Il Diritto della fotografia

Il (fanta)diritto della fotografia

Avv. Massimo Stefanutti

Il fanta diritto della fotografia sta al vero diritto della fotografia come i terrapiattisti stanno ai satelliti artificiali che girano intorno alla Terra e permettono loro di telefonare...

Il fanta diritto della fotografia sta al vero diritto della fotografia come i terrapiattisti stanno ai satelliti artificiali che girano intorno alla Terra e permettono loro di telefonare.

La fotografia sfiora il diritto prima nel 1842, nella causa promossa da Felix Tournachon (dit Nadar) contro il fratello scapestrato Adrien (per una questione di appropriazione – da parte del secondo – dello pseudonimo per sottrarre un consistente premio fotografico al primo) ma ci sbatte contro (con esiti che marchieranno gli anni a venire fino ad oggi) con il famoso processo intentato dallo studio fotografico parigino Mayer & Pierson con un altro studio rivale, Thiebauld & Betberder.

Il processo, iniziato nel 1856 per la riproduzione non autorizzata di una fotografia di Camillo Benso Conte di Cavour, dopo un primo grado infelice nel quale Mayer & Pierson restano soccombenti, termina con la sentenza della Corte d’Appello di Parigi del 1862 che afferma come l’esecuzione di una fotografia, in certi casi ed in alcune situazioni, possa dipendere dal sentimento artistico del fotografo e avere l’impronta della sua personalità.

Ma, posto che le sentenze si fondano sul diritto positivo, quale norma applica questa sentenza? Nel 1791 e nel 1973, due decreti di Napoleone riconoscono il diritto in capo all’autore all’esclusivo sfruttamento a “tutte le opere dello spirito e del genio appartenenti alle belle arti”.

Ecco qui la parola magica: ARTE, atta a risolvere e a complicare ogni situazione. Solo quello che è “artistico” degno di tutela, tutto il resto (quale?) è spazzatura. Principio che farà da presupposto a tutte le successive legislazione mondiali e alle interpretazioni giurisprudenziali che cercheranno sempre “l’impronta della personalità” che l’autore ha infuso nella fotografia eseguita, cercheranno quel “tocco artistico” insito nell’immagine e tale da differenziarla da un’altra simile o analoga.

Criteri assunti anche dalla vigente legislazione italiana (Legge 633/1941) anche se negati fino al 1979, data nella quale viene aggiunta la categoria delle foto creative, tutelate al massimo grado al pari di tutte le altre ipotesi previste dalla legge sul diritto di autore. Ma dal 1941 al 1979 (ma lo è anche tuttora) la fotografia era tutelata solo in quanto “fotografia semplice” e solo se munita di data e nome del fotografo (oltre che per vent’anni dalla produzione) e solo per alcuni diritti connessi. Inoltre erano (e sono) previste “ le fotografie documentarie” (le fotografie di scritti, documenti, carte di affari, oggetti materiali, disegni tecnici e prodotti simili) per le quali non vi è tutela alcuna. Ma ciò che sconcerta, sia i fotografi che gli operatori del diritto, è come l’introduzione delle fotografie creative nella legge non abbia risolto nulla e, anzi, abbia complicato ancor di più la necessaria distinzione (è un principio giuridico e ce lo dobbiamo tenere, possiamo solo interpretarlo) tra le tre categorie.

Fotografia di Camillo Benso Conte di Cavour – osservatoriodigitale di maggio-giugno 2020, n.o 104

 

Si poi si legge l’art. 87 della L. 633/1941 che definisce la fotografie semplici: “Sono considerate fotografie ai fini dell’applicazione delle disposizioni di questo capo le immagini di persone o di aspetti, elementi o fatti della vita naturale o sociale, ottenute col processo fotografico o con processo analogo…” , si capisce subito come (a prescindere dall’infelice formulazione della norma) come i risultati degli studi sullo statuto della fotografia siano mancanti di ogni applicazione, sia nella dottrina che nella giurisprudenza. E per fortuna Charles Sanders Pierce, Philipp Dubois, Ronald Barthes, Jean-Marie Schaeffer, Renè Lindekens, Carlo Gentili, Liborio Termine e molti altri ci hanno chiarito che la fotografia non è un fatto (così lo intende il predetto art. 87) ma un atto, che il fotografo è un attante, parte umano e parte non umano (ovviamente per il dispositivo visivo che utilizza) e che dentro l’autore ci sono forze profonde, processi percettivi che vengono in superficie, che scateniamo accostando l’occhio al mirino (o guardando, ora, nello schermo sul retro della fotocamera) anche solo per riprendere nostro figlio che spegne le candeline del suo compleanno. E con l’avvento degli smartphone (sempre meno phone e sempre più camera fotografica) abbiamo anche capito come, tramite i social media, la fotografia sia relazione, sia con sé stessi che con quanto ci sta intorno.

Questo è il grande porto (aperto) nel quale la fotografia è approdata. E il diritto? Creatività, originalità, novità, le basi attuali del diritto della fotografia (o la loro assenza in quanto fotografia semplice) sono tutti criteri da abbandonare, non da rielaborare. Il perno di tutto è nella scelta, nel prelievo dal mondo, nello strappo d’affresco che è una fotografia e nella sua autonomia dal reale ma, anche, nella sua relazione con esso. Occorre ripartire da qui: tutte (senza distinzioni) le fotografie sono tutelate e, così, portare la fotografia fuori dal diritto d’autore ridefinendo tutti i concetti: fotografia, opera, opera digitale, ecc. E il diritto (e non solo quello della fotografia) che deve essere effettività (e non la fantasia di qualche legislatore o giurista ignorante) dovrà necessariamente cambiare, e a breve, per non essere confinato nel limbo delle norme inapplicabili.

 

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 Data di pubblicazione: maggio-giugno 2020
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