Tra le nuove possibilità introdotte dalle macchine fotografiche digitali, una delle più utili e apprezzate riguarda indubbiamente la visualizzazione degli istogrammi della luminosità: grazie a questo comodo strumento è sufficiente infatti una rapida occhiata al display per valutare l'esposizione dell'immagine appena scattata e, nel caso, ripeterla impostando diversamente tempi e/o apertura. Non sempre, tuttavia, questo tool racconta tutta la verità.

Innanzitutto una premessa: l'articolo che state per leggere riguarda esclusivamente le macchine fotografiche digitali dotate di sensore a reticolo Bayer RGB e, possibilmente, anche quelle con sensore Kodak a sensel pancromatici. Non vale invece per chi possiede un apparecchio con sensore Foveon (Sigma), dal momento che la tecnologia sottostante è completamente diversa. Stesso discorso per eventuali sensori Rice, plenoptici, a specchi dicroici e tutte le altre tipologie di sensore attualmente oggetto di ricerca.

Consideriamo cosa accade all'interno di un apparecchio digitale quando viene scattata una fotografia e la luce colpisce il sensore. Un sensore fotografico non è altro che una matrice di fotorecettori che misurano l'intensità luminosa, senza alcuna capacità intrinseca di rilevare il colore. Per questo particolare scopo vengono quindi applicate delle matrici di filtri chiamate Color Filter Array che fanno in modo che ciascun singolo fotorecettore venga raggiunto da determinate lunghezze d'onda corrispondenti ai colori che si desidera misurare: solitamente i colori primari rosso, verde e blu, ma in alcuni casi anche il verde smeraldo (il reticolo RGBE di Sony). Il CFA più diffuso è indubbiamente il reticolo Bayer RGB (o, più precisamente, GRGB): esso ha la particolarità di filtrare il 50% dei fotorecettori sottostanti in modo che ricevano la componente verde (G) della luce, quella a cui l'occhio umano è più sensibile e che esprime il valore di luminanza dell'immagine; mentre la restante parte del sensore viene ugualmente distribuita con filtri dedicati al rosso e al blu ottenendo in questo modo la crominanza.

A questo punto sono disponibili i dati che compongono un file RAW: l'insieme di informazioni raccolte dai fotorecettori al di sotto del mosaico di filtri senza alcun intervento interpretativo o correttivo di alcun genere. Interventi di questo genere sono tuttavia necessari per trasformare i dati RAW in un'immagine comprensibile all'occhio umano, ed è qui che entrano in gioco ulteriori operazioni che possono essere effettuate sia dalla macchina fotografica stessa, per restituire l'immagine sul display, sia dalle applicazioni che "sviluppano" i file RAW su computer aggiungendovi funzioni di postproduzione più o meno numerose.

Per ricostruire il valore RGB completo di ciascun pixel sono necessari algoritmi di demosaicizzazione che implementano apposite tecniche di interpolazione per calcolare le due componenti mancanti. Alla demosaicizzazione segue l'applicazione dei parametri di gamma configurati dall'utente - come scelta del color space, bilanciamento del bianco, compensazione dell'esposizione, contrasto, saturazione ecc. - producendo l'immagine definitiva, quella che osserviamo sul display della macchina o sullo schermo del monitor.

È questa immagine finale ad essere analizzata per creare gli istogrammi della distribuzione dei pixel sui canali RGB (o l'istogramma, come accade sulle macchine che forniscono un unico grafico basato sulla luminosità complessiva dell'immagine) permettendoci di valutare oggettivamente l'esposizione e spesso avvisandoci - per mezzo di pixel lampeggianti - della presenza di eventuali aree sovraesposte.

Poiché il calcolo dell'istogramma è l'ultima operazione nella catena dello sviluppo digitale, è evidente che risentirà delle varie operazioni che avvengono successivamente allo scatto propriamente detto; operazioni che nella quasi totalità dei casi sono definibili dall'utente con i parametri di gamma e quindi eventualmente disattivabili. A un solo intervento non è possibile rinunciare, ed è il bilanciamento del bianco.

