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La fotografia digitale e il controllo del colore

Massimo Pinciroli

Abbiamo già a lungo disquisito di come la ricerca di coerenza cromatica non sia nata con il digitale, come molti pensano, ma sia in realtà antica quanto la fotografia stessa.
Il digitale, semmai, ci ha messo a disposizione mezzi e strumenti in grado di fornire, ai fotografi volonterosi, un maggiore controllo sul colore...

Abbiamo già a lungo disquisito di come la ricerca di coerenza cromatica non sia nata con il digitale, come molti pensano, ma sia in realtà antica quanto la fotografia stessa.
Il digitale, semmai, ci ha messo a disposizione mezzi e strumenti in grado di fornire, ai fotografi volonterosi, un maggiore controllo sul colore.

Nel precedente articolo abbiamo visto come il principale problema alla base della variazione di tonalità delle nostre immagini sia legato alle differenti capacità cromatiche delle varie periferiche coinvolte nel nostro flusso di lavoro.
Sin dagli anni ’90 del secolo scorso i principali produttori legati al mondo dell’imaging hanno iniziato a ricercare possibili soluzioni, arrivando a dar vita all’ICC, l’International Color Consortium (http://www.color.org/), vero e proprio padre fondatore della gestione del colore così come la conosciamo oggi.

La prima esigenza identificata dal consorzio come base da cui partire per avere controllo sulle nostre immagini è stata quella di arrivare a conoscere con precisione il comportamento di ogni singola periferica.
A tale scopo è stato messo a punto lo standard dei profili ICC, file in grado di descrivere con precisione quali e quanti colori i nostri strumenti sono in grado di catturare (fotocamere e scanner) o riprodurre (monitor e stampanti).

Calibrazione e profilazione

Ci stiamo pian piano avvicinando ad uno degli argomenti fondamentali della gestione colore: la creazione del profilo.
Sebbene in passato esistessero utility che millantavano di poter svolgere questo compito ricorrendo agli occhi come strumenti di misurazione, tali soluzioni non potevano considerarsi affidabili. Non dobbiamo infatti dimenticare quanto la visione del nostro occhio sia soggettiva e influenzabile e come tale inadatta a definire dei riferimenti.

La famosa illusione ottica nota come “scacchiera di Adelson” che testimonia la facile ingannabilità dell’occhio nella valutazione delle tonalità. Per quanto si osservi l’immagine, pare impossibile convincersi che i riquadri A e B siano della stessa tonalità di grigio.

Se agli albori della gestione colore le soluzioni strumentali erano poche e costose, e quindi il ricorso a soluzioni empiriche era in qualche modo accettato, oggi l’offerta del mercato è quanto mai variegata ed abbordabile, con pacchetti di uso intuitivo disponibili a costo contenuto.

Sebbene i termini calibrazione e profilazione vengano spesso usati come se fossero dei sinonimi, è importante sottolineare che la procedura di misurazione delle capacità cromatiche di una periferica è composta da due distinte fasi: la calibrazione, per l’appunto, e la conseguente profilazione.

La profilazione è la procedura che misura il comportamento di una periferica e crea il profilo colore, un file che al suo interno definisce quali colori una periferica possa o non possa registrare o riprodurre.
Affinché sia possibile e ragionevole misurare il comportamento di una periferica, però, è fondamentale che essa venga prima portata in uno stato conosciuto e ripetibile. Tale procedura prende il nome di calibrazione.

Per meglio chiarire il concetto, possiamo pensare alla profilazione come alla misurazione delle prestazioni di un atleta su una pista. Affinché abbia senso misurare il comportamento dell’atleta per confrontare i suoi tempi sul giro, è fondamentale che egli scenda in pista sempre nelle stesse condizioni. Non avrebbe infatti senso confrontare le prestazioni conseguite dallo stesso atleta una volta con tuta e scarpette ginniche ed un’altra con zaino e scarponi da trekking.

