Giuseppe CarrieriLa rubrica Net(e)scape propone una nuova storia e una nuova riflessione che il nostro Giuseppe Carrieri ha scritto sulla strada di Buenos Aires, invitato a partecipare alla quattordicesima edizione del Festival Internacional de Cine de Derechos Umanos dove ha rappresentato il nostro Paese con il suo sempre poetico cortometraggio "La Polvere" di cui abbiamo già diffusamente parlato in passato su queste pagine.

Alla fine del pomeriggio N. va sempre verso la finestra, sposta la tenda bianca – sporca di ruggine e polvere – e aspetta.

Da quando è nato, il suo panorama non è mai cambiato: c’è l’impronta delle nuvole che gli porta al naso l’idea delle montagne, la luce delle donne coperte che camminano chine scordandosi il cielo, e poi quei palazzi chiusi dai proiettili, nella morsa di gabbie e cesoie.

Così è Nablus agli occhi di chi c’è nato.

Alla fine del pomeriggio capita, come ogni giorno, che N. scopra ancora una volta il mondo nella trasparenza della sua tenda sporca.

Nella tregua del caldo, qualcosa silenziosamente accade dinanzi al suo sguardo.

Qualcosa sbuca come un bambino, cercando di non sbagliare i passi, ma non è umana come presenza, anzi. È solo quella vecchia carrozzeria verde del suo compagno di merende, invadente e fragoroso: una milizia israeliana fa la ronda sempre alla stessa ora, il coprifuoco pretende regolarità, dà l’idea che il mondo finisca prima.

E così N., che nacque male, con le braccia forti e due gambe storte, dalla sua sedia a rotelle, prende coscienza dell’arrivo della notte e decide di prendersela.

La finestra è sempre eccessivamente in alto, per lasciarsi aprire. E questa è la sola maniera per affacciarsi. Uno zoom sgranato al posto di una ringhiera o di un balcone

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N. ha una piccola camera e tutti i giorni filma, poi appena la corrente ritorna, posta su YouTube ciò che ha appena finito di vedere. Ovvero, il carro armato che fa la vedetta.

Ho conosciuto il suo canale quasi per caso, sbirciando tra i cosiddetti “Related Videos” – i video correlati – quelli che la galleria d’immagini più nota al mondo ti concede per farti un’idea di ciò che esiste, accanto a ciò che desideri vedere.

Chissà se N. si poteva immaginare di essere un video correlato a un più noto documentario internazionale, vincitore di numerosi premi sia nel suo paese d’origine che nel mondo intero. N., in fondo, aspetta solo il passaggio di un carro armato. Anche se forse non è solo questo.

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Un giorno ritornando a cercarlo, curioso di aprire la finestra assieme a lui nuovamente, di potermi spingere su quel vetro al posto suo e di rivedere il vecchio serpentone di un carro-armato, allo stesso posto, tra le stesse schegge e palazzi, la marea di YouTube mi confonde e di N. non ho più tracce. Un unico messaggio mi appare: Account chiuso.

Ho temuto subito che N. fosse morto, che l’avessero arrestato. Che qualcuno avesse spento la sua camera, che in fondo a questo si riduceva la sua vita ai miei occhi distanti. Ma l’account per fortuna non è una vita. E N. guarda ancora.

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Tempo dopo ho, infatti, scoperto, attraverso un lavoro di relazioni virtuali compiuto con contatti “recuperati” dal suo vecchio canale, che la famiglia ha deciso di muoversi dalle terre dell’occupazioni e di lasciare quella vecchia casa a strisce, dove al secondo piano, un ragazzino disabile osservava il mondo comporsi come un’abitudine. E lo riprendeva, sì, ma solo per dire al mondo intero: io ci sono.

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Non so cosa stia vedendo N. in questo momento e non è certamente la sua collocazione geografica ciò che più conta di questa sua storia. Spero solo che abbia ancora una finestra per potersi inventare le montagne e che non sia troppo in alto da non lasciarsi spalancare. Che gli possa bastare quella per sempre, ancor prima di una videocamera.

Spero che l’aria del cielo, delle donne stanche, dei palazzi rotti duri più a lungo addosso ai suoi occhi umidi. Che sia quella l’unica pellicola da ricordare. E che l’account, vero, quello della sua vita, non si chiuda mai.

Neanche al primo colpo di vento.


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