Quattro mostre fotografiche a Milano. Quattro situazioni difficili per motivi differenti. Come differenti sono le sensibilità dei fotografi, autori dei quattro reportage realizzati in epoche diverse tra loro ed esposte a Milano, ma in sedi diverse. A queste quattro mostre è dedicato il taccuino di maggio che, oltre a voler parlare di belle foto, si propone di offrire alcune occasioni di riflessione. Da un lato rende evidente la possibilità che ha la fotografia di far conoscere gente, avvenimenti, situazioni e far riflettere su quanto sta dietro alle foto. Guardando anche un po’ oltre, ciascuna di queste quattro mostre offre spunti di riflessione.

Perché Gordon Parks, il primo fotografo di cui parliamo, fotografava le discriminazioni razziali e la moda, senza reputare che alcuni reportage fossero più importanti di altri. E, come nero, ha dimostrato che l’importante non è il colore della pelle del fotografo, ma il suo sguardo. Robin Hammond, l’altro fotografo a Forma, è grazie all’ausilio di un Premio che ha potuto completare il suo reportage nello Zimbabwe e dunque far conoscere la situazione di un Paese che potrebbe essere ricco e invece vive un regime di violenza dittatoriale. Elio Villa nel Myanmar ha dimostrato la distanza tra il potere militare e la gente che lo subisce: forse sarà la cultura a consentire di capire che è possibile vivere in un modo diverso. Barbara Molteni Zanessis, raccontandoci la bellezza di un’isola greca, fa riflettere su quanto il turismo, la cultura, il bello in senso generale, possono rappresentare un’importante risorsa contro la crisi economica.

Quattro occasioni di riflessione offerte da quattro mostre fotografiche, realizzate in luoghi differenti di questo stesso nostro mondo.

Nel 1956 la Corte dell'Alabama sancisce l'incostituzionalità della segregazione razziale sugli autobus. Ma, ancora sette anni dopo, il governatore dello stesso Stato, George Wallace, rimane fermo sulla porta dell'auditorium dell'Università dell'Alabama per cercare di impedire l'ingresso di due studenti neri. Due semplici annotazioni per far capire quanto il problema razziale non sia legato a secoli lontani. In quegli stessi anni Gordon Parks parlava di segregazione razziale attraverso le sue foto. Nel 1956 fotografa una bambina nera in Alabama che guarda la vetrina con bambini-manichini: tutti bianchi, naturalmente. Nel 1967 dedica un reportage fotografico a una famiglia nera e, contemporaneamente, ritrae Mohammed Alì, fotografa Malcom X e le Pantere Nere. E fotografa grandi personalità nere apprezzate in tutto il mondo, come Duke Ellington.

Gordon Parks è stato un fotografo di Life. Dagli anni ’40 fino alla sua morte nel 2006 ha raccontato l’America: la segregazione, la povertà, ma anche i grandi personaggi, la moda. Ed era nero, «nato in una cittadina dove la discriminazione poggiava ben salda sui macigni della segregazione nelle scuole elementari, nei cinema, nelle chiese e perfino nei cimiteri». La macchina fotografica per lui ha «la responsabilità di far luce su qualsiasi condizione ostacoli la crescita o influenzi in modo negativo lo spirito di chi è intrappolato nei demoni rovinosi della povertà. Per me erano spettri del mio stesso passato».

Gordon Parks, Modelle con taglio di capelli alla garçonne, New York, 1949 | Osservatorio Digitale

Nella mostra a Milano, allo Spazio Forma, fino al 23 giugno è possibile vedere le foto che raccontano storie di povertà e di discriminazione accanto ai ritratti di Marilyn Monroe e di Paul Newman, alle foto di Ingrid Bergman nel ’49 a Stromboli – una discriminata di lusso, in questo caso, per la sua relazione con Roberto Rossellini, entrambi già sposati – e le foto di moda. La sua stessa attività diventa dunque una dimostrazione dell’assurdità della discriminazione in base al colore: l’importante è la qualità delle foto, lo sguardo che sta dietro l’obiettivo, che consente di cogliere il fulcro dell’avvenimento o delle persone che si stanno fotografando.

