Giorgio Di MaioGiorgio Di Maio è sicuramente un eclettico: nasce come architetto - che è poi ancora oggi la sua attività principale - ma si dedica anche alla fotografia, con molta passione e ottimi risultati, come dimostrano i suoi lavori e il successo delle proprie mostre personali. La nostra sempre attenta osservatrice Monica Cillario l'ha incontrato per voi: ecco il resoconto di una chiacchierata tra fotografia, arte, semantica e architettura.

od: Come ti sei avvicinato alla fotografia?

Giorgio Di Maio: L’approccio è stato del tutto spontaneo. Una di quelle passioni che porti dentro tanto da non rendertene conto. Poi constatavo che le mie foto piacevano molto. Gli amici ne erano entusiasti. E così, al ritorno da ogni mio viaggio, una festa con videoproiezione divenne per alcuni anni una sorta di evento rituale. Purtroppo devo dire che, a distanza di tempo, non eguale facilità di ‘ammirazione’ ho trovato tra gli addetti ai lavori. Tanto che devo sforzarmi per vincere un po’ di risentimento.

od: Una passione, dunque... ma se dovessi definirla, cos'è per te la fotografia?

G.D.M.: Io sono un architetto e sento di dovere applicare alla fotografia la stessa triade vitruviana sull’architettura: utilitas, firmitas, venustas. L’utilitas della fotografia è la documentazione; la firmitas è la tecnica; la venustas è la stessa per gli edifici e le foto, vale a dire la bellezza, la gradevolezza estetica. Per quanto mi riguarda, se manca uno di questi elementi non può esservi né architettura né fotografia. Si tratterà di qualcosa d'altro.

Giorgio Di Maio - Napoli Via Posillipo

od: Davvero interessante questo accostamento a Vitruvio, sicuramente un punto di vista estremamente soggettivo e "alto", e mi domando se un simile approccio incida anche sul tuo modo di lavorare quando scatti.

G.D.M.: Come ti ho detto il mio approccio con la fotografia è stato spontaneo, ed in effetti le prime foto furono fatte per puro istinto. Ovviamente avevo una formazione, che nello stesso periodo si andava maturando, quale ‘studioso’ di architettura. E poi un passato di amante dell’arte. L’Impressionismo fu la mia prima grande passione: ricordo che a diciotto anni ero in viaggio a Parigi con i miei genitori e rubai la macchina di mio padre per andare a visitare il "Museo Jeu de Paume", l’allora Museo dell’Impressionismo. Poi sopravvenne il Neoplasticismo di Theo van Doesburg, e un altro grandissimo amore fu Mondrian. Infine il maestro: F.L. Wright e l’architettura organica. Altro elemento di fascino, la semantica. Qualunque forma di arte deve prevedere la conoscenza dei suoi ‘segni’ e deve comunicare. Sono stregato dall’idea che con pochi suoni asemantici – le lettere dell’alfabeto – si sono formate un numero finito di parole – quelle contenute nel vocabolario - e con questi segni non esiste un limite alla capacità di espressione umana. Si può esprimere e comunicare l’infinità dei pensieri ed in infiniti modi.Tutto questo fa sì che quando scatto è perché vedo una possibile incorniciatura di una frammento di realtà che mi attrae, che mi suscita simpatia. Indosso la macchina fotografica e – slow foto – mi piego, mi alzo, indietreggio e non mi fermo fino a quando non vedo ‘il paradiso’, come dice Kenneth Clark e, secondo l’etimologia persiana del termine, "quel che un fotografo vede nel mirino della sua macchina fotografica prima di scattare la foto". E se ora mi domandi che cosa mi fa fermare, ti rispondo che in un certo senso ciò che mi attrae, che focalizza la mia attenzione e quindi il mio sguardo, è la simpatia. Mi spiego meglio: la simpatia mi nasce perché scorgo un’armonia. Come sostiene van Doesburg: "La base di questa armonia è fondata sulla conoscenza dei contrasti, del complesso dei contrasti, delle dissonanze, ecc. che rende visibile tutto ciò che ci circonda. La molteplicità dei contrasti determina enormi tensioni che creano, per reciproca soppressione, equilibrio e riposo. E così operando si ottiene del proprio lavoro un’interrotta ‘filmata’ sequenza di visioni equivalenti". Ma, in tutto questo, non deve mancare la documentazione.

od: Questo tuo modo di lavorare, ora che me lo stai spiegando, mi fa venire in mente i bellissimi video del tuo lavoro "Paesaggi Lucani", fotografie della Natura. Lì la sequenza delle foto trova un suo equilibrio naturale proprio nel complesso dei contrasti, sia dei colori che del soggetto paesaggistico e al termine di ogni tuo lavoro rimane negli occhi un senso di armonia, anche là dove, per motivi urbanistici e sociali, l'armonia non regna proprio sovrana e in questo senso sto pensando alla bellissima serie di fotografie in bianco e nero che fanno parte del tuo lavoro "'Non' è Napoli". Quegli scatti sono stati ospitati lo scorso anno alla Feltrinelli di Piazza dei Martiri a Napoli, la tua città.

