Editoriale

Ottobre - Dicembre 2021, Anno XV, N. 111

Ezio Rotamartir

Torna l'autunno e, con le foglie che cadono, arrivano di nuovo festival e mostre fotografiche in presenza! Ma qual è lo stato dell'arte di questa tendenza, che cosa accade veramente dopo tutto questo periodo di lunga assenza?

Accade che dopo un po' di tempo che si digiuna venga una discreta voglia di mangiare ma può anche succedere che questa voglia si esaurisca in men che non si dica, aggravata da un senso di nausea dovuto (forse) alla disabitudine al nutrimento. O alla cattiva qualità dello stesso.
Spesso nel mondo della fotografia sembra che la seconda ipotesi sia quella più valida.
Abbiamo passato tanto tempo senza poter accedere a una mostra decente e, ora che tutto sta tornando pian piano alla normalità, ecco un'inondazione di proposte per arrivare alle mostre mercato dove agenzie e gallerie propongono i loro nuovi "artisti".
Sì, personalmente, credo che da quando la fotografia sia stata accreditata ed elevata al rango di “arte” qualcosa di deleterio sia accaduto: come sappiamo bene dalla pittura, arte per eccellenza, tutto e il contrario di tutto può essere considerato tale. Allo stesso modo oggi possiamo vedere delle immonde porcherie – ma mi raccomando guardate bene perché stampate in fine art su carta baritata e lavorata a mano – che fanno "bella" mostra di sé in cornici preziose parcheggiate strategicamente nei vari stand delle fiere di settore.
Un sentito complimento va di sicuro agli organizzatori dello ormai strabollito MIA, ora locato ai bordi della città, in prossimità di uno svincolo autostradale dei più grandi ma circondato da una zona residenziale in cui, trovare parcheggio, è quanto di più difficile ci possa essere sul pianeta. Ma a chi interessa, tanto c'è la metropolitana vicina e la zona è coperta da parecchi mezzi pubblici... Peccato per chi arriva da fuori, proprio utilizzando l'auto: scelte intelligenti, sempre più furbe, da parte di chi queste meravigliose "occasioni d'incontro" le organizza.

Ma cerchiamo di essere positivi e buoni perché tra poco è Natale.
Chi ha bisogno davvero di tanta “arte”? Forse pochi facoltosi signori che hanno fondi a disposizione e cercano qualcosa di nuovo da appendere alle pareti di casa o dell’ufficio, qualcosa da mettere lì come riempitivo e che, una volta trovata la sistemazione, mai più nessuno guarderà?

Mi capita molto spesso di frequentare luoghi in cui l’arte viene sbandierata e sbattuta in faccia a chi si trova al suo cospetto: trovo che non abbia mai visto tanta oscenità (nel senso di bruttura) come negli ultimi anni. Prima c’era tra i collezionisti una sorta di pudore (e di rigore ideologico) che li portava a mostrare i loro pezzi pregiati con grande parsimonia e umiltà. Ho visto in una casa veneziana un Tintoretto e un Rembrandt messi lì in una piccola stanza dove il proprietario soleva ritirarsi per avere un po’ di tranquillità. Opere d’arte che ti aprono il cuore oltre alla mente ma non c’è bisogno di arrivare a tanto. Ho visto anche degli Hopper o delle stampe di Man Ray così come delle foto di Cartier-Bresson o di Berengo Gardin fare bella mostra di sé in case di varie dimensioni a Milano, Como, Pavia o Roma.

Oggigiorno, invece, anche un Teomondo Scrofalo qualunque viene mostrato come se fosse un’opera di Giotto. Fotografie scadenti, insignificanti, addirittura proprio brutte mostrate e vendute come se fossero pezzi di valore inestimabile. Forse è ora di svegliarsi da questo brutto sogno: da quando, ripeto, la fotografia è diventata davvero una res popolare, il suo livello si è abbassato in modo drastico e con essa tutto ciò che la circonda, tutta la filiera per dirla come si usa adesso.

Mercanti maleducati e supponenti, fotografi che fino a ieri frequentavano luoghi di vita molto distanti dal dipingere con la luce e, per finire, una pletora di potenziali acquirenti dotati di un grande bagaglio di ignoranza culturale e valutativa.
Svegliamoci.

Ho visto immagini scattate con le fotocamere più esclusive nei luoghi più remoti della terra: talvolta mere testimonianze di una presenza, della sola fortuna di potersi trovare in quel luogo precluso ai più, una piatta testimonianza di un luogo o di un gruppo di persone senza il minimo spessore. Ma dove sono i nuovi Salgado, i Berengo Gardin, i Basilico o i nuovi (volendo abbassare di molto il livello) McCurry?

Di questo passo ci si spiega con facilità perché si vedono sempre più case (poverette) che mostrano alle pareti grandi fotografie anonime stampate in grande formato e vendute al bazar dell’Ikea.

Credo che il primo passo lo si debba fare sempre da soli, nel proprio intimo, studiando ed esercitandosi, leggendo e provando: non lo si fa per stupire gli amici che vengono a casa ma per imparare davvero, per capire a fondo che cosa significhi fotografare, apprendere dagli altri, quelli bravi davvero, che cosa significhi fermare il tempo in uno scatto.
La storia è sempre questa e si ripete. Solo così si potranno affrontare con la giusta attenzione le “opere d’arte” che ci troviamo davanti alle mostre.
Capaci finalmente di distinguere la pula dal riso.

Buona lettura e tanti auguri.
Arrivederci al prossimo numero di osservatoriodigitale.


Ezio Rotamartir