore dei miei passi ho pensato che stavo vivendo la stessa sensazione che si può provare camminando per le calli veneziane nei mesi di novembre o anche di gennaio. Durante il giorno le vie sono più animate e, anche nei periodi morti, si respira aria di fotografia, perché ad Arles è quasi in ogni dove, ogni angolo te la ricorda: vuoi con una Galleria, che anche se chiusa, si occupa esclusivamente di foto, vuoi con manifesti di fotografia messi qua e là sui muri di vie e viuzze; e inoltre, anche camminando senza seguire una meta precisa, prima o poi si finisce con l’arrivare al n.16 di rue des Arènes e ci si trova davanti all’Ecole Nationale Supérieure de la Photographie: un edificio antico, ma animato dai giovani che parlano nel cortile tra una lezione e l’altra.

Jan Dyver | Osservatorio Digitale

Poco più in là, su un muro, una piccola insegna incorniciata in ferro riproduce un ritratto di Lucien Clergue con una scritta: “Merci Lucien” e in quel ringraziamento capisci che oggigiorno Arles e la fotografia sono un tutt’uno anche nei periodi cosiddetti deserti.
Come Ariane mi aveva raccontato, si possono trovare qua e là alcune esposizioni di fotografia che sono dei veri e propri cammei. Io stessa mi sono casualmente imbattuta in una di queste: camminando per il centro ho alzato lo sguardo e, sulla mia sinistra, ho visto un portone aperto che dava su uno spazio simile ad un loft e che altro non era che l’Espace Participatif d’Ecrit e d’Images presso la Sala Henri Comte; fuori un cartello con un manifesto: ”Je suis-Nous sommes. 1 an de portraits pour la liberte d’espression” indicava una mostra di foto di Jan Dyver con l’aiuto di Marie Andrieu. Entrando mi sono ritrovata fra tre enormi pareti colme di foto in bianco e nero che ritraevano persone con un cartello con la scritta “Je suis Charlie”; l’ingresso era libero, chi voleva poteva dare un piccolo contributo per l’artista, ma non obbligatoriamente. Ho incontrato Jan Dyver, che mi ha detto di aver sentito, subito dopo gli attentati a Charlie Hebdo del 7 gennaio 2015, l’esigenza di dare il suo personale contributo alla difesa della libertà e così ogni giorno ha fotografato una persona qualunque con in mano il cartello Je suis Charlie; dopo gli attentati di Parigi di novembre 2015 ha però cominciato a domandarsi se non fosse un po’ riduttiva la scritta “Je suis Charlie” e così, a partire dal 14 novembre, chi voleva, al cartello poteva aggiungere anche un proprio pensiero. L’esposizione era stata inaugurata il 7 gennaio e proseguiva fino al 18, dunque in pieno periodo cosiddetto “morto”, ma aveva riscontrato un buon successo di pubblico e Jan mi ha raccontato di essere molto soddisfatto, e a buon diritto aggiungo io, poiché la sua esposizione era davvero brillante e in qualche modo anche toccante.

Fino al 5 giugno prossimo il Museo Dipartimentale di Arles antica ospita invece un’esposizione di fotografie sulla Camargue e i ritrovamenti archeologi della zona. Inoltre la Galleria “Arles Gallery”, diretta da Anne Eliayan, organizza spesso incontri ed esposizioni legate alla fotografia; l’ultimo si è tenuto lo scorso 30 gennaio, per invitare gli arlesiani e tutti gli amanti dei quais du Rhone in una collettiva fotografica che dovrebbe tenersi dal 4 al 20 marzo prossimi: un modo per coinvolgere tutti coloro che abitano ad Arles, che la amano e che sono anche appassionati di fotografia.

Tirando le somme, la risposta alla mia domanda iniziale è che Arles, quando non ci sono i Rencontres, è ovviamente più deserta, ma di sicuro non è il Deserto dei Tartari.

Data di pubblicazione: febbraio 2016
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