G.D.M.: Sino ad oggi ho realizzato sei mostre: "Colonie di artisti", "Frammenti, Ombre", "Alla fine… l’amore", "Basilicata" e l’ultima su Napoli nel giugno del 2011. Il titolo di questa mostra è stato, come tu hai appena ricordato, "‘Non’ è Napoli"; la fonte di ispirazione, non ho avuto paura a dirlo, sono stati i film di Massimo Troisi, che resta uno dei personaggi più amati dalla mia generazione e riprendeva, quale scenario di racconti in cui ci si poteva identificare, luoghi di Napoli non usuali. Perciò anni fa scattai alcune foto girando per la città pensando a tutto questo. L’intenzione era di cogliere una Napoli quotidiana e nel contempo fornirne una visione ideale.

Giorgio Di Maio - Salvador Bahia

od: I tuoi prossimi progetti?

G.D.M.: Al momento il mio progetto principale resta di trasformare in un libro quella che è stata la mia prima mostra online recentemente inserita su Youtube: un lavoro sulla Natura: "Paesaggi Lucani".

od: Quella a cui accennavo prima riguardo all'armonia data proprio dai contrasti...

G.D.M.: Esattamente. Si tratta di un centinaio di foto scattate nel territorio intorno alla città di Venosa, la patria di Orazio, nelle diverse stagioni dell’anno. Questo è un lavoro che dovrebbe segnare un nuovo inizio nella mia attività di fotografo dopo essere stato fermo per alcuni anni per dedicarmi esclusivamente allo studio della Fotografia. Ho trascorso giornate in biblioteca dedicando molta attenzione alla fotografia americana: dalla Farm Security Administration (Dorothea Lange – feci comprare io un libro che mancava! - e Walker Evans) alla ineguagliabile fotografia del paesaggio di Ansel Adams e poi Stieglitz, Weston, Minor White.Inoltre "Paesaggi lucani" segna anche una svolta ambientalista nel mio cuore. Come architetto ho da sempre prediletto l’architettura organica, ma durante questo lavoro mi sono innamorato della Natura, come ci si può innamorare di una donna che nel tempo ha dimostrato di riuscire a ripagarti sempre con la sua bellezza. Fotografandola ho allenato l’occhio a cogliere il ‘paradiso’, appunto come dicevamo prima. La consapevolezza che l’Universo sarà pure infinito ma che, fino a dove l’occhio oggi è arrivato a spingere il suo sguardo, non si è riusciti a trovare un posto bello come la Terra. Ed allora il pensiero di voler partecipare a quella che – come ho letto - sarebbe la sfida delle nuove generazioni: riuscire a raggiungere l’empatia globale prima dell'estinzione. Un piccolo contributo educativo per i ragazzi di oggi per provare empatia con la Natura con cui si entra in contatto. Le foto sono anche un omaggio al lavoro dei contadini lucani che sanno lavorare la terra, la ‘manipolano’ ma non la alterano. E ne sanno trarre vita.

Giorgio Di Maio - Miglionico

od: L'ultima domanda per me è quasi di rito: con quale macchina fotografica lavori?

G.D.M.: Qui si preannuncia una rivoluzione! I tempi mi costringono a passare al digitale. Ma fino ad oggi tutte le mie foto sono state scattate con una semplice Olympus OM-1, che sai essere solo e soltanto manuale. Una macchinetta tutta meccanica che può funzionare anche senza pile. Ah, un’ultima cosa: come "il cacciatore" Robert De Niro ho una regola morale: ‘un colpo solo’. Fotografo una solo volta la ripresa e tradisco questa regola molto raramente: quando la foto merita e sono particolarmente indeciso sull’esposizione.

Giorgio Di Maio è la dimostrazione di come uno scatto nasca sì dall'amore che si nutre verso il gesto spontaneo che porta a fermarsi, fissare un'inquadratura e cliccare, ma la riuscita, anzi, la "venustas", non può prescindere dallo studio accurato, dalla contemplazione delle linee, delle luci e delle ombre, dalla scelta del taglio; in lui architettura, arte e fotografia convivono in un amalgama che crea un'armonia artistica tra essere e fare.