La mostra, la prima grande retrospettiva europea dedicata al lavoro di Gordon Parks, un fotografo finora invece poco conosciuto nel nostro Paese, andrà poi ad Arles, in occasione dei Rencontres. Come ad Arles sarà esposta anche la seconda mostra ospitata in queste settimane, fino al 26 maggio, dallo Spazio Forma. Si tratta del reportage dedicato allo Zimbabwe, realizzato da Robin Hammond, dal titolo “Your wounds will be named silence”. «Gordon Parks sarebbe felice di vedere questo lavoro e di saperlo affiancato al suo», dicono gli organizzatori delle due mostre. E Robin Hammond conferma: «Gordon Parks aveva la sensibilità di dare voce a chi non ne aveva: anche il mio lavoro si propone questo». La situazione dello Zimbabwe è particolarmente difficile e le immagini di Robin Hammond hanno un forte carattere di denuncia: riescono a far conoscere una situazione che agli occhi di noi europei appare imprevista. Disturbante, difficile da comprendere. Desta sgomento, quasi repulsione. Sono immagini che parlano di case abbandonate, di fabbriche in rovina, di malattie, di povertà, di disinteresse da parte dei governanti, ma anche degli altri Paesi.

Poster della campagna elettorale a favore del presidente Robert Mugabe, appeso al muro di un condominio di Mbare, Harare. © Robin Hammond, 2012/ Panos Pictures for Carmignac Gestion Photojournalism AwardIl reportage ha vinto il Premio Carmignac Gestion per il fotogiornalismo. Il premio è stato creato nel 2009 e si propone di aiutare quei fotografi che possono trovare difficoltà nel proseguire il loro lavoro: offre infatti 50 mila euro che consentono di portare a termine dei lavori su Paesi che stanno vivendo una situazione difficile o che rendono difficoltosi l’accesso ai media. E lo Zimbabwe corrisponde perfettamente a entrambe le clausole.

Come vi corrisponde il Myanmar, meglio conosciuto con il precedente nome di Birmania. La situazione di questo Paese è certamente più nota in Occidente grazie a qualche film e soprattutto ad Aung San Suu Kyi e al Nobel per la Pace conferitole per la lotta a favore della democrazia nel suo Paese, che ha portato l’attenzione generale sulla situazione del Paese e l’ha riportata quando lei ha potuto finalmente ritirarlo oltre 20 anni dopo. “Gente del Myanmar” si intitola il reportage realizzato da Elio Villa in mostra a Milano alla Casa delle Culture del Mondo in via Natta fino al 12 maggio. Il fotografo ha seguito le orme di Padre Clemente Vismara (ora Beato), come lui nato ad Agrate Brianza, che ha vissuto 65 anni in Myanmar: ha raccolto vedove, bambini, offrendo loro una educazione e la possibilità di vivere. Elio Villa ha girato a piedi, in bicicletta o con un taxi e ha potuto conoscere la gente, scoprendone la mitezza, la disponibilità. Ha fotografato i loro sorrisi, anche quando è dominante la povertà o l’emarginazione, come nel caso del lebbrosario, dove gli ex malati preferiscono continuare a vivere anche dopo la guarigione. Ha fotografato i bambini, contenti di farsi riprendere e i monaci buddisti che passavano in fila, tenuti d’occhio dai militari. Con la sua Nikon equipaggiata di un 24-70 e un 70-200 è riuscito a farsi passare per un turista, ben conscio che i giornalisti non sono graditi. Almeno dai militari, perché la gente lo ha sempre accolto festosa.

Barbara Molteni Zanessis, Cappelli - 2010 | Osservatorio Digitale

Hanno invece un carattere astratto, in grado di esaltarne la bellezza, le foto che Barbara Molteni Zanessis ha realizzato a Milos dal 2010 al 2013. Dell’isola greca nel cuore delle Cicladi ha colto le bellezze naturali che ha raccontato con la mostra “Barbara Molteni Zanessis. Milos isole interiori”, curata da Philippe Daverio ed esposta a Milano a Palazzo Morando dal 24 aprile al 29 maggio. Alla bellezza dei luoghi si può contrapporre però la considerazione che anche la Grecia sta vivendo una situazione difficile. Per motivi economici, in questo caso. E il turismo, la cultura possono essere importanti armi vincenti, diversamente da quanto qualcuno ha cercato di far credere. Basta pensare a Bilbao, dove l’apertura del Guggenheim Museum ha dato nuova linfa alla città, rendendola molto viva, con seimila visitatori al giorno, di cui ne stanno beneficando tutte le altre attività. Ma questa è un’altra storia. Altre foto.

(data di pubblicazione: maggio 2013)