Intro Osservatrice RomanaMi sono spesso chiesta se esistesse uno sguardo maschile e uno femminile dietro ad una macchina fotografica, e la mostra "Donna: avanguardia femminista negli anni '70 - dalla Sammlung Verbund di Vienna", da poco conclusasi qui a Roma alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna, è sicuramente stata un'ulteriore occasione per riflettere su questo punto. L'esposizione, nel suo genere, si è rivelata un'esperienza unica per visionare le istanze femministe nella fotografia degli anni Settanta: ben diciassette erano le artiste presentate e legate, a vario titolo, al movimento femminista di quegli anni: da nomi noti, come Francesca Woodman, Valie Export e Hannah Wilke, a fotografe come Cindy Sherman (di cui erano esposte le primissime opere datate 1975 e 1976 e poco note al grande pubblico) e Renate Bertlmann della quale, oltre alle straordinarie fotografie, erano presenti anche collage e disegni con matite colorate.

"Femminismo: il movimento politico che ha rivendicato e rivendica pari diritti e dignità tra donne e uomini e che - in vari modi - si interessa alla comprensione delle dinamiche di oppressione di genere": così si legge su Wikipedia, ma ovviamente è solo il punto di partenza (e non è nemmeno l'unico) per accostarsi a un percorso ideologico molto controverso. Tra l'altro lo stesso Wikipedia è stato recentemente oggetto di critiche riguardo alla definizione di Femminismo, a ulteriore dimostrazione della complessità del tema. Questo per chiarire fin da subito che penetrare il Femminismo come movimento ideologico e culturale significa addentrarsi in un sentiero tortuoso e ancor oggi non completamente esplicitato - e forse in parte ancora inesplorato- tanto è vero che alcune studiose e le stesse teoriche o militanti femministe parlano di "femminismi".

Ingresso della mostra a RomaIl pregio della raccolta è stato senza dubbio quello di cominciare a delineare una sorta di guida, un tentativo, secondo le stesse parole della curatrice della mostra Gabriele Schor, di "rinnovare e ampliare discorsivamente le coordinate storiche del movimento, rendendo visibile il lavoro di artiste ancora poco conosciute".

Le fotografe presenti in mostra non sono accomunate dallo stesso stile (a dimostrazione che il Femminismo non è inquadrabile in alcuni stilemi precisi, come potrebbero esserlo il Cubismo o il Dadaismo o il Surrealismo), né sono accomunate dal fatto di aver lavorato tutte negli stessi luoghi e molte di loro non si sono mai nemmeno conosciute personalmente. Come spiega la stessa Schor, "quello che unisce queste artiste è una coscienza collettiva, e una delle conquiste più importanti dell'avanguardia femminista fu quella di decostruire, attraverso questa consapevolezza collettiva che le univa, l'immagine della donna. Un'immagine che nei secoli era stata investita di proiezioni, stereotipi, nostalgia e desideri maschili, in parte anche grazie agli artisti. L'avanguardia femminista riuscì a dissolvere questo rapporto a senso unico tra soggetto e oggetto in una molteplicità di identità e di costruzioni identitarie. Queste donne riuscirono a dare un significato del tutto inatteso alle parole di Nietzsche sul rovesciamento dei valori: si misero in cammino invece di farsi belle".

L'autriceTale analisi balza subito agli occhi anche per chi, come la sottoscritta, di Femminismo e di Avanguardia Femminista ne sa poco e nulla, un po' perché per motivi anagrafici non ho vissuto in prima persona quegli anni, un po' perché, a parte le elementari informazioni imparate sbocconcellando qua e là fra alcuni testi sia di sociologia che di letteratura (penso soprattutto a "Il secondo sesso" di Simone de Beauvoire), non ha mai approfondito questo movimento. In effetti tutte le fotografie esposte avevano una matrice comune: l'uso del corpo della donna non come oggetto fotografato, bensì come soggetto. Sono tutti autoritratti scattati dalle stesse fotografe finalmente padrone del proprio corpo, un corpo bello ma non imbellettato, un corpo appartenente di diritto a chi ha creato l'opera d'arte stessa (in questo caso la fotografia), il corpo di persone in cammino con le proprie gambe, appunto. Donne che sfiorano la poesia, come nel caso delle fotografie della Woodman; donne arrabbiate, che esasperano e quasi "violentano" il proprio corpo per urlare la sofferenza dell'abuso sessuale subito da altre donne come loro (penso al lavoro di Valie Export che nella performance "Aktionshse: Genitalpanik", si recò in un cinema porno di Monaco di Baviera con pantaloni tagliati all'altezza del pube e con in mano una pistola puntata contro gli spettatori che finirono con l'uscire silenziosamente dalla sala e la cui foto è una chiara documentazione di voluta provocazione per denunciare una delle violenze peggiori che una donna possa subire: lo stupro, appunto); donne che hanno compreso che i tratti facciali sono più sensibili agli specchi interiori che a quelli reali, esterni e che l'autocontrollo dipende dal proprio specchio interiore, che l'identità è una questione, prima che di genere, di padronanza di sé, come risalta dagli scatti di Jayne Wark; donne che focalizzano fortemente e volutamente l'attenzione esclusivamente sull'espressione del volto e sull'aspetto della singola persona usando da sfondo la neutralità di un muro bianco, come risalta in tutti gli autoritratti della Sherman, forse la più "attoriale" fra le fotografe in mostra. Infine donne che, pur essendo femministe, non hanno dimenticato di essere anche solo e "semplicemente" donne, come Hannah Wilke, la cui tendenza ad esibire il proprio bel corpo è sempre stata fortemente criticata dall'ambiente femminista ma che forse rappresenta il trait d'union fra l'ideologia femminista e il post-femminismo. Un'artista, la Wilke, comunque indubbiamente di carattere, tanto che, pur rimanendo nell'arena femminista, nel 1977 reagì a queste critiche con un lavoro aggressivo a sua volta, creando la leggendaria stampa offset "Marxism and Art. Beware of Fascist Feminism": il busto nudo (più volte esibito dall'artista-fotografa) da cui penzola una cravatta che allude, ridicolizzandola, all'arroganza fallica ma che, nel titolo, è anche una forte critica a certi estremismi femministi.

Fotografia Marxismo e ArteLa collettiva è stata una possibilità di approfondimento culturale per chiunque non abbia potuto vivere in prima persona il movimento femminista e anche per chi quel periodo l'ha vissuto, ma più di ogni altra cosa gli scatti esposti hanno dimostrato ancora una volta la forza del mezzo fotografico perché attraverso le foto di queste artiste trapela tutta la forza dirompente dell'ideologia e quindi si può dire che in effetti, sì, esiste uno sguardo femminista nella fotografia; ciò che invece non esiste forse, o comunque non esiste secondo me, è uno sguardo femminile e maschile nella fotografia: non credo ci sia una netta divisione di genere in uno scatto, per quanto possa esserci una differenziazione di stile; esiste invece uno sguardo femminista, nel senso che esiste, o quantomeno è esisitito, uno sguardo ideologico femminista ed è stato uno sguardo, non a caso, tutto femminile.