Da qualche anno a questa parte, iniziando con la EOS 1D Mk III per poi scendere man mano fino alla EOS 550D, Canon ha introdotto nei propri apparecchi la possibilità di salvare file RAW aventi risoluzioni inferiori allo standard: sono i cosiddetti file "small RAW", o sRAW, variamente identificati a seconda dei modelli anche con sigle come sRAW1, sRAW2 o mRAW. Se la documentazione ufficiale presenta questa caratteristica esclusivamente in termini di possibilità di produrre file RAW più piccoli a beneficio di un superiore numero di scatti memorizzabili a parità di capacità storage, il vero vantaggio del formato small RAW è un altro - e ha a che fare con la riduzione del rumore agli alti ISO. In questo articolo od vi spiega perché.

Il fotografo che decide di scattare in formato RAW non fa altro che ricavare da ciascuno scatto un file contenente la versione più originale possibile delle informazioni restituite dal sensore della macchina. Certo, l'elettronica dell'apparecchio può introdurre alcune elaborazioni intermedie a seconda dei parametri di personalizzazione eventualmente definiti nei menu utente (come ad esempio saturazione, contrasto o luminosità); ma, a parte questo, disporre di un file RAW è garanzia di poter passare alla fase di sviluppo digitale con una copia fedele di quanto osservato - per quanto riguarda la tecnologia oggi più diffusa - attraverso il reticolo Bayer del sensore d'immagine: una scacchiera di filtri rossi, gialli e verdi che viene successivamente interpretata durante il cosiddetto processo di demosaicizzazione fino a produrre un'immagine significativa ai nostri occhi.

Occorre ricordare che il formato RAW contiene dati che variano da produttore a produttore e da apparecchio ad apparecchio: per questo motivo il software di conversione e postproduzione è sottoposto a continui aggiornamenti necessari a supportare i nuovi modelli man mano che appaiono sul mercato. Un file .NEF, per esempio, identifica solamente un file RAW generato da un apparecchio Nikon: saranno i metadati al suo interno a specificarne l'esatto modello segnalando al software come comportarsi per interpretare i dati che seguono. Si tratta di un accorgimento che lascia la massima flessibilità permettendo di incorporare nel file RAW qualunque informazione prodotta dalle tecnologie via via introdotte dai fabbricanti nei loro apparecchi.

Scattare in formato RAW è ovviamente "costoso" in termini di spazio storage consumato nelle schede di memoria all'interno delle macchine fotografiche, negli hard disk dei PC e in qualsiasi sistema di backup ottico o magnetico venga utilizzato dal fotografo: scattare alla risoluzione di 21 megapixel della Canon EOS 5D Mk II significa occupare circa 25 megabyte per immagine; anche scendendo ai 15MP della EOS 50D, la capacità impegnata si aggira comunque intorno ai 20MB.

L'introduzione del formato small RAW da parte di Canon, risalente al 2007 con la EOS 1D Mk III, è stata salutata come un modo per contenere le dimensioni dei file riducendo la risoluzione delle immagini a un mezzo o un quarto dell'originale, anche se a prezzo di una certa confusione nella denominazione del formato, modificato dalla stessa Canon nel corso degli anni tanto da rendere necessaria una tabella riepilogativa prima di procedere oltre nell'articolo:

  • nei modelli 1D e 1Ds, sRAW indica 1/4 della piena risoluzione
  • nei modelli 50D e 5D Mk II, sRAW indica 1/2 e sRAW2 indica 1/4 della piena risoluzione
  • nei modelli 7D, 550D e 1D Mk IV, mRAW indica 1/2 e sRAW torna a indicare 1/4 della piena risoluzione

Nel resto dell'articolo faremo riferimento a quest'ultimo schema che, essendo il più recente, promette di essere quello che sarà utilizzato anche in futuro - sempre che Canon non cambi nuovamente idea...

Ha senso ridurre la risoluzione di un'immagine quando l'evoluzione della fotografia digitale è stata finora scandita dalla corsa al megapixel? La cosa può suonare poco convincente alle orecchie del marketing, ma dal punto di vista del fotografo può rivelarsi un accorgimento utile: d'altra parte i 3,8MP di un file sRAW2 prodotto da una EOS 50D sono più che sufficienti per una classica stampa 10x15 (anzi, paradossalmente è più facile ottenere una buona stampa 10x15 da un'immagine di 3MP che da una di 15MP per via della perdita di informazione che si rende necessaria in questo caso, aggravata oltretutto dagli algoritmi di scaling che le stampanti implementano al loro interno mediante approcci che spesso privilegiano la velocità a scapito della qualità), per non parlare della visualizzazione sullo schermo di un computer. Con i sensori attuali non sempre occorre scattare a piena risoluzione: sRAW è un'opzione per risparmiare spazio sulle memorie di massa adeguando l'immagine all'utilizzo effettivo che ne verrà fatto. Questa sembra essere la ratio del formato small RAW, come del resto suggeriscono gli stessi manuali che accompagnano le macchine fotografiche e la documentazione ufficiale reperibile sul Web.