Ogni sorgente luminosa emette radiazione visibile a una determinata lunghezza d'onda, corrispondente a sua volta a un particolare colore. In fotografia si è soliti misurare questa radiazione in gradi Kelvin (i fisici preferiscono rimanere sulla scala nanometrica), tanto che si può parlare di "temperatura della luce" come sinonimo del colore verso il quale essa vira: dai 1000 gradi Kelvin del rosso ai 10.000 K del blu. Le lampadine al tungsteno producono per esempio una luce calda, rosso-giallastra, a 3000 K, mentre i neon salgono verso i 5000 K introducendo un tono tra il verdognolo e l'azzurro. I flash e gli illuminatori da studio sono ancora più "freddi" essendo impostati alla temperatura standard di 5500 K, equivalente all'illuminazione del sole a mezzogiorno.

Mentre l'occhio umano ha la capacità di adattarsi alla luce ambientale consentendoci di percepire un determinato colore allo stesso modo indipendentemente dalla temperatura dell'illuminazione circostante, un sensore digitale registra invece quello che vede in maniera oggettiva - inclusa dunque la dominante cromatica introdotta dalla luce. Per ovviare a questo inconveniente si usa dunque "bilanciare il bianco", ovvero intervenire sulla componente di crominanza dell'immagine in modo l'immagine perda ogni tonalità impropria. Più precisamente, i canali del rosso e del blu (quelli, appunto, associati alla crominanza) vengono moltiplicati per determinati valori; il canale del verde (associato alla luminanza) viene lasciato invariato. In altre parole, metà dell'informazione registrata dal sensore viene arbitrariamente modificata. Ne consegue che, anche in assenza di ulteriori variazioni di gamma dovute a specifiche preferenze impostate nell'apparecchio, un istogramma calcolato sull'immagine che appare successivamente al bilanciamento del bianco non corrisponde più all'immagine percepita dal sensore. Non solo: pare che alcuni apparecchi siano programmati per generare un istogramma dalla versione rimpicciolita dell'immagine, la stessa che appare a display, addirittura dopo averla convertita in formato JPEG e, quindi, con una compressione a perdita di informazione. A questo punto è chiaro che una segnalazione di aree sovraesposte da parte dell'apparecchio fotografico potrebbe essere fuorviante.

Molto meglio trovare dunque un sistema che ci restituisca l'indicazione più fedele possibile circa i dati catturati dal sensore in maniera da poter ottimizzare l'esposizione. La soluzione esiste e prende il nome di "bilanciamento unitario del bianco", o UniWB: si tratta di un metodo che porta il fattore di moltiplicazione dei canali di crominanza il più possibile vicino all'unità affinché non vengano modificati i valori di rosso e blu - esattamente come già accade per il verde.

Interfaccia UFRawAlcuni apparecchi (come taluni modelli Nikon) permettono di definire i parametri di bilanciamento direttamente, mentre in ogni altro caso occorre impostare il bilanciamento del bianco con un'immagine custom che rifletta i valori desiderati. La strada più rapida consiste nel resettare la configurazione dell'apparecchio in maniera che i parametri di gamma siano più neutri possibile, e quindi scattare una foto alla sensibilità più bassa e tempi brevissimi con il coperchio lasciato sull'obiettivo. Ne uscirà un'immagine perfettamente nera che, come tale, non dovrebbe richiedere alcun intervento correttivo sulla crominanza. Per verificarlo si può usare un programma per l'analisi dei file RAW come RawAnalyzer o DCRaw, eventualmente dotato del suo front-end grafico UFRaw.

Per usare DCRaw sulla linea di comando occorre digitare: dcraw -v -w <file raw>

Ad esempio, specificando dcraw -v -w img9310.ccr2 si ottiene il seguente output:

Caricamento immagine da Canon EOS 350D DIGITAL dal file img9310.cr2...
Riscalamento con nero 444, saturazione 4095, e
coefficienti moltiplicativi 1.006932 1.000000 1.004527 1.000000
Interpolazione AHD...
Conversione allo spazio colore sRGB...
Scrittura dati sul file img9310.cr2...

