Silvia Camporesi | Osservatorio DigitaleÈ sicuramente l’artista del momento e altrettanto sicuramente lo è meritatamente. Sto parlando di Silvia Camporesi, che definire fotografa non è esaustivo, nel senso che è una fotografa perché si serve della fotografia per produrre le sue opere artistiche, oltre che per documentare, ma è prima di tutto un’artista e crea arte – anche – fotografando.

Di mestiere io non faccio la critica, men che meno la critica  d’arte e quindi in questo mio pezzo non ho la presunzione di scrivere una recensione; mi limiterò a parlarvi di un tiepido pomeriggio di primavera trascorso in una elegante galleria nel cuore di Roma ad ascoltare la presentazione di un bellissimo catalogo d’arte fotografica “raccontato” dall’artista in prima persona.

La Galleria era la Galleria del Cembalo, che fino al 9 aprile ospita la personale “Atlas Italiae” di Silvia Camporesi e che nei giorni scorsi ha organizzato un incontro con l’artista per presentare questo suo ultimo lavoro.

Silvia Camporesi | Atlas Italiae | Osservatorio Digitale

L’esposizione è costituita da una selezione di immagini che fanno parte di una raccolta molto più ampia ed è suddivisa tra stampe di grande formato a colori e stampe più piccole, nate in bianco e nero e colorate a mano con un procedimento attraverso il quale Silvia

Camporesi cerca, come dice lei stessa, di restituire simbolicamente ai luoghi l’identità perduta.

La mostra è reduce da un grande successo anche di pubblico: tra l’altro era stata ospitata, nell’aprile dello scorso anno, all’Abbaye de Neumunster, in Lussemburgo, e Silvia Camporesi in quell’occasione fu una delle figure centrali del Mese Europeo della Fotografia. La cornice romana in cui è stato esposto il lavoro è di per sé molto suggestiva e mi è parso che, per contrasto, le fotografie risaltassero ancora di più.

Personalmente però, oltre che per vedere le foto, ero lì soprattutto per assistere alla presentazione del volume legato alla mostra; e questo perché credo molto al valore dei cataloghi: le personali si smantellano, le fotografie prendono strade autonome facendo – nel migliore dei casi – bella mostra di sé nei musei o sulle pareti delle case dei collezionisti, ma i libri rimangono, a testimonianza di quello che è stato il lavoro dell’autore in quel determinato momento.

Credo quindi nell’importanza dei cataloghi e mi piace anche collezionarli, soprattutto quando sono artisticamente ben curati e editorialmente ben confezionati, come è il caso di questo volume dalla copertina in tela azzurra con al centro la stilizzazione dello stivale Italia, evanescente come evanescenti sono i luoghi fotografati dall’autrice.

Silvia Camporesi | Atlas Italiae | Osservatorio Digitale

Il lavoro – durato due anni – è nato da un articolo con una foto che ritraeva Fabbriche di Careggine, paese fantasma perché abbandonato nel 1947 e poi sommerso dalle acque del lago artificiale di Vagli che si è formato dopo la costruzione di una diga idroelettrica. Nel corso dei decenni, il lago è stato prosciugato per lavori di manutenzione della diga stessa e il borgo è riemerso.La Camporesi tempo fa lesse di questo luogo abbandonato, che sembrava un paese di cartone, e da lì è maturata l’idea di fotografare i luoghi abbandonati d’Italia.

È un progetto che in un primo momento è nato come un intento poetico, poi, per forza di cose, è diventato anche un lavoro documentario, ma questo aspetto è quello che emoziona meno, ed è evidente che c’è molto altro e molto di più.
I temi del tempo e dell’attesa sono i fili conduttori della mostra ma anche del libro. Quelli fotografati dalla Camporesi sono luoghi che stanno lì ad attendere (anche solo una ruspa che spiani tutto, ma comunque stanno ad aspettare). E si ha la sensazione di un’attesa infinita.

Nel corso della presentazione, ad un certo punto è venuto fuori che il lavoro dell’artista è stato come “un abbandonarsi al senso del vedere senza dover giustificare quest’atto del vedere”.

Ammetto che si tratta di un’espressione molto poetica e quindi lì per lì ho avuto la tentazione di abbracciare quest’idea, ma poi, siccome non sono una critica d’arte, certo, ma sono una fotografa, non sono riuscita a fare mio questo giudizio. Non ci sono riuscita perché, da fotografa, so che è impossibile abbandonarsi al senso del vedere senza giustificare l’atto del vedere: quando scatti, almeno a te stesso giustifichi ciò che stai scattando, fosse pure un banalissimo selfie; quello che voglio dire è che, per un fotografo, non è proprio possibile non giustificare ciò che ha (o ciò che toglie) in un’inquadratura; è come se uno dicesse che esiste il non pensare a niente: è impossibile non pensare a nulla e allo stesso modo è impossibile non “giustificare” quello che si sta fotografando.

Ciò che invece appare lampante è il desiderio di sottrarre il tempo e lo spazio da una foto. Desiderio che l’artista realizza magistralmente.

Silvia Camporesi | Atlas Italiae | Osservatorio Digitale

Un altro elemento che mi ha colpito è questa idea del viaggio: Silvia Camporesi infatti, ha compiuto un cammino non solo nella fragilità dei luoghi (che a me suggerisce una metafora della fragilità dell’esistenza umana), ma anche una sorta di tour dei paesi o dei luoghi fantasmi d’Italia, un viaggio, come dice lei stessa “di tantissime visioni e di tante cose incredibili”. Una sorta di passeggiata nell’abbandono, senza però sentire il peso della decadenza ma, se mai, la leggerezza del sogno.

Dire che le sue foto sono molto belle è riduttivo, come lo è dirlo del catalogo. Il suo lavoro, a me personalmente, è andato a scuotere sentimenti che erano sopiti nell’intimo, risvegliandoli: il senso della fragilità dell’esistenza, il senso dell’abbandono e – soprattutto – dell’inquietudine legata alla paura dell’abbandono, il senso del significato del nostro stare al mondo e l’importanza – ma anche la vacuità – del lasciare una traccia di noi.

Probabilmente ad altri questo lavoro susciterà sensazioni diverse dalle mie, ma è irrilevante cosa evochi in ognuno di noi, perché la cosa importante è che la visione di queste fotografie non lascia nessuno indifferente, di questo sono certa ed è questo ciò che conta.

Siccome, come ho a più riprese ricordato, non sono una critica d’arte,  quando, tornando a casa, ho casualmente incontrato Achille Bonito Oliva, non ho potuto non domandargli se conoscesse i lavori della Camporesi e cosa ne pensasse.

Sorseggiando il suo aperitivo Bonito Oliva mi ha detto che “Silvia Camporesi è un’artista interessante perché non lavora da ferma, è una ricercatrice”.

Ecco quindi che ritorna un po’ il concetto del viaggio: la Camporesi con le sue fotografie ti prende per mano e ti conduce in un viaggio verso un mondo onirico e reale al tempo stesso.

Atlas Italiae, di Silvia Camporesi, Roma, Peliti Associati editore è acquistabile anche sul sito dell’artista:  www.silviacamporesi.it