La calibrazione del monitor

Per calibrare un monitor si opera essenzialmente sui seguenti parametri: la temperatura colore del punto di bianco (espressa in Kelvin), la curva di risposta tonale (generalmente chiamata “gamma”) e la luminosità del monitor (espressa in candele per metro quadrato – cd/mq). Con alcuni monitor o strumenti di calibrazione è possibile regolare anche la luminosità del punto di nero (sempre in cd/mq).

La temperatura colore del punto di bianco è quella a cui il nostro occhio fa riferimento per giudicare tutti gli altri colori. I valori di calibrazione solitamente consigliati sono quelli più prossimi alle condizioni in cui l’occhio umano è solito operare da millenni, ovvero quelli simili luce diurna solare: fra i 5000K ed i 6500K. Sebbene il valore di 5000K rappresenti un vero e proprio standard definito dalle norme ISO 3664, per gli usi fotografici è oramai consuetudine effettuare la calibrazione a 6500K (o D65).

Benché meno critico, il valore di gamma svolge un ruolo importante nella percezione delle densità dell’immagine, soprattutto delle tonalità intermedie. Prima dell’avvento del color management, il valore di gamma rappresentava l’unico strumento per tentare di avere una corrispondenza fra il monitor ed i risultati che si sarebbero ottenuti in stampa. Il valore di gamma 1.8 è solitamente conosciuto come valore standard degli ambienti Macintosh perché era quello che meglio descriveva il comportamento della Apple LaserWriter e, calibrando il monitor di conseguenza, il risultato prodotto da tale stampante era sufficientemente simile a quanto visualizzato dal monitor. In tempi attuali, il compito di sincronizzare le periferiche è demandato più al color management ed ai profili che non alla curva di gamma. Gli attuali monitor LCD hanno una curva di gamma nativa prossima al valore 2,2, ecco che il suggerimento, in assenza di altri motivi specifici, è quello di selezionare tale valore.

Se per temperatura colore e valore di gamma è possibile dare delle indicazioni (quasi) universali, la corretta impostazione del valore di luminosità deve invece tenere conto delle condizioni ambientali in cui il monitor dovrà lavorare. Un monitor molto luminoso in un ambiente buio o, al contrario, un monitor poco luminoso in un ambiente con poca luce, anche se calibrati non ci consentiranno di valutare i passaggi tonali nelle alte o nelle basse luci. Il valore di luminosità del monitor deve in qualche modo rispecchiare la quantità di luce presente nella nostra area di lavoro.
Se, ad esempio, la nostra postazione di lavoro rispondesse alle già citate norme ISO 3664, dovremmo collocare il nostro monitor in un ambiente poco più luminoso di una camera oscura e dovremmo regolarne la luminosità a circa 80 candele al metro quadrato (cd/mq), che sono un valore estremamente basso. Basti pensare che molti monitor attuali hanno una luminosità che va anche oltre le 400 cd/mq. Se tali valori di luminosità possono essere piacevoli per un uso generico (navigare in internet, giocare, vedere dei film), non lo sono altrettanto per usi fotografici: lavorando su di un monitor troppo luminoso sarà difficile avere una corretta percezione della gamma tonale dell’immagine e non saremo in grado di previsualizzare ciò che otterremo in stampa, ma affronteremo più avanti questo argomento.

Tornando al consiglio sul valore di luminosità da utilizzare per una corretta calibrazione del nostro monitor, possiamo affermare che la scelta dovrebbe ricadere su valori compresi fra le 100 e le 140 cd/mq, sempre in funzione delle nostre condizioni di lavoro e delle caratteristiche del nostro monitor. Tentare di abbassare troppo la luminosità di un monitor nato per lavorare a 400 cd/mq potrebbe infatti limitarne in modo consistente la qualità e la gamma di colori riproducibili.

Ora che abbiamo scoperto quali sono i parametri di calibrazione, non ci resta che pazientare sino al prossimo appuntamento per capire come applicarli al monitor!

 

Per chi volesse approfondire la conoscenza del mondo di Massimo (Max) Pinciroli lo può fare sul suo bellissimo sito cliccando qui

 

 Data di pubblicazione: gennaio-marzo 2021
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