Fabio Nosotti intervistato da Osservatorio DigitalePer conoscere Fabio Nosotti e quello di cui si è interessato e ha fotografato nella vita ci vorrebbe un'edizione speciale di od e non sarebbe sufficiente. Dinoccolato e apparentemente svagato, si muove a suo agio tra le pop star più famose al mondo così come tra le catwalk più esclusive. Ma non lo spaventano neppure gli assignment in cui si scatta sotto la pioggia torrenziale...

Fabio Nosotti, fotografo e giornalista, è nato a Milano e svolge la sua attività in Europa ed in America. Inizia nei primi anni Settanta a collaborare come giornalista alla rivista musicale Suono Hi-Fi Stereo, per la quale esegue anche i primi servizi fotografici imprimendo così una piega alla sua attività in direzione della produzione di immagini.

A cavallo del 1980 è tra i fondatori di testate storiche come Il Mucchio Selvaggio e, successivamente, Il Buscadero. Tra il 1982 ed il 1985 collabora con Ciao 2001, Tutti Frutti, Rockerilla, Tutto Musica ed Hi-Fi. Lavora inoltre per Videomusic, prima televisione musicale in Italia, realizzando numerose interviste anche all'estero. In seguito collabora per sette anni con Vogue Italia, diventa photoeditor di Esquire Italia e collabora con numerose riviste nell’ambito della moda e della musica, quali Donna, Amica, 100 Cose, Hard Rock, Top Girl, Rock Show, solo per citarne solo alcune.

Ha pubblicato un libro fotografico sugli Spandau Ballet e le sue foto sono state utilizzate per molti altri volumi. Nel 1987 ha realizzato la sua prima mostra, Click & Rock, evento itinerante con 100 ritratti d’autore. A scopo benefico ha partecipato a due mostre di Amnesty International e ha tenuto molte altre mostre personali, non ultima “Smell like America”, un altro interessante evento itinerante a tema. Ha inoltre realizzato numerosissime copertine di dischi per artisti italiani e stranieri, cataloghi di moda e merchandising per i più famosi personaggi italiani ed internazionali.

od: Il tuo campo d'azione è particolare. Come si diventa un fotografo di rockstar?

FN: Come spesso accade, è questione di trovarsi nel posto giusto al momento giusto. Tutto è partito nei tardi anni '70 quasi per caso attraverso la partecipazione a un concorso indetto dalla rivista musicale Suono Hi-Fi Stereo per scrivere la recensione di un album. Il risultato piacque ai responsabili della rivista che mi chiesero di collaborare con loro come giornalista. Essendo un grande appassionato di musica e seguendo molti concerti, scattavo anche moltissime foto: all'epoca era diverso da oggi, era molto più semplice frequentare il backstage e scattare foto liberamente. Il passo successivo e naturale è stato passare dalle recensioni alle interviste con cantanti e musicisti: essendo appunto anche fotografo dilettante, in occasione delle interviste oltre a scrivere il pezzo scattavo anche le foto per il servizio.

Ricordo che i primi soldi come fotografo li ho guadagnati con le foto dei Dire Straits, all'epoca ancora semisconosciuti in Italia. Qualche mese dopo aver fatto un servizio fotografico a Londra il gruppo esplose inaspettatamente (per le case discografiche) anche da noi, e io ero l'unico in Italia a possedere delle loro immagini. Il passo successivo sono state le prime copertine di album per Ricky Gianco e Bruno Lauzi, passando poi gradualmente anche a gruppi italiani ed esteri inizialmente minori e poi via via più famosi. Proprio recentemente mi sono reso conto di aver fatto quasi 5.000 copertine tra album e CD. All'epoca, stiamo parlando dei primissimi anni '80, trascorrevo praticamente il mio tempo a cavallo tra l'Italia e gli Stati Uniti facendo foto e interviste che poi venivano pubblicate su Mucchio Selvaggio e in seguito anche su Ciao 2001, Tutti Frutti, Rockerilla, Tutto Musica, ecc.

od: Dalla musica ti sei trovato poi a scattare nel mondo della moda. Com'è avvenuto questo passaggio?

FN: Lavorando nel mondo della musica già da qualche anno e collaborando con numerose riviste, il mio nome era già abbastanza noto nel giro; per questo a un certo punto sono stato contattato da Vogue Italia per fare dei servizi sul jazz e, in seguito, sui musicisti in genere. Si trattava di servizi in bianco e nero molto legati al mondo della moda come tipo di immagini e abbigliamento utilizzato. Nel frattempo ero diventato anche photoeditor di Esquire Italia, pur continuando a collaborare con altre riviste di moda - quali Donna e Amica - e musicali, come Hard Rock e Rock Show, oltre che con il Buscadero, che ho fondato insieme ad altri fuoriusciti da il Mucchio Selvaggio. In pratica è stata l'evoluzione del mondo musicale con l'avvento dei primi image-maker verso la metà degli anni '80, quindi con la sempre maggiore attenzione all'immagine e al look di musicisti e cantanti, che mi ha portato nel mondo della modo come naturale estensione del mio lavoro di giornalista e fotografo musicale.

od: Oggi continui a occuparti di musica e moda?

FN: Sì, mi occupo sempre di fotografia musicale, ma in modo un po' particolare. Oggi lavoro soprattutto attraverso l'enorme archivio che ho accumulato nel corso di tanti anni. In pratica, con l'avvento del digitale e con la crisi della carta stampata che si è verificato a partire dal 1997-98 quando molte riviste hanno chiuso i battenti, tanto il settore della fotografia musicale che quello della fotografia di moda sono cambiati totalmente. Io ho sempre lavorato su pellicola e ancora oggi utilizzo raramente il digitale. Per me quindi il lavoro in campo musicale si è ridotto moltissimo per quanto riguarda i nuovi progetti, perché con il digitale ovviamente le cifre in gioco si sono compresse enormemente; d'altra parte sono aumentate le richieste delle immagini d'archivio. Con la sempre maggiore diffusione di compilation, raccolte, ristampe su CD di vecchi autori o di vecchi album c'è stata infatti un'esplosione della domanda di immagini d'epoca, spesso di cantanti e musicisti ormai morti, e ciò è avvenuto anche sulla stampa specializzata, con un forte aumento degli articoli o delle monografie su musicisti e cantanti degli anni '70-80. Per esempio continuo a collaborare con il Buscadero, al quale fornisco immagini d'archivio, ma le mie nuove produzioni sono poche in quanto i guadagni sono bassissimi.

od: Ma quindi non utilizzi assolutamente il workflow digitale?

FN: Sì, naturalmente, ma di rado per nuovi lavori. Utilizzo il workflow digitale per salvare e restaurare il mio enorme archivio su pellicola, in particolare il bianco e nero. Per il mio tipo di fotografia, che verte specialmente sui ritratti, non c'è però paragone tra pellicola e digitale. Se si tratta di scattare foto sportive o di still life il digitale va benissimo, ha rappresentato una vera e propria rivoluzione in termini di costi e praticità, ma per i ritratti, soprattutto in bianco e nero, la qualità della pellicola come incisione e profondità dei toni è inarrivabile. In pratica il digitale impone un unico tipo di luce, e per questo le foto di moda pubblicate oggi sembrano tutte uguali. Se si sfoglia una rivista di moda, anche prestigiosa, le foto dei vari servizi sembrano scattate tutte dallo stesso fotografo. Oltre a questo problema, insormontabile per il mio tipo di fotografia, c'è il problema dei ritocchi. Una foto di moda o un ritratto scattati in digitale vengono visualizzati benissimo sui monitor ad alta definizione, ma nel caso della stampa sono invece necessari numerosi interventi e correzioni che richiedono moltissimo tempo, e quindi costi. Se invece la stessa foto viene scattata su pellicola c'è un maggior costo legato al materiale ma si risparmia tempo e costi sui ritocchi successivi eseguiti al computer.

od: Dunque per il tuo stile e il tuo tipo di fotografia il digitale non è adatto?

FN: In pratica no. Ovviamente tutto dipende dal tipo di foto che si vuole fare e dallo stile del fotografo. Con un ritratto in luce piena non si nota una grande differenza tra digitale e pellicola. Ma se voglio scattare una foto in studio in bianco e nero con uno stile molto "tagliato" come il mio, non c'è paragone tra le due tipologie: in digitale si perde quasi completamente la profondità e l'incisione della pellicola.

od: Un problema di differenza di latitudine di posa del sensore digitale rispetto alla pellicola oppure a un problema del processo di stampa?

FN: Il problema fondamentale è legato soprattutto alla diversità concettuale della pellicola. Una pellicola come quelle che si trovano oggi è composta magari da una decina di strati di argento che permettono di rendere appieno la profondità dei colori. In digitale non è così. Ad esempio, in digitale il nero è totale se lo si osserva su un monitor ad altissima definizione, ma quando si stampa non è così, perché la stampa, anche quella professionale, non ha la risoluzione di un monitor, quindi va ritoccato. E su una foto in bianco e nero i bianchi tendono a sbiadire e i neri a scurirsi, con il risultato che finisce per perdersi gran parte della profondità dell'immagine creata proprio dagli strati di argento della pellicola che, tecnologicamente parlando, oggi non possono ancora essere riprodotti in digitale. In un certo senso è un problema simile alla differenza riscontrabile nei primi televisori al plasma rispetto a quelli attuali. Allora il nero era quasi trasparente a causa dei problemi della matrice al plasma, mentre oggi, dopo anni e anni di sviluppo tecnologico, il nero è perfetto. Ritornando alla fotografia, è un po' come se la fotografia digitale di oggi fosse come quei primi televisori al plasma, almeno per quanto riguarda il bianco e nero.

Danny DeVito

od: Quali macchine fotografiche utilizzi?

FN: Essenzialmente Nikon e Hasselblad analogiche. Possiedo anche una vecchia Mamiya 6x9 che ormai utilizzo raramente. Ho anche una Nikon digitale, ma niente di speciale, se proprio devo fare un lavoro in digitale preferisco noleggiare la macchina che mi serve. Certo, lavorando in analogico c'è il problema dell'approvvigionamento delle pellicole. Attualmente utilizzo pellicole Fuji perché Kodak secondo me ha avuto avuto un crollo della qualità, almeno per il colore. Per il bianco e nero invece utilizzo ancora Kodak, che produce una nuova pellicola in negativo in bianco e nero davvero eccezionale. Però le pellicole è necessario ordinarle in Germania o in Inghilterra, perché c'è un mercato relativamente piccolo anche se molto redditizio: pensa che un responsabile Kodak tedesco mi ha detto che con la vendita delle pellicole ai professionisti si finanziano la ricerca nel digitale. A questo problema si aggiunge anche quello dello sviluppo e della stampa, perché ormai non è facile trovare un laboratorio veramente come si deve, e quei pochi sono indaffaratissimi.

od: Ma ti vengono ancora richiesti lavori su pellicola?

FN: Certamente, non spesso perché i costi sono molti più elevati e oggi non sono molti quelli disposti a spendere. Il problema, come ho detto, è che l'avvento del digitale ha portato a un drastico abbattimento dei costi. Ad esempio, per un fotografo di still life non c'è paragone a fotografare in digitale, una soluzione che ti permette di fare facilmente tutte le prove che vuoi e che produce esattamente i colori desiderati ritoccando l'immagine al computer. In questo modo i costi di produzione si sono ridotti enormemente, e conseguentemente c'è stata una riduzione generalizzata dei prezzi sul mercato. È chiaro dunque che la maggior parte delle persone, anche se fortunatamente non tutti, non è disposta a spendere i soldi richiesti dai lavori su pellicola e si accontenta di quello che è possibile ottenere in digitale. È un po' lo stesso che accade nel cinema: chi può permetterselo sceglie ancora di lavorare in 32mm, ma si tratta di casi sporadici. Lavorare su pellicola oggi ha costi vivi molto elevati e quindi non ha senso farlo in presenza di budget di poche migliaia di euro perché non vi sarebbe margine. Ciò nonostante, per fortuna mia e di tanti altri professionisti del settore, si continua ancora a lavorare su pellicola almeno ad alti livelli, e lo dimostra il fatto che anche gli stampatori che lavorano con la pellicola esistono ancora nonostante l'avvento del digitale. È chiaro che il mercato oggi non è più quello di una volta e che i soldi che si guadagnavano ad esempio negli anni '80-'90 oggi sono solo un bel ricordo.

od: Pensi che questo stato di cose sia imputabile esclusivamente all'avvento del digitale?

FN: In sostanza sì, anche se combinato con gli effetti della crisi economica. Da un lato l'avvento del digitale ha ridotto drasticamente i costi non soltanto nella fotografia, ma anche ad esempio nell'editoria, nella produzione musicale e in tanti altri settori, ma ha appiattito la qualità pur elevando il livello di base. Mi spiego meglio. Oggi una foto in digitale molto buona e di livello professionale, almeno dal punto di vista tecnico, la può fare praticamente chiunque. Poi il vero fotografo indovinerà un taglio e un'inquadratura come il dilettante difficilmente riuscirà a fare. Quindi il livello qualitativo di base è cresciuto, perché oggi una bellissima foto possono farla tutti, tecnicamente parlando, ma in valore assoluto la qualità è diminuita perché, a causa della crisi economica e dei pochi soldi in circolazione, la maggioranza di chi commissiona i lavori si accontenta di spendere poco e dunque non può richiedere lavori di altissima qualità. Per questo nella fotografia, nella moda e nell'editoria il livello qualitativo si è abbassato e appiattito: perché un lavoro di livello accettabile, spendendo poco, possono farlo in tantissimi con pochi mezzi a disposizione, mentre il lavoro di altissimo livello, che fino a metà anni '90 circa era obbligatorio per tutti o quasi almeno in certi ambiti, sono veramente pochi a poterselo permettere e forse anche a desiderarlo.

od: Ma il digitale ha portato solo aspetti negativi?

FN: Assolutamente no, tanto è vero che utilizzo anch'io, come detto, il workflow digitale. Pensiamo a Photoshop, con cui si riescono a fare cambi di dominanza eccezionali, ad esempio ottenendo dei seppia straordinari; personalmente però parto sempre da degli originali in bianco e nero su pellicola in negativo. È chiaro che nella fotografia l'avvento del digitale ha rappresentato un progresso straordinario, ma dal mio punto di vista si tratta di una tecnologia che dovrebbe affiancare - e non sostituire - la pellicola, almeno per quanto riguarda il bianco e nero.

Fabio Nosotti è sul Web all'indirizzo www.myspace.com/fabio58