Erminio AnnunziSpesso si sente dire che "chi sa fa e chi non sa insegna": vero nella maggior parte dei casi e, purtroppo, ne abbiamo esempi sotto agli occhi quotidianamente in questo nostro Paese dove tutti sanno tutto e pontificano dai pulpiti più disparati e improvvisati. L'eccezione che conferma la regola c'è sempre e, nel nostro fortunato caso, è rappresentata da Erminio Annunzi, fotografo professionista e apprezzato insegnante del prestigioso Istituto Italiano di Fotografia, dove tiene il corso di Paesaggio. Dopo anni trascorsi nel mondo della fotografia dalla parte dell'industria, che ai tempi si occupava della ricerca e dello sviluppo di nuove teniche e tecnologie applicabili al mondo della fotografia, ha iniziato un percorso da formatore che porta avanti ancora oggi parallelamente al suo lavoro di fotografo professionista. La fotografia che lo ispira è quella del paesaggio anche se, come vedremo, il termine dev'essere preso in senso lato ormai, visto che il "paesaggio" a cui fa riferimento è più un luogo interiore che un vero e proprio ritratto di una realtà tangibile. Ma facciamoci spiegare che cos'è e come vede il mondo della fotografia Erminio Annunzi.

osservatoriodigitale: È strano incontrare un professionista che si definisca fotografo di paesaggi…

Erminio Annunzi: È vero, anche perché in Italia è sempre stato sinonimo di autore di serie B, a differenza di quanto avviene in tutto il resto del mondo. Mi basta ricordare Michael Kenna solo per citarne uno, forse non ancora conosciuto come meriterebbe nel nostro Paese, per dimostrare quanto la fotografia di paesaggio sia apprezzata e rispettata nel mondo. Questo atteggiamento limitato e provinciale mi ha sempre lasciato perplesso poiché proprio noi italiani veniamo da un percorso artistico e umanistico, dalla pittura di Giotto in poi, che ha sviluppato una grande sensibilità ed esperienza dando vita a vere e proprie personalità geniali che hanno sconvolto il mondo dell'arte a livello planetario. Purtroppo in Italia sembra che siamo diventati refrattari a tutto ciò che si è evoluto ed è apparso dopo quel periodo storico magnifico: facciamo fatica a riconoscere nella fotografia quella forma d'arte che le spetta di diritto. Si crede ancora che essa sia una specie di rappresentazione "meccanica" di un attimo che non c'è più, quell'attimo che ci ha raccontato Cartier Bresson, un momento di vita che tuttavia non è proprio reale, non assurge al valore di opera come può fare un dipinto di Turner o di Manet per intenderci; all'estero invece il valore dell'opera fotografica è totale, è riconosciuto come arte. Da noi non è stata mai sviluppata la cultura fotografica perché si è sempre temuto, da parte di chi governa questo tipo di movimenti, che potesse aprire le porte a una cultura di massa, termine a cui personalmente non riesco a attribuire un'accezione negativa ma che nel comune senso lo è diventato.

od: Concordo, anche perché fotografare ha comportato nel tempo anche un considerevole dispendio di forze ed energie. Catturare immagini, di qualunque genere, non è stato sempre facile come può esserlo oggi con le nuove tecnologie.

EA: Mi viene da pensare ad Ansel Adams. Ci sono documentari che lo ricordano attrezzato per spedizioni, da solo con un mulo carico di materiale che lui stesso poi provvedeva a montare e a preparare. Aveva con sé tutto ciò che era necessario per sviluppare le lastre che esponeva: è diventato un'icona della fotografia di paesaggi e le sue fotografie ancora oggi suscitano emozioni forti.

Bosco degli Alberi Danzanti 10 - ©Erminio Annunzi 2013

od: È come se ci fosse un'inversione di tendenza dove la quantità (grazie anche alla facilità di scatto offerta dal digitale) tende a sostituire la qualità.

EA: Oggi siamo esposti a un sovraccarico di informazioni, sempre più brevi e sempre più numerose ma che, in realtà, non portano nessuna reale informazione vera; per la fotografia questo ricopre un valore particolare. A mio avviso bisogna distinguere tra ciò che consideriamo fotografia e ciò che è immagine: non sono la stessa cosa per carattere e struttura. Possiamo comparare l'immagine a un blocco per appunti di carattere storico, una sorta di promemoria che ha il difetto di perdere il suo valore proprio a causa dell'enorme quantità generata e diffusa. La società odierna manterrà la più bassa memoria delle informazioni/immagini pubblicate, soprattutto dalla rete, proprio perché questo tipo di dati viene disperso, viene dimenticato in fretta, perde di valore e sostanza.

La fotografia, invece, è uno strumento che permette di registrare una situazione e perfezionarla attraverso la stampa, che permette anche una migliore archiviazione. È attraverso questo tipo di documenti che oggi noi sappiamo con precisione come si è svolto un fatto o come si presentava un luogo. Così come è avvenuto nella pittura, grazie alla quale oggi sappiamo esattamente come ci si vestiva nell'800, con la fotografia è necessario capire che non basta premere un pulsante di scatto e pensare di aver realizzato un documento storico o un'immagine importante. Quello che bisogna comprendere è che con quel gesto si dà concretezza a una visione personale del momento. Anche fare una fotografia alla propria figlia che in spiaggia costruisce un castello di sabbia servirà un domani a ricordare come si era un tempo: in campo professionale cambia l'ambito di azione, ma il principio è lo stesso.

Quello che conta è cercare di trasmettere l'emozione di un momento non solo perché possa essere "taggato" su Facebook ma perché duri nel tempo; questo gioco è destinato a scomparire nel tempo proprio perché diventerà noioso, perché rappresenta un'azione sterile di depauperazione della fotografia, senza la consapevolezza del perché si è voluto realizzare uno scatto invece di ricordare semplicemente dove lo scatto è stato realizzato.

Bosco degli Alberi Danzanti 4 ©Erminio Annunzi 2011

od: Sono concetti importanti soprattutto da insegnare, concetti che vanno oltre la fotografia stessa.

EA: Certo. Ai miei corsi ripeto sempre che la fotografia non è una fotocopiatrice della realtà. È una rappresentazione di un'idea che qualcuno, in questo caso chi sta dietro all'obiettivo, si è fatto di una scena e decide di fermarla in un'immagine. Minor White (grande fotografo americano del secolo scorso, ndr) ha sempre sostenuto di cercare nelle cose non quello che esse erano, ma ciò che esse potevano essere. Ho seguito la polemica nata dalla fotografia che ha vinto il World Press Photo: mi sembra che si sia fatto molto rumore per nulla e, ancora una volta, mi ha meravigliato l'atteggiamento di tutti quei vecchi tromboni che continuano a difendere quella forma puristica di una certa scuola desueta della critica fotografica, un atteggiamento che fa male alla fotografia stessa. C'è stato chi ha accusato l'autore di aver manipolato troppo l'immagine, schiarendo e accentuando luci e ombre dello scatto originale. Quello che non capisco è di che cosa ci si stupisca quando, al tempo del bianco e nero, si bruciava, si mascherava ogni foto in modo costante: del lavoro di Cartier Bresson o di Salgado, giusto per fare due esempi, si accettava tutto, non capisco perché non debba essere la stessa cosa con gli autori di oggi.

od: Parlaci un po' della scuola, dell'insegnamento della fotografia.

EA: Uno dei problemi è rappresentato dalla qualità della proposta formativa. Mi spiego meglio. Soprattutto in tempi di crisi come questo, molti spazi professionali sono venuti a mancare e per questo c'è stato un fiorire di gente che si è inventata un nuovo lavoro, poiché molti credono di poter insegnare. Infatti poi si riscontrano danni notevoli tra coloro che hanno ricevuto una formazione da parte di personaggi improvvisati. È vero che la pratica della fotografia è democratica, tuttavia non lo è il fare fotografia proprio perché non è sufficiente avere delle nozioni e credere di poterle anche insegnare, è importante oltre che necessario sapere anche far capire a chi ti ascolta come comunicare le emozioni che la fotografia porta con sé.

Torniamo sempre al discorso che facevamo prima. Il percorso commerciale, spesso confuso con l'arte della fotografia, punta allo sfruttamento del mezzo e non all'uso che se ne fa. Abbiamo parlato dell'abuso di immagini attraverso i social media e, infatti, Facebook è un grande diffusore di immagini ma non di fotografia. Il messaggio che passa spesso agli studenti dei corsi non professionali è che lo strumento (la fotocamera) sia il fine, non il mezzo: c'è tanta superficialità in quello che viene comunicato, anche e non solo da chi sfrutta un messaggio a scopi consumistici ma anche da chi pretende di insegnare.

Devo dire che, ancora una volta, l'approccio femminile è molto più maturo e attento, sembra che la donna abbia un interesse maggiore nell'approfondire, nel cercare di capire come funzionano davvero le cose: ai corsi che teniamo per gli amatori, ormai, oltre il settanta per cento di iscritti è rappresentato da un pubblico femminile.

Il messaggio che cerco di far passare ai miei studenti è quello di non fossilizzarsi, chiudersi sulle proprie posizioni mentali: è necessario restare aperti a tutti gli stimoli perché anche quelli che sembrano distanti dal nostro modo di essere ci possono aiutare ad aprire i nostri orizzonti, a scoprire qualcosa di nuovo che non avremmo mai ritenuto possibile.

Devo confessare che mi piace molto la pratica dell'insegnamento perché mi permette di stare a contatto con i giovani e la loro freschezza, a volte ingenuità, spesso travolte dal caos a cui li sottopone la società moderna. Sembra che i giovani di oggi siano sottoposti a una sorta di corsa per diventare delle persone adulte anzitempo: a vent'anni ci si aspetta da loro che si comportino come una persona di quaranta e questo è sbagliato. Non sono in possesso degli strumenti per condurre e affrontare la vita con un proprio spirito critico: per questo si trovano spesso spiazzati e incapaci di relazionarsi con il mondo professionale che li attende e col quale si confrontano. Ripeto, il compito del docente è quello di dare informazioni, suggerimenti non semplici e banali nozioni.

Bosco degli Alberi Danzanti N9 ©Erminio Annunzi 2013

od: Ci racconti qualcosa della tua fotografia di paesaggi?

EA: Si tratta di una fotografia che si è evoluta nel tempo fino a diventare quella che è oggi, dove l'albero è divenuto il tema centrale della mia fotografia, soprattutto per la simbologia che rappresenta. L'albero è il simbolo della vita e spesso viene utilizzato proprio per indicare il ciclo dell'esistenza. Mi piace fotografare gli elementi della natura come portatori di significati reconditi: l'albero non è solo foriero di fiori e frutti, ma è uno dei più profondi elementi mistici che ci lega alla vita, così come la conosciamo, e anche alla sfera ultraterrena. Ricordiamo che nelle popolazioni antiche gli alberi avevano un posto importante sia in ambito religioso, sia per il loro valore a livello alimentare e artigianale. Per i Celti c'era la quercia sacra, che era il luogo dove ci si ritrovava soprattutto in occasione di momenti importanti per la comunità, così come l'albero cosmico basilare per le funzioni degli sciamani della Siberia.

Quindi l'albero per me e la mia fotografia rappresenta un ponte tra la vita terrena e lo spirito che la pervade, la quintessenza della spiritualità: questo è il messaggio che cerco di trasmettere con le mie fotografie.

od: Per finire possiamo parlare della tua formazione di fotografo, dei motivi che ti hanno spinto a intraprendere questa carriera.

EA: La voglia di fotografare è apparsa intorno ai 15 anni, età in cui, come tanti, mi sono avvicinato a questo mondo nel solito modo, scattando con una macchina fotografica dozzinale. Poi, al termine della scuola superiore, ho avuto la possibilità di entrare in Agfa Gevaert, un colosso mondiale dell'epoca, dove ho seguito la Scuola di perfezionamento per la fotografia e la stampa presso la sede di Monaco di Baviera. Quella è stata un'esperienza davvero importante così come tutti i corsi che facevano parte della formazione periodica che era prevista dall'azienda.

Più tardi, agli inizi degli anni '90, ho iniziato a collaborare con alcune agenzie, come Associated Press e Daily for Press, come fotografo di sport e reportage, pubblicando le foto sulle maggiori testate giornalistiche italiane come il Corriere della Sera, la Gazzetta dello Sport e così via. Dal 1995 ho iniziato la mia collaborazione con l'Istituto Italiano di Fotografia, nato solo un paio d'anni prima, prima come semplice collaboratore per poi diventare uno degli insegnanti  stabili della scuola. Il lavoro di docente mi ha anche permesso di iniziare e sviluppare delle collaborazioni giornalistiche con riviste come Tutti Fotografi, Progresso fotografico e Fotonotiziario. Dal 2006 sono anche entrato a far parte della prestigiosa Canon Academy, come testimoniale docente per i corsi da loro organizzati.

Albero Danzante N3 ©Erminio Annunzi 2011

od: Per curiosità, cosa utilizzi per scattare?

EA: Attualmente uso delle Canon 5D e 5D Mark II per quanto riguarda il digitale, ma fotografo ancora molto in pellicola perché è il mio vecchio vero amore. Per la fotografia analogica ho dei vecchi corpi Canon e Hasselbald così come una Contax a telemetro. Uso anche delle Holga perché è molto divertente essendo uno strumento che sfrutta un concetto creativo che prende spunto dalle aberrazioni che furono un tempo quelle degli strumenti fotografici veri.

Le immagini di Erminio Annunzi le potete trovare sul sito www.erminioannunzifotografie.eu

(data di pubblicazione: giugno 2013)

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