Quello che interessa sono i coefficienti moltiplicativi restituiti da DCRaw, quelli che UFRaw (nell'immagine sopra) indica come "Moltiplicatori canale". Più i valori del rosso e del blu (il secondo e il quarto della riga in grassetto) sono vicini a 1, più adatta sarà l'immagine per definire il bilanciamento custom. A volte la tecnica della foto "tutto a nero" non riesce a raggiungere valori adeguatamente vicini all'unità: nella maggior parte dei casi ciò può essere causato da pixel bruciati nel sensore, la cui presenza è sufficiente per riflettersi sulla crominanza. In una tale evenienza ci si può allora rifugiare nella tecnica opposta: obiettivo rivolto verso una fonte luminosa e tempi di esposizione molto lunghi (nell'ordine delle decine di secondi): l'immagine così ottenuta non dovrebbe evidenziare differenze tra pixel bruciati e pixel regolarmente funzionanti.

Una volta ottenuta l'immagine con i moltiplicatori desiderati sarà sufficiente trasferirla nella scheda di memoria della macchina fotografica e richiedere all'apparecchio di impostare il bilanciamento del bianco su di essa mediante la funzione "Custom WB". Per tutti gli scatti che seguiranno sarà possibile osservare sul display gli istogrammi relativi all'esposizione effettiva del sensore (sempre che, ovviamente, non si decida di intervenire sui parametri di gamma: la compensazione dell'esposizione è il caso più frequente). Ecco qui sotto un esempio realizzato con una Canon EOS 350D scattando a 1/40", f/5,6 e ISO 100: a sinistra con bilanciamento interno dell'apparecchio, a destra con bilanciamento unitario.

Fiori

Come ci si accorgerà subito, gli scatti ottenuti in questo modo saranno vistosamente virati verso il verde, proprio in conseguenza della predominanza di questo colore nei filtri del reticolo Bayer; si tratta di un inconveniente facilmente eliminabile in postproduzione impostando il corretto bilanciamento del bianco dal proprio programma di sviluppo RAW preferito. A questo scopo è opportuno scegliere un'applicazione che consenta di effettuare ogni intervento in maniera non distruttiva, ovvero senza modificare il file originale: un accorgimento condiviso ormai da tutti i maggiori programmi del settore, ma che merita comunque di essere verificato qualora si preferisca usare qualche pacchetto poco conosciuto.

Quello che però è più significativo è l'andamento degli istogrammi. I risultati variano ovviamente da macchina a macchina, ma proseguendo nell'esempio di prima possiamo vedere come cambia il comportamento al variare dell'esposizione. Nello schema che segue gli istogrammi della fila superiore sono stati ottenuti configurando il bilanciamento del bianco in modalità "daylight", quelli della fila inferiore mediante UniWB:

Istogrammi

Se nel primo caso il display dell'apparecchio iniziava a indicare alcuni pixel sovraesposti già con un'esposizione di 1/40" per lampeggiare decisamente a 1/30", passando al bilanciamento unitario guadagniamo un paio di stop notando i primi pixel lampeggianti solo a 1/20". Naturalmente il processo di bilanciamento del bianco che viene eseguito via PC e relativa moltiplicazione dei canali di crominanza hanno l'effetto di spostare verso destra l'istogramma; rispetto a quanto avviene all'interno dell'apparecchio, tuttavia, il controllo sul bilanciamento è molto più preciso e un eventuale risultato sovraesposto può essere facilmente corretto con varie funzioni offerte dal software applicativo. In particolare si valorizza il recupero delle alte luci, dato che il software può lavorare su informazioni di partenza significative (i dati del sensore) che non sono sovraesposte in origine bensì appaiono tali in conseguenza di un'operazione dell'applicazione stessa.

Interessante è anche sperimentare i diversi risultati che possono essere ottenuti mediante applicazioni differenti: gli algoritmi di demosaicizzazione infatti non sono sempre gli stessi, e le loro implementazioni divergono a seconda delle scelte di design e di programmazione degli autori. Per questo motivo vale sempre la pena affiancare alla propria applicazione principale una serie di altri programmi software più o meno complessi ai quali ricorrere in alternativa quando il workflow tradizionale non riesce a fornire i risultati desiderati. Anche qui, in fondo, si tratta di disporre della cassetta degli attrezzi più completa possibile, esattamente come accade con la tecnica UniWB: uno strumento il cui grado di utilità può variare a seconda dell'apparecchio, dello stile di ripresa, della scena stessa (immagini "estreme" dove vi siano forti dominanti di uno dei tre colori primari avranno risultati anomali rispetto a immagini cromaticamente più equilibrate). Ma comunque uno strumento che vale la pena conoscere e imparare a maneggiare per ampliare la propria libertà creativa.