Photocall con attori, fotografi protagonisti di film: il rapporto tra cinema e fotografia è sempre stato molto forte. Un tempo i fotogrammi dei film erano usati per la pubblicità all’ingresso delle sale cinematografiche: completavano la locandina e – in nome dell’abusato slogan «una immagine dice più di cento parole» – permettevano agli ignari spettatori di intuire la storia, scoprire l’ambientazione e il cast. Oggi rimangono le locandine, molto amate dai collezionisti. Mentre quei «quadri» sono stati sostituiti dalle gallerie fotografiche che, in Internet all’uscita del film o successivamente in dvd, offrono le stesse possibilità di scoprire il film.

Finora siamo in un ideale ingresso di sala cinematografica (o inizio visione), ma lo stretto legame tra fotografia e cinema è stato spesso pregnante. In alcuni casi troviamo protagonisti di film dei fotografi, famosi, immaginati tali o semplicemente nati dalla mente degli sceneggiatori. In altri casi sono le fotografie stesse ad avere un ruolo importante all’interno di una storia. Oppure le fotografie hanno un ruolo nella scenografia, dando alla casa dove sono esposte, di volta in volta, un tocco moderno, di tendenza, provocante, elegante. Potrebbe rappresentare uno stimolo a completare in questo modo le pareti della propria casa.

In altri casi il cinema ha una forte responsabilità nei confronti della fotografia. Basta pensare all’influenza di “Blow up” su una generazione di aspiranti fotografi e al peso che ha avuto “La dolce vita” nel creare un termine ancor oggi usato (paparazzo).

Girato il film, uscito nelle sale, è ancora la fotografia che ha un ruolo importante nel rafforzare il rapporto tra attori e pubblico. Le foto scattate durante i photocall ufficiali alla Mostra di Venezia come agli altri Festival o alle anteprime stampa sono viste dal pubblico che, ugualmente – almeno una fetta di questo –, cerca gli scatti rubati, scopo gossip. Un tempo, certo, più che oggi, quando molti dei cosiddetti divi vengono dalla tivù e relativi reality. Ma intanto, si sta affermando una nuova tendenza: il pubblico vuole ritrarsi o farsi ritrarre insieme all’attore suo idolo. E ancora una volta la fotografia si stringe al cinema.

Cinema e fotografia: il rapporto, dunque, è molto stretto, e ancora una volta la Mostra del cinema di Venezia, con cui si è aperto questo mese di settembre, lo dimostra. Le schiere di fotografi impegnati in photocall, le cui immagini riempiranno le pagine dei giornali delle prossime settimane, non ne sono l’unica dimostrazione. A loro, da quando il digitale ha trionfato, si aggiungono i tanti fan alla ricerca di una foto che li immortali insieme al loro idolo, uno «sport» che sta diventando ancora più popolare della ricerca di autografi.

Ma il rapporto tra cinema e fotografia si è sviluppato nel tempo a più livelli.

Nicole Kidman e Ty Burrell in “Fur”

Abbiamo visto famosi fotografi che hanno ispirato o sono assurti loro stessi a protagonisti di celebri film. Chiaramente ispirato a Weegee, fotografo di omicidi e incidenti nelle notti di New York, è il protagonista di “Occhio indiscreto”, mentre a Diane Arbus (alla quale od ha dedicato un ritratto in occasione della retrospettiva organizzata dal Foam di Amsterdam tra il 2012 e il 2013) è dedicato “Fur”. Meglio, in questo caso, parlare proprio di omaggio. Perché il film fa della famosa fotografa, interpretata da Nicole Kidman, la protagonista di una vicenda totalmente inventata: si immagina infatti un'attrazione, che diventa amore, con un vicino di casa dal corpo totalmente ricoperto di peli (Robert Downey jr). Un rapporto alla pari, dunque. Di rispetto, potremmo dire, e infatti Diane Arbus fotografava personaggi «diversi», con difetti fisici, emarginati, freaks, come sono definiti, con molto rispetto e rendendoli protagonisti dei ritratti li riconosceva come persone normali. E, ancora, si propone come omaggio al punto da voler togliere ogni dubbio sulla esatta pronuncia del nome della fotografa: «Dian», spiega lei in una scena del film, e non «Daian».

Un caso un po’ particolare è quello di “Pretty Baby”. Il film di Louis Malle è ambientato nel 1917 a Storyville, il quartiere a luci rosse di New Orleans, poco prima che la prostituzione venisse decretata illegale. Qui si muove un fotografo (Keith Carradine), che riprende le ospiti del bordello dove vive anche Violet (Brooke Shields), dodicenne figlia di una prostituta. È Bellocq, chiaramente ispirato al fotografo di cui si sono conosciute solo dopo la sua morte, le lastre scattate alle prostitute di New Orleans.

Matthew McConaughey in “La rivolta delle ex”Ugualmente un fotografo, immaginato nel film come famoso, è protagonista di “La rivolta delle ex”. Lo incarna Matthew McConaughey: in tasca ha una foto Polaroid, da cui non si separa mai. In mano ha una Nikon. A condire il tutto – ma non aspettatevi un gran film: il romanticismo e molto perbenismo dominano - è l’ironia nei confronti dei fotografi di moda. Si fa notare la foto di una copertina, con una modella con mela in testa, colta nel momento (atterrita) in cui la mela viene colpita da una freccia.

Due fotografe, entrambe non famose sono protagoniste di altri due film, molto diversi tra loro. Julia Roberts veste i panni di una ritrattista: la sua vita si intreccerà con quella degli altri tre protagonisti di “Closer”. Ben diversa è la giornalista-fotografa (Jennifer Connelly) impegnata in “Blood diamond - Diamanti di sangue” a smascherare i traffici delle multinazionali del diamante. Sono dunque due facce della fotografia quelle che possiamo cogliere nei due film, molto diversi tra loro: immagini da mostra e immagini di denuncia.

E come non ricordare “La dolce vita”, con i fotografi di via Veneto impegnati a catturare momenti più o meno segreti della vita dei divi di allora. Paparazzo, il nome di un reporter nel film, è diventato sinonimo di un certo tipo di fotografi. Fellini molto si era ispirato a Tazio Secchiaroli, suo grande amico, nel creare questa figura, ma anche nel ricostruire l’episodio del falso miracolo, sulla falsariga del reportage fatto nel ’58 dal famoso fotografo romano.

Anche un altro film ha avuto un particolare rilievo nel mondo della fotografia. “Blow up” ha messo il fotografo al centro di un mondo fatto di belle modelle, arte, avventura, suspense, al ritmo del jazz, che nel 1966, epoca del film di Antonioni, rappresentava spesso la colonna sonora di servizi fotografici in studio. E c’è da chiedersi quanto la figura del fotografo sia riuscita ad affascinare una generazione di giovani, inducendoli a prendere in mano una fotocamera, con l’intenzione di girare il mondo (dorato o avventuroso).

Ma la fotocamera è in mano anche a chi va in vacanza o passa dei giorni in una nuova località. Così la vediamo in mano a Scarlett Johansson, protagonista, insieme a Javier Bardem, Penelope Cruz, Rebecca Hall, di “Vicky Cristina Barcelona” di Woody Allen.

Altre volte sono proprio le foto protagoniste. Al punto che Kubrick chiude “Shining” con una lunga carrellata (inquietante) su una foto d’epoca scattata durante la festa di gala del lontano 4 luglio 1921, dove si vede lo stesso protagonista del film (Jack Nicholson). Ed è proprio una foto che riesce a risolvere un particolare problema di Hitchcock. Il pubblico si era abituato a cercare il cameo del regista nelle sue pellicole, ma come comparire in un film totalmente ambientato in una barca? In “Prigionieri dell’oceano” la sua foto (corredata dal nome, perché non ci siano dubbi) appare in una pubblicità su un giornale. Tra i naufraghi vi è anche una fotografa che, all’inizio, vediamo riprendere i resti del naufragio, ed enunciare, con altrettanto cinismo, tutto quanto ha ripreso.

Ha un comportamento sostanzialmente diverso – sembrerebbe quasi una riparazione – il fotografo protagonista di “La finestra sul cortile” (James Stewart). In questo caso Hitchcock fa sì che il fotografo, in forzato riposo causa gesso alla gamba, spiando i vicini con il teleobiettivo scopra un omicidio e quando il colpevole sta per metterlo a tacere definitivamente un aiuto gli viene proprio dal potente flash al magnesio. Come? Guardate il film e insieme riflettete su come l’evolversi della tecnologia abbia influito sulle trame cinematografiche.

Emily Blunt e Colin Firth in Il mondo di Arthur Newman

Fin qui siamo nella storia – più o meno di rilievo – del cinema. Ma anche film di queste settimane annettono un forte rilievo alla fotografia. Ne “Il mondo di Arthur Newman” viene addirittura recuperata una Polaroid – a volte ritornano! – con cui i protagonisti (Colin Firth ed Emily Blunt) si divertono a fotografarsi nelle case di estranei in cui si introducono per vivere nuove vite. E fanno così tanti scatti da arrivare a cospargere una parete di foto. Ecco dunque perché il regista Dante Ariola ha pensato di ricorrere alla Polaroid, come aveva fatto il regista di “Iago” – film per il resto assolutamente dimenticabile – per consentire al protagonista di realizzare una sorta di schedario femminile da far scorrere velocemente tra le dita.

Roberto Farnesi in “Oggetti smarriti”

Un altro utilizzo della fotografia appare in “Oggetti smarriti”, film recentissimo, ma uscito un po’ in sordina, causa produzione indipendente. Il protagonista (Roberto Farnesi), si muove in una casa modernissima, ambientata a Savona, arredata con foto di nudi a grande dimensione. Le foto scandalizzano un po’ la giovanissima figlia Arianna, ma dimostrano agli spettatori come si possa rendere modernissimo – e unico - un appartamento utilizzando le foto. Magari non nudi, per poter aprire le porte ad amici e parenti di qualsiasi età. Il cinema, insomma, è anche ispirazione in materia di fotografia.