SuperpixelDietro il formato small RAW si nasconde però qualcosa di più: il suo nome è pixel binning, ed è una tecnica che si avvale di una particolare capacità dei semiconduttori CCD che compongono il sensore della macchina fotografica. Il binning non fa altro che combinare il segnale raccolto da più pixel del sensore stesso per comporre una sorta di "super pixel" capace di simulare il comportamento di un pixel di dimensioni maggiori. Nella Figura 1 qui a lato si può vedere come un binning 4:1 prelevi i quattro fotoricettori rossi più vicini per comporre un super pixel del medesimo colore.

Questo accorgimento permette di aumentare la sensibilità grazie a un rapporto segnale/rumore leggermente migliore, a prezzo tuttavia di una diminuzione del potere di risoluzione a causa del particolare ordine in cui vengono aggregati i fotoricettori verdi. La Figura 2 mostra infatti come anche i pixel  verdi - che in un sensore Bayer sono presenti in numero doppio rispetto agli altri colori singolarmente considerati - vengono combinati a righe alterne (questo perché il super pixel viene formato facendo scorrere verticalmente le colonne di fotoricettori originari) finendo con creare accavallamenti e discontinuità che influiscono appunto sul potere di risoluzione del sensore. Al riguardo fa eccezione un particolare sistema messo a punto da Phase One per il suo Sensor+ proprio per risolvere questo aspetto: ma si tratta di una tecnologia brevettata rimasta sinora appannaggio delle medio formato del suo proprietario.

Un miglior rapporto segnale/rumore significa una resa più fedele dell'immagine agli alti ISO. Vediamo il dettaglio di una fotografia, esemplificativa di vari scatti utilizzati per questa indagine, ripresa con una EOS 7D in condizioni non ideali a 6400 ISO, 1/1000" e f/4:

Non sembrano esserci differenze sostanziali, dato che la riduzione del rumore sembra dovuta più al calo di risoluzione dell'immagine. Qualcosa tuttavia inizia a cambiare quando applichiamo un 25% di denoising utilizzando Digital Photo Professional, software fornito a corredo delle Canon EOS:

Qui il super pixel inizia a offrire un contributo effettivo, specialmente nell'immagine più a destra tratta dal file sRAW. Proviamo a spingere il denoising al 75% e vediamo cosa succede:

La differenza rispetto al 25% di denoising si fa più marcata quanto maggiore è la risoluzione di partenza, a indicare che il pixel binning risulta tanto più significativo ai fini del risultato finale quanto è inferiore l'intensità del denoising software. Considerando che un'elevata riduzione del rumore in fase di postproduzione tende a creare quel fastidioso "effetto plastica", il pixel binning può essere un valido alleato per evitare di intervenire troppo pesantemente con gli algoritmi di denoising.

Rimane ancora una curiosità legata alla funzione custom "Riduzione disturbi alta velocità ISO" disponibile nella EOS 7D. Impostandola al livello 2 (elevata), produciamo un normale file RAW che per confronto sottoponiamo successivamente a un'ulteriore sessione di denoising in Digital Photo Professional:

A parità di parametri, il risultato è inferiore rispetto a quello ottenibile usando DPP su immagini scattate con la funzione custom disattivata; questo è senza dubbio da ascrivere alla migliore qualità degli algoritmi presenti nelle applicazioni per PC, studiati senza le limitazioni di performance che forzatamente devono essere imposte all'interno del firmware delle fotocamere per impedire un eccessivo rallentamento della frequenza di scatto.

Riassumendo, dal punto di vista pratico ricorrere al solo pixel binning non sembra restituire vantaggi significativamente percettibili in termini di riduzione del rumore; tuttavia è in grado di esaltare gli interventi di denoising durante lo sviluppo digitale, specie se appena accennati. Occorre notare come i risultati che si possono ottenere in questa fase dipendono dall'algoritmo implementato dalla particolare applicazione che viene usata dal fotografo. Facilmente, ma questo sarebbe tema di un articolo a parte, Digital Photo Professional, Aperture e Lightroom - per citare tre applicazioni che supportano mRAW e sRAW, cosa che non ancora tutte fanno - potrebbero restituire risultati diversi, così come i vari plugin specializzati come Noise Ninja o Neatimage. Considerando anche altre funzionalità presenti in questi programmi per il miglioramento della resa generale delle immagini, il numero di variabili in gioco è talmente elevato che vale senz'altro la pena effettuare qualche prova con la propria configurazione preferita per determinare l'effettivo contributo che i file small RAW possono fornire nel ridurre il rumore agli alti ISO. Resta ovviamente valido l'aspetto relativo al contenimento delle dimensioni dei file stessi, accorgimento che oltre a salvaguardare spazio su schede di memoria e hard disk comporta anche una velocità superiore nel caricamento e nell'elaborazione delle immagini su PC.

Si ringrazia Gianluca Catzeddu di Canon Italia