Milano Illuminista ©Marco Introini 2017 od78

In una giornata tipica dell’inverno milanese, con il cielo color marmo contro cui si stagliano le nuove opere architettoniche dell'area City Life, camminiamo vero casa. Ti piace il nuovo volto di Milano con tutta questa architettura che si mischia alle costruzioni storiche? gli chiedo. “Si, molto. Mi piace la fusione di tradizione e nuovo perché da un vigore diverso alla città, una sorta di rinnovamento del quale c’era davvero bisogno.” mi risponde. Condivido a pieno questo sentimento verso la nostra città, facendo finta di ignorare per un attimo gli eterni disagi che il rinnovamento urbanistico comporta per chi ci vive, uno stravolgimento dei tempi e dei modi che, ormai, va avanti per un motivo o per l’altro sin dai tempi dei mondiali di calcio di Italia 90.

Marco Introini è un fotografo professionista di paesaggio e di architettura, oltre che docente di Fotografia dell’ Architettura e Tecnica della Rappresentazione di Architettura presso il Politecnico di Milano. È stato inserito tra i venti fotografi di architettura protagonisti degli ultimi dieci anni, intervistato da Letizia Gagliardi per il libro La Misura dello Spazio; nel suo passato c’è proprio questa professione che, tuttavia, ha lasciato presto dal punto di vista prettamente tecnico. “Non mi piaceva più fare l’architetto come viene inteso oggi. Ai tempi di mio padre, anche lui architetto, il lavoro era diverso mentre oggi è spesso ripetitivo e sterile nella maggior parte dei casi. È ovvio che non si possa diventare tutti Lloyd Wright, Mies van der Rohe o Alvar Aalto ma un conto è laurearsi e poi cercare di mettere in pratica la propria creatività un altro è trovarsi a fare lavori banali e ristrutturazioni a prezzi fissi.” Come dargli torto: è la sintesi dei mille racconti che si sentono dai suoi colleghi ogni volta che hanno l’occasione di parlarne.

osservatoriodigitale: Quindi vale ancora la pena di laurearsi in architettura?
Marco Introini: Certo, direi assolutamente. Soprattutto se vuoi fare il fotografo! Scherzi a parte è sicuramente cambiata la professione, come tante al giorno d'oggi, ma l'insegnamento e la formazione di quel corso di laurea è, a dir poco, strepitosa. La profonda conoscenza dello spazio e della forma che offre questo tipo di percorso formativo credo sia esclusivo, qualcosa che non puoi trovare altrove.

od: Allora parlaci dell'origine del tuo lavoro, da architetto a fotografo
MI: Le due professioni sono strettamente collegate. Appena laureato ho cercato di seguire le orme familiari ma senza mai interrompere davvero il rapporto che avevo con l'università (il Politecnico di Milano, ndr). Ho capito quasi subito che la professione di architetto, nel senso più pieno del termine, non avrebbe fatto al caso mio poiché ero più indirizzato verso altri aspetti, diversi dal mondo della progettazione e dell'architettura civile o industriale che dir si voglia. La fotografia che è sempre stata una mia passione mi ha aiutato spesso nel realizzare lavori e progetti di ricerca con la sua dote primaria che è quella di documentare e aiutare a ricordare. Credo che ci sia uno strettissimo rapporto tra le due discipline, architettura e fotografia, che richiede una buona dote di preparazione e di concentrazione quando è necessario portare a termine un progetto servendosi della combinazione delle due.

Milano Illuminista ©Marco Introini 2017 od78

Devo fare una premessa a proposito del disegno, materia che ho insegnato all'università: ancora oggi quando mi preparo ad affrontare un lavoro mi piace disegnare la scena che mi troverò davanti quando sarà il momento di fotografarla; amo studiare i particolari e riflettere sugli spazi e come li affronterò quando sarò sul posto. È una consuetudine che ho mantenuto proprio da quando ero studente perché attraverso il disegno sono sempre riuscito a focalizzare con precisione quello che volevo ottenere. Quindi è ancora così oggi e tutti i miei progetti fotografici vengono preceduti da una serie di schizzi e disegni come fossero una sorta di promemoria, di raccolta di idee. Mi piace moltissimo vedere i disegni fatti con l'inchiostro di china trasformarsi in fotografie.

od: Vedo che fai un uso esclusivo del bianco e nero.
MI: Sì è vero ma è una conseguenza di quanto ci siamo detti finora, perché la fotografia la vedo come una naturale evoluzione del disegno su carta. Tornando alle origini della mia professione di fotografo devo ricordare che ho sempre utilizzato le immagini fotografiche per realizzare i miei progetti durante gli studi. Ho iniziato facendo qualche foto sugli argini del Po, nelle vicinanze di Cremona, tra la città e Casalmaggiore, partecipando a un concorso nell'ormai lontano 1999. Quel concorso lo vinsi e fu l'occasione che mi fece conoscere alcuni fotografi famosi, tra i quali Gabriele Basilico. Allora scattavo con una Nikon ed ero contento ma fu proprio Basilico che mi suggerì di tornare di nuovo in quei posti e scattare in un formato più grande. Colsi l'occasione di una mostra a Busto Arsizio e, con una Silvestri, tornai a scattare con l'intenzione di stampare in grande formato le immagini realizzate. Vedere le proprie fotografie stampate in dimensioni così ampie da un'emozione sempre forte e intensa. Da allora non ho più smesso di farlo. Poi accadde qualcosa di straordinario. Scattai una serie di immagini nelle Langhe per un concorso locale dove arrivai terzo ma quel risultato mi valse la pubblicazione di un libro, che ho realizzato insieme a Rosalia Filippetti, Pietre di Langa, nel 2003 per l'editore Gribaudo.

Quello fu il periodo in cui decisi di abbandonare l'architettura come professione pura. Nell'ambiente universitario, grazie anche all'attività di insegnamento del disegno sono entrato in contatto con persone di tutto il mondo e con l'attività di ricerca, aspetto che insieme alla storia dell'architettura mi ha sempre affascinato moltissimo.

Milano Illuminista ©Marco Introini 2017 od78

od: Così l'architetto si è trasformato in un fotografo che ha pubblicato molti libri...
MI: In pratica sì ma è stata tutta una conseguenza di fatti e accadimenti, come capita nella vita. Dopo l'esperienza con Gribaudo ho cominciato a essere pubblicato qui e là come, nel 2006, all’interno del catalogo del Padiglione Italiano della X Biennale di Architettura curato da Franco Purini. Come dicevo prima mi piace molto la storia dell'architettura e appena posso colgo l'occasione per buttarmici a capofitto. Tra il 2014 e il 2016 ho curato un grande lavoro di documentazione per il Ministero dei Beni ambientali e culturali (MIBAC) e la Regione Lombardia, per la catalogazione degli edifici storici realizzati dal dopoguerra a oggi, coinvolgendomi a livello ricerca e fotografia: non potevo certo dire di no avendo davanti a me la possibilità di visionare e studiare circa 400 edifici di grandissimo interesse; infatti l'architettura del dopoguerra ha creato opere magnifiche anche grazie al fatto che non fosse soggetta a nessun tipo di vincolo, quindi gli artefici di questi progetti hanno dato sfogo alla creatività cercando di sensibilizzare l'opinione pubblica sul ritorno della "bellezza" anche in architettura, in contrapposizione allo stile rigido proposto nel ventennio fascista.

od: ...e vinto molti premi come il prestigioso RedDot Award proprio nel 2016.
MI: Sì e mi ha fatto davvero molto piacere perché è arrivato in seguito a un lavoro bellissimo, lo dico dal punto di vista della ricerca e del lavoro svolto, fatto in India e che si è trasformato prima in una mostra alla XXI Triennale poi in un libro, pubblicato da Silvana Editoriale, realizzato con Maddalena D'Alfonso: Warm Modernity, sulla nuova architettura moderna in India*.
Quell'area geografica mi piace molto e già in passato, nel 2012 e sempre in collaborazione con la Fondazione Politecnico di Milano, ho avuto modo di realizzare un progetto fotografico che si è tramutato in un libro sulla città murata di Multan, in Pakistan, a ridosso della regione del Punjab in India. La città, ricca di monumenti sacri è ormai quasi disabitata ma resta meta di moltissimi pellegrinaggi proprio per la grande sacralità di cui è pervasa. Ricordo le ore trascorse a studiare le mappe antiche della zona e gli innumerevoli schizzi e disegni che avevo realizzato e che mi hanno aiutato al momento di scattare, trovando sempre la prospettiva migliore.

L.A. River ©Marco Introini 2017 od78

od: Progetti per il futuro?
MI: Come sempre, e per fortuna, moltissimi. Due in particolare: uno sulla Milano illuminista e l'altro sul Los Angeles River.
Per quanto riguarda Milano si parte dal trattato di Raastadt del 1714 che stabili il passaggio del ducato di Milano dagli spagnoli agli austriaci: la città subisce un grande rinnovamento urbano regolato dalle teorie illuministe nella volontà di farla diventare un caposaldo del pensiero; per un lungo periodo che arriva ai piani napoleonici, Milano e stata ridisegnata attraverso progetti urbanistici ed architettonici. Anche se parte di questi progetti non sono stati realizzati, la realizzazione di edifici pubblici, privati, di parchi, la risistemazione di alcune facciate di monumenti precedenti, delle mura con la costruzione delle porte e dei caselli, e la parziale realizzazione del piano dei rettifili hanno dato alla città una forte identità e rappresentatività del pensiero illuminista, diventando anche testimonianza della coincidenza tra pensiero e opera.
Il progetto fotografico nasce con la volontà di rappresentare questo momento storico, questa coincidenza tra pensiero e opera, per riportare alla memoria un processo di costruzione civile ed è già stato selezionato dal Fondo Malerba per la Fotografia.

Mentre per quanto riguarda il Los Angeles River, magari senza saperlo, l'abbiamo visto in moltissimi film come Grease, Terminator, In time e in innumerevoli video musicali ma sembra che nessuno sappia bene che cosa sia. Si presenta come un canale di 70 chilometri che partendo dalla Fernando Valley corre in direzione ovest-est a ridosso del versante Nord delle Santa Monica Mountains per poi alla estremità est di queste, in prossimità dell'Elyas Park piegare verso sud ed entrare nella piana di Los Angeles proseguendo in questa direzione per circa 40 chilometri per sfociare nell'Oceano Pacifico a Long Beach.

L.A. River ©Marco Introini 2017 od78

Canale artificiale in cemento largo per la maggior parte del suo percorso 300 metri, taglio netto nel paesaggio urbano, è il risultato di continui interventi di regimentazione e ritracciamento dell'originale corso d’acqua; interventi che si sono susseguiti dalla fondazione del primo nucleo El Pueblo de Nuestra Señora la Reina de los Ángeles de Porciúncula da parte di una piccola comunità settlers alla fine del XVIII secolo fino all'apice della sua cementificazione negli anni 30, per ridurre i danni delle inondazioni provocate alle aree coltivate prima e poi alle aree urbanizzate. Una lenta costruzione partita da semplici paratie in sabbia e legno è diventata il tracciato attuale lungo il quale si snoda il sistema ferroviario e autostradale rendendo ancora più difficile il suo rapporto con la città. Ora, la crescita urbana e demografica, il conseguente aumento di consumo di acqua e la diminuzione delle precipitazioni ha portato a un ripensamento della funzione urbana e sociale del fiume. Il fenomeno di crescita spontanea della vegetazione in alcuni tratti del letto del canale, rivitalizzato da parte di specie animali date per scomparse, e sotto la spinta di una maggiore coscienza del ruolo sociale dell'ecologia urbana ha generato la volontà ri-naturalizzazione del fiume coinvolgendo non solo il letto ma anche le sponde, i limitrofi bacini di laminazione e le parti dismesse della ferrovia in modo da ricucire il rapporto tra il fiume e la città. L' iconografia cinematografica lo ha sempre descritto con una visione dal basso dove il rapporto visivo con la città non viene descritto per privilegiare il suo aspetto estraniante; pochissime volte è stato restituito un punto di vista alto, è solo in prossimità di alcuni ponti storici costruiti negli anni venti e trenta. Il progetto fotografico invece vuole descrivere la realtà del corso del fiume in rapporto con le aree infrastrutturali, industriali e residenziali, alternando visoni dagli argini, dal suo letto, con campi e controcampi.

od: Per chiudere, due parole su come si è evoluto il tuo kit fotografico.
MI: Dopo la breve parentesi iniziale con la reflex sono passato subito al medio formato con una Silvestri. Poi ho deciso di fare un grande balzo in avanti, per necessità e per qualità, acquistando un corpo Alpa, che oltre all'altissimo livello costruttivo della macchina stessa mi offre la possibilità di lavorare ovunque come se avessi un vero e proprio banco ottico a disposizione, A questa ho abbinato un dorso digitale Hasselblad cfv50 da 50 megapixel: trovo sia una combinazione ideale per i miei lavori.

L.A. River ©Marco Introini 2017 od78

Marco Introini trova anche il tempo di tenere workshop e master presso la Fondazione Fotografia di Modena: parlando del rapporto tra architettura e fotografia dice sempre che "l'Architettura nasce per essere vissuta mentre la Fotografia per immortalare un evento irripetibile: il connubio è ottimale."

*Del lavoro in India è stato detto che "la visione artistica di Introini rende possibile la comprensione di un nuovo codice nell'architettura e nel design del panorama urbano. La nuova tipologia di architettura tropicale è stata sviluppata affinché riuscisse a fondere la modernità con la rigogliosa e lussureggiante natura dell'ambiente circostante, così da mitigare anche il rigore di un clima inospitale ma, al tempo stesso, favorire l'insorgere di nuovi mezzi di partecipazione e cooperazione tra la popolazione locale."

Tutte le immagini nel'articolo, così come la copertina di questo numero, sono relative ai progetti Milano Illuminista e L.A. River e sono ©Marco Introini. Maggiori informazioni e altre immagini relative al suo lavoro si possono trovare sul suo sito, dove potrete trovare anche tutte le immagini relative ai lavori e alle pubblicazioni realizzate in passato.

Data di pubblicazione: aprile 2017
© riproduzione riservata

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