Pamela Lazzarini ©Pamela Lazzarini 2014Pamela Lazzarini, fotografa musicale. No, anche fotografa d'arte. Anzi no, ancora meglio: artista. Infatti c'è tutto un mondo intorno alla fotografia del personaggio di questo mese che, a mio avviso, vale tutto il tempo necessario per leggere il resoconto dell'incontro che ha portato a questa intervista. Parafrasando un vecchio proverbio si potrebbe dire che tutte le strade portano all'arte, se davvero si desidera percorrerle: in questo caso non sembra essere mai stato più vero. E dire che all'origine della storia c'erano i presupposti perché la nostra Pamela finisse per fare altro, magari tenendo per sé la passione per l'arte e coltivandola, chissà mai, magari come un semplice hobby da vivere nei propri momenti di libertà. E invece eccoci qua, a parlare di fotografia e passione, come se il percorso fosse stato liscio, diritto, quasi già tracciato in un remoto passato. Siamo a Padova e sta per piovere ma, come molti sapranno, la città è innervata da una serie di portici che permettono di muoversi agilmente senza bagnarsi, una rete seconda solo a quella di Bologna, quindi siamo tranquilli e procediamo. osservatoriodigitale: Afa e nubi pesanti come preambolo di un'intervista non sono proprio un bell'inizio...

Pamela Lazzarini: Niente di che preoccuparsi e poi che cosa c'è di meglio di un po' di acqua che rinfresca l'aria e l'occasione di bersi un aperitivo insieme?

Cristiano Zanellato ©Pamela Lazzarini 2014

od: Bella un'intervista che si apre con una domanda rivolta a noi dall'intervistata. Non era ancora successo. Che si beve di buono, il solito spritz?

PL: Volendo, oppure c'è dell'ottimo vino che si produce in queste zone. Un tempo, molti decenni fa, erano zone di vino Tocai da pasto, uve e vino destinate alle tavole di moltissime famiglie italiane. Poi il mercato italiano è cambiato e pure il nome Tocai è diventato inutilizzabile a causa di una legge che ne protegge la provenienza e l'origine, appannaggio delle zone ungheresi. Così, come è avvenuto in molte zone di produzione in tutta Italia, si è cominciato a guardare alla produzione dell'uva con maggior attenzione, cercando di arrivare a proporre prodotti di qualità che sostituissero quelli di grande quantità.

od: Mi sembra di sentire parlare un sommellier più che un fotografo, o mi sbaglio?

PL: Forse allora è meglio che ti racconti un po' della mia storia così il quadro si completa. La mia famiglia, da alcune generazioni, ha acquisito delle terre tra Padova e Vicenza nelle quali ha portato avanti la coltivazione della vigna in modo serio e specifico. Per generazioni abbiamo fatto i produttori di uva e di vino ma non ci siamo mai definiti wine makers, come va di moda oggi; siamo stati sempre una famiglia di coltivatori di uva e, di conseguenza, di produttori di vino. Una scelta di vita che, spesso, non ti permette di fare e pensare ad altro. Sin da ragazza io studiavo e mi dedicavo con passione a coltivare un amore infinito per l'arte, sotto forma di dipinti, piccole sculture, fotografie, una passione che avrei voluto trasformare in ragione di vita ma che, al contrario, è rimasta un desiderio sopito per molto tempo, anche se non ho mai abbandonato la strada che stavo percorrendo.

A un certo punto della mia vita mi sono trovata, presto direi, piuttosto presto, a dover prendere in mano le redini dell'azienda, prima insieme a mia sorella poi, ultimamente, da sola: ti assicuro che di lavoro non ne è mai mancato e mandare avanti un'attività così complessa, che passa attraverso i problemi della coltivazione fino a quelli della distribuzione del prodotto finito, non è esattamente qualcosa di semplice. Ma mi hanno insegnato che non si deve mai rinunciare, non ci si deve abbattere perché c'è sempre da imparare e, anche negli errori, c'è sempre qualche insegnamento positivo.

Al centro di queste terre c'era (e c'è tuttora) il cuore pulsante dell'attività: la nostra casa, una villa del cinquecento che noi abbiamo sempre visto come "casa", non come una splendida costruzione al centro di un contado veneto: lì ho cominciato a sperimentare con nuove forme d'arte e nuovi materiali proprio mentre mi confrontavo con agronomi e enologi che mi parlavano di tecniche e innovazioni nel mondo vitivinicolo.

La vita va avanti, ti fai una famiglia e arrivano i figli: gli impegni si sommano e quello di mamma si miscela, diciamo così, a quello di contadina, viticultrice, produttore di vino ma anche a quello di pittrice e fotografa. Le ore però restano ventiquattro e i nostri giorni sulla terra si sommano in un numero sempre crescente. Nonostante questo, per oltre trent'anni sono stata li, presente a presidiare tutti i fronti sui quali ero esposta fino a un bel giorno in cui, all'avvicinarsi della nuova raccolta, ho chiamato a consiglio alcuni miei collaboratori e ho detto a tutti che, da quel momento, avremmo venduto l'uva e smesso di produrre vino.

Puoi immaginare la reazione generale ma ormai la decisione era presa: volevo dedicarmi di più ad altre attività che potessero darmi, se non una sorta di felicità, più serenità e gioia e maggior tempo da trascorrere con la mia famiglia. Non è stata una scelta facile e, nemmeno adesso, a distanza di anni, riesco a stare lontana dall'azienda agricola, da casa dove vado regolarmente almeno un giorno alla settimana.

Key Foster & Bella Blues Band ©Pamela Lazzarini 2014

od: Però, complimenti, una storia molto interessante direi. Ma tutta questa fotografia di musica non può essere stata realizzata solo negli ultimi anni.

PL: No, certo. La musica è stata forse la musa ispiratrice della mia fotografia, quella scintilla che mi ha fatto decidere di lavorarci davvero, mettendoci tutta me stessa per fa emergere attraverso le immagini quelle sensazioni che provavo quando ero ai concerti.

Gaspare Pasini ©Pamela Lazzarini 2014

od: Diciamo che anche avere un marito musicista aiuta... (Pamela, per svelare un po' di retroscena privati, è sposata con un grandissimo musicista italiano, Jacopo Jacopetti, che io conobbi un tempo, quando ero giovane, durante una tournée con i Matia Bazar, gruppo pop di caratura internazionale, dove Jacopo suonava il sax. Anni dopo lo ritrovai protagonista della scena jazz italiana con alcuni dischi a suo nome, n.d.a.)

PL: Vero. All'inizio seguivo Jacopo nei suoi concerti oppure andavamo insieme a vedere quelli dei mostri sacri che passavano dall'Italia. Piano piano ho iniziato a prendere coscienza della bellezza della musica suonata dal vivo, parlo in termini di ripresa fotografica ovviamente, e del mio interesse per le espressioni dei musicisti che, talvolta, erano in grado di far rivivere la potenza della musica anche attraverso le immagini. È stata una palestra davvero dura, soprattutto per me che scattavo in bianco e nero. Non parliamo poi del lavoro di sviluppo e stampa: il digitale è stato d'aiuto anche se, all'inizio, mi è sembrato di dover imparare tutto di nuovo, quasi da zero. Trovarsi sotto un palco con i soggetti illuminati poco ha fatto sì che sviluppassi un senso del tempo incredibile, una capacità di cogliere al volo un attimo che poi si sarebbe rivelato irripetibile. Parliamo di concerti che si tenevano in piccoli club, poi sono arrivati quelli nei teatri e negli stadi: spesso, ancora oggi dove si suona jazz, gli ambienti sono scuri e illuminare i musicisti senza utilizzare il flash è davvero un problema ma è proprio li la sfida che mi piace. Spesso la vinco, raramente rinuncio. In questo devo dire che l'evoluzione delle macchine fotografiche digitali e degli obiettivi ha aiutato molto il nostro lavoro ma stiamo parlando di strumenti di lavoro, le foto poi le devi pensare e fare tu.

Ty LeBlanc ©Pamela Lazzarini 2014

od: Ecco, togliamoci subito il pensiero: che cosa utilizzi per lavoro?

PL: Ho iniziato con una Olympus in analogico e poi sono passata al digitale con Nikon; prima con una D60 poi una D90 e adesso con il mio amore, la D700 a formato pieno, guai a chi me la tocca. Mi dicono tutti che adesso c'è di meglio ma io ho deciso di fare una scelta diversa, di concentrarmi sulle ottiche di alta qualità e lì investo. La fotocamera, che oggi utilizzo con grande destrezza perché la conosco a fondo e mi fido molto delle sue capacità, resterà al mio fianco ancora per un po'. A chi me lo chiede consiglio sempre di concentrarsi su un corredo in cui ci siano delle ottiche di buona qualità invece che diversi corpi macchina, almeno questo è il mio punto di vista.

od: Che cosa ti affascina della musica e dei musicisti?

PL: La musica è un linguaggio universale. Sembra un luogo comune ma non lo è. A volte mi meraviglio ancora quando vedo musicisti che arrivano dalle più diverse parti del mondo, con esperienze musicali davvero disparate che si trovano e dopo qualche minuto sono già lì che suonano come se si conoscessero da sempre. Con Jacopo (Jacopetti, n.d.a.), che sta lavorando a un progetto multietnico, mi capita spesso di vedere questo accedere sotto i miei occhi. Nel corso degli anni ho capito anche che c'è musica e musica e, senza voler fare un discorso selettivo, c'è impegno e lavoro contrapposti a consuetudine e business. In molti casi lo si nota se si possiede un orecchio allenato insieme all'occhio del fotografo. C'è tanta gente, anche famosa, che suona perché deve, perché da li ricava i proventi della professione ma non c'è anima. Spesso quella la trovi sul palco di chi ha fatto della musica la propria ragione di vita: è proprio a loro che rivolgo volentieri il mio obiettivo perché quando suonano fanno tutt'uno con la loro musica e vibrano all'unisono, con le loro espressioni fanno vibrare anche le foto in cui sono ritratti.

Colonna Sonora ©Pamela Lazzarini 2014od: E questa sorta di fascinazione continua ancora dopo tutti questi anni?

PL: Oh sì, è una sensazione che si rinnova ogni volta che mi trovo sotto a un palcoscenico. Le prove, i sound-check come si chiamano in gergo, e l'esibizione sono momenti in cui la musica si rivela in varie forme e assume diversi aspetti, anche attraverso lo stesso musicista. Sui loro volti si può leggere la tensione dell'attesa o la concentrazione nell'eseguire un passaggio o, ancora, il piacere di suonare qualcosa che li fa sentire un'unica parte di un gruppo.

od: Dove finiscono le tue foto dei concerti?

PL: Moltissime restano nei miei archivi. Altre vanno a corredare articoli di giornale o blog sulla musica. Alcune sono state utilizzate come immagini di copertina di alcuni dischi: questo mi fa sempre un po' impressione, in senso positivo, quando vedo nei negozi o a casa di qualcuno un disco con una mia foto in copertina. Ultimamente ne ho utilizzate molte, anzi le sto ancora selezionando, per uno studio sulle lampade che è in corso.

od: Sulle lampade?

PL: Sì, sì, hai capito bene. Come ti ho detto ho sempre amato l'arte e non mi sono mai fermata davanti al concetto una sua forma di espressione, ad esempio la pittura, dovesse fermarsi all'uso dei materiali considerati idonei come le vernici. Io ho sempre amato integrare anche altro nelle mie opere che sono state definite "quadri di materia" proprio perché erano realizzati utilizzando sassi, vetro, legno ma anche piastrelle, farina e spezie, tanto per dare l'idea. Allo stesso modo anche la realizzazione di lampade mi è parso un modo di interpretare quasi la scultura e così ho cercato un modo con cui si potesse integrare in esse anche il mondo fotografico. Durante la mia prima personale (che si è tenuta a Padova allo Spazio Biosfera di Luisa Malatesta e si è conclusa llo scorso 26 maggio), intitolata Colonna Sonora perché c'erano in mostra molte foto di concerti, ho inserito anche il mio primo esemplare di lampada da terra che porta lo stesso nome: una colonna formata da un parallelepipedo illuminato dall'interno che ha sui lati ventiquattro immagini di musicisti.

od: Quindi vorresti dirmi che, a proposito di espressioni artistiche, non vuoi farti mancare nulla?

PL: (sorride) In un certo senso no. Ma è qualcosa che vivo da sempre, lo sentivo come una mia esigenza interiore: pensa che adesso sto lavorando a un progetto che è una sorta di installazione in cui ci sono moltissimi strumenti musicali collegati tra loro come se fossero in una sorta di nuvola; potrebbe essere una scultura ma io la voglio per il soffitto di casa mia perché credo rappresenti bene il mood di casa Lazzarini–Jacopetti. Sono fatta così... Non è la prima volta che questo accade; in passato ho partecipato a una mostra collettiva con un'installazione chiamata Amore Musicale, composta da quattro fotografia stampate su tela e legate tra di loro con fili di rame. Le foto rappresentavano quattro diversi generi musicali, il jazz, la musica della west coast, la musica brasiliana e il pop.

Noi Donne 01 ©Pamela Lazzarini 2014
Di mostre collettive ne ho fatte molte altre come Angoli di Città a Roma oppure un'altra, Noi Donne, che ha come tema la violenza sulle donne, a cura dell'Associazione Event Art di Pergine Valsugana, con la quale collaboro spesso, così come con l'Associazione Erba Matta di Padova. Sono situazioni in cui ci si può confrontare e mettersi in gioco, una cosa che mi piace sempre fare. Qualche tempo fa, ad esempio, mi sono resa conto che la cessata produzione del vino mi aveva davvero lasciato del tempo libero da investire e allora mi sono iscritta a dei corsi di street photography molto interessanti, dai quali ho imparato sicuramente molto anche se ho capito subito che quella non era la mia fotografia, non poteva essere una strada da percorrere per come sono io ma, allo stesso tempo, sono stata contenta di imparare perché quello è qualcosa che non si finisce mai di fare.

Noi Donne 02 ©Pamela Lazzarini 2014

Nel frattempo la pioggia ha deciso di spostarsi altrove e qualche bicchiere è passato dal nostro tavolo. Abbiamo parlato di musica, complice anche il fatto che Jacopo ci ha raggiunti e parlare dei vecchi tempi è stato un attimo. Pamela ha arricchito la conversazione citando aneddoti relativi a questo o a quel concerto, parlando delle facce che fa quel musicista o dei tic di quell'altro. Insomma il pomeriggio si è fatto sera e il tempo è volato.

I lavori di Pamela Lazzarini sono in mostra qua e là per l'Italia ma qualcosa si può vedere anche sul suo sito (ha promesso di lavorarci) che è visibile qui.

Tutte le immagini a corredo dell'articolo sono ©Pamela Lazzarini

(data di pubblicazione: giugno 2014)