Riccardo Del ConteSe dietro a ogni azione di un uomo, inteso come essere vivente, c'è sempre una motivazione, un senso che lo spinge a compierla, nel caso del nostro profilo del mese c'è una vera e propria filosofia. Riccardo Del Conte è un fotografo giovane ma dalle idee molto chiare. Credo sia una caratteristica di quella generazione che, sulle ceneri delle esperienze di quelle precedenti, ha pensato e desiderato un futuro migliore per sé. Ovviamente non tutti ci sono riusciti: anzi, forse è proprio il contrario. Ma quel che conta, a nostro avviso, è la forza di volontà espressa nel desiderio di realizzare davvero qualcosa di importante, il desiderio di scoprire la propria identità nel mondo. Quella dell'identità è esattamente la base della filosofia che Del Conte applica alla sua fotografia e, ancora prima, al suo percorso esistenziale, come uomo e come professionista dell'immagine.

osservatoriodigitale: Qual è il percorso che ti ha portato alla professione di fotografo?

Riccardo Del Conte: Una via strana, non impervia ma certo non priva di difficoltà. Sono nato e cresciuto in una realtà provinciale, quella della città di Novara, dove si nasce e si cresce dentro a un certo conformismo, non cattivo ma tangibile, dove la figura del fotografo veniva, e ancora viene, interpretata come quella di colui il quale sviluppa le tue fotografie, scatta le fototessera per i documenti o, quando è bravo, realizza i servizi fotografici per i matrimoni. Non è il caso della mia realtà familiare, certo è che, finito il liceo, ho "deciso" di seguire una strada tradizionale iscrivendomi a giurisprudenza a Milano, addirittura in Cattolica. Compito che ho portato a termine, laureandomi anche bene e che mi è valso un bel posto di lavoro presso una banca d'affari nella quale ho lavorato per circa nove mesi: credo sia stata quella la goccia che ha fatto traboccare il vaso. All'improvviso ho capito che non era quella la mia strada, volevo vivere qualcosa di più personale, di più creativo e profondo; così è stato naturale che pensassi alla fotografia, mio amore sin dalla giovinezza.

od: Non dev'essere stato facile…

RDC: No, lo ammetto, ma nemmeno così dura da avere dei ripensamenti. In realtà amavo fotografare da quando ero ragazzo e ho sempre nutrito il sogno che un giorno avrei portato avanti al mondo la mia idea di fotografia. È sempre stata una ricerca la mia, uno studio di chi era venuto prima di me e delle immagini che vedevo sui giornali, nei libri, alle mostre. La professione di fotografo è nata certo per una grande passione, che è emersa quando ho cominciato a fare il fotografo di scena in teatro. All'inizio era anche una scusa per frequentare l'ambiente e godere delle rappresentazioni in modo gratuito ma, soprattutto, per evadere dal mondo della giurisprudenza e dei codici da imparare a memoria. Con la mia Canon EOS 500 ho realizzato gli scatti che mi hanno permesso di ottenere i primi rimborsi, non dico ancora pagamenti veri e propri, che cominciavano così a giustificare gli sforzi che facevo per mantenere quello che, al tempo, era visto in famiglia come un hobby costoso. I rimborsi sono divenuti compensi e, a 27 anni, ho deciso di fare della fotografia la mia professione. Fu proprio mentre lavoravo come legale nella banca d'affari che si formò dentro di me la consapevolezza di voler diventare un fotografo professionista: il percorso formativo, gli ostacoli che mi ponevano in qualche modo sia la mia famiglia sia la realtà locale che vivevo, alla fine, hanno finito con lo spronarmi. Sarà stata la formazione universitaria oppure la vita della piccola città senza particolari stimoli per le nuove professioni ad avere proprio l'effetto contrario sulla mia coscienza al punto da farmi prendere una decisione importante davvero controcorrente.

Teulada, foto di Riccardo Del Conte | Osservatorio Digitale

od: Quali considerazioni hai fatto prima di prendere la decisione?

RDC: Molte, ne ho fatte davvero molte anche perché sono convinto che in quegli anni (stiamo parlando di una decina di anni fa circa, ndr) fosse anche troppo facile accedere alla professione di fotografo, accedere al mercato grazie solo a troppa tecnica, ma che quel periodo rivelasse anche la scarsa cultura che permeava il mondo dei fotografi. Lo stimolo maggiore, tuttavia, è stato di tipo interiore, del tutto personale, legato alla mia voglia di fare fotografia di ritratto e di luoghi: quello che mi affascina molto è la ricerca dell'identità del soggetto ritratto, qualcosa che porti a rivelarne la vera personalità. Se ci pensiamo i ritratti e le fotografie dei luoghi ci rivelano le loro identità attraverso le immagini e noi formiamo le nostre idee su quelle persone o su quei posti proprio basandoci sulle sensazioni che riceviamo da quello che vediamo; siamo portati a credere che Einstein fosse una persona simpatica perché nelle foto lo ritraggono così, con un'espressione positiva, aperta verso l'osservatore.

Per questo motivo ammiro molto chi fa questo tipo di fotografia e mi affascinano i ritratti e le foto ricordo, siano esse realizzate da fotoamatori o da chi, come me, fa della vera e propria ricerca. Credo che questo tipo di fotografia abbia in sé dei valori molto alti e che al fotografo venga data una grande responsabilità nel farla; il ritratto serve fondamentalmente a recuperare la memoria di qualcuno o qualche cosa ai posteri, credo che questo sia uno dei valori più alti della fotografia.

Per vicende mie personali ho conosciuto sin da bambino l'assenza di persone care ed è stata quella, probabilmente, la molla interiore che ha fatto scattare in me questo desiderio di cercare nei ritratti la continuità della vita oltre il tempo, la responsabilità di portare avanti una testimonianza dei ricordi, di chi ha abitato il mondo. Trovo che sia grande il valore e il livello sociale che la fotografia possa esprimere e, per questo, credo che sia una professione che merita grande rispetto, innanzi tutto da chi la pratica, è ovvio.

Penso che questo tipo di fotografia debba moltissimo anche ai fotoamatori, ne cito uno su tutti Giuseppe Zanotti Fregonara, che hanno avuto la possibilità di sperimentare, lavorando con tempi e condizioni inammissibili, impensabili per i professionisti; hanno avuto il tempo di aspettare una determinata condizione atmosferica per poterla fissare in un'immagine, situazione inimmaginabile per un professionista che deve portare a casa un lavoro in un lasso di tempo prestabilito.

Matteo Manassero per Style Golf, foto di Riccardo Del Conte | Osservatorio Digitale

od: La ricerca è perciò qualcosa di lungo e profondo?

RDC: Sì, qualcosa che appartiene al proprio intimo. Oggi vedo che molti confondono gli strumenti che hanno a disposizione con il risultato che la fotografia deve rappresentare: faccio un esempio su tutti, Instagram. A me sembra una grande banalizzazione della fotografia stessa, un mezzo che offre una lettura preconfezionata di un'immagine ma che risponde a una convenzione sociale ormai diffusa, quella di utilizzare dei modelli sui quali costruire un prodotto qualunque: questo paradigma si può oggi applicare a qualsiasi campo si voglia, soprattutto dove interviene l'informatizzazione dei flussi di lavoro.

Con questo voglio subito dire che trovo molto positivo l'avvento di nuovi mezzi e strumenti, come Instagram appunto, ma solo se ci aiutano a capire dove e come sbagliamo, per esempio quando si utilizzano ombre fredde quando si vuole esprimere qualcosa di gioioso e così via. Proprio per questo prima dicevo che i professionisti hanno una grande responsabilità che è anche quella di spiegare al pubblico quello che è giusto e quello che non lo è: bisogna fare cultura perché è il primo strumento che serve per una buona fotografia.

od: Torniamo al momento dello "switch" da giurista a fotografo: come hai deciso che era giunto il momento di vivere di fotografia?

RDC: È stato anche un momento di fortuna, ho colto un'opportunità, come spesso accade a molti nella vita. Avevo da poco realizzato un servizio fotografico per una nota ricamatrice di abiti per bambola che voleva organizzare una mostra sui suoi lavori. Un lavoro molto tecnico che contemplava la ripresa delle varie fasi del ricamo proprio per evidenziarne le caratteristiche di pregio date dalla complessità della lavorazione. In qualche modo quelle foto finirono in mano alla direttrice di Rakam (prestigiosa e famosa rivista italiana nata nel 1930 e dedicata al mondo del ricamo, ndr) che mi volle conoscere per affidarmi un lavoro: fu quello il primo vero lavoro come professionista e ha segnato l'inizio della mia carriera. Da quel momento mi sono dedicato al ritratto, alla ricerca dell'identità, come dicevo, nelle persone e nei luoghi.

od: Ecco, torniamo a questo punto che è molto interessante…

RDC: La ricerca dell'identità nel ritratto e nei paesaggi parte da un'idea mia di luci e temi; tra l'altro se da un ritratto spesso riesce a trasparire subito la personalità della figura ripresa, diverso è il discorso per un paesaggio dove c'è spesso la necessità di una spiegazione, di fare luce su quanto il luogo riesca a mostrare o tenda a nascondere. Sotto il profilo della persona credo ci sia un alto valore simbolico nella ricerca della propria identità per capire anche quale sia il proprio posto al mondo.

Carlo Bianchini, AD di Coty Italia, foto di Riccardo Del Conte | Osservatorio Digitale

od: Dalla visita al tuo sito si esce con l'idea che tu sia uno che scatta poco. È vero?

RDC: No, diciamo che sul sito ci sono poche immagini perché ritengo sia fondamentale saper scegliere il proprio lavoro da mostrare. Sul proprio sito non c'è alcun committente quindi ci si sente liberi di mostrare quello che più ci piace e si desidera, si voglia far emergere il messaggio che si vuole. Un esempio viene dai toni chiari che fanno vedere solo una parte del paesaggio, così da lasciar immaginare l'essere intimo del paesaggio stesso, con leggerezza e delicatezza. C'è una filosofia personale che il paesaggio racconta in modo evanescente. Tutto questo è una pratica che, dal punto di vista commerciale e professionale, risulta essere impraticabile, almeno fino a quando un professionista non ha raggiunto una tale fama da poter imporre il proprio stile.

Tornando alla capacità di selezione delle immagini devo dire che quella è una caratteristica che mi viene dai tempi della camera oscura quando, lavorando in analogico, si tendeva ad avere meno scarto possibile, dovuto alla poca disponibilità del materiale che costringeva quindi a una sorta di "editing" naturale che portava alla stampa solo delle immagini più significative. La camera oscura ti insegna un certo rigore nel metodo di lavoro: un tempo si apprendevano tecniche che oggi, forse, col digitale sembrano non essere più necessarie. Oggi si parla sempre molto di risoluzione, di megapixel, valori certamente importanti perché utili ma non indispensabili: per arrivare a un risultato finale, la stampa, davvero ottimale credo sia necessario conoscere il flusso di lavoro per arrivarci e tutti gli eventuali problemi ad esso legati.

Winter Collection Flapper, foto di Riccardo Del Conte | Osservatorio Digitale

od: Che attrezzatura utilizzi oggi?

RDC: Sono nato, per così dire, con Canon e, come ho detto prima ho iniziato con una EOS 500 e poi una EOS 3, rivoluzionaria al tempo della sua presentazione perché aveva un dispositivo di messa a fuoco guidata dall'occhio del fotografo. Ai tempi utilizzavo anche una Zenza Bronica per il medio formato e un banco Fatif con ottiche Schneider. Con l'avvento del digitale ho iniziato con una EOS 350D passando poi, appena possibile, a fotocamere più performanti come la EOS 1Ds Mark III e un paio di corpi 5D Mark III. Ricordo che la 350D aveva uno scatto molto rumoroso che mi imponeva evoluzioni al limite del possibile per non risultare sgradito e fuori luogo da parte degli attori e del pubblico ogni volta che effettuavo uno scatto. Tra l'altro il rapporto segnale/disturbo era eccessivo, al punto che non era pensabile scattare on una sensibilità superiore ai 200 ISO: oggi la situazione è decisamente cambiata e non solo sulle fotocamere di fascia professionale.

Per quanto riguarda le ottiche, invece, ho da sempre una serie di focali zoom tra le più impiegate come il 17-40, il 24-70 f/2.8 e il 70-200 f/2.8 anche se, da circa un anno, c'è stato un passaggio importante verso l'impiego di ottiche fisse. Oggi utilizzo prevalentemente due ottiche fisse, un 85mm f/1.2 e un 24mm f/1.4, a seconda del tipo di immagine da realizzare con una modalità particolare: compongo l'immagine e metto a fuoco manualmente con grande precisione attraverso la funzione Live View, ottenendo risultati eccellenti.

Il sito di Riccardo Del Conte è www.riccardodelconte.com

(data di pubblicazione: maggio 2013)

Cerca su Osservatorio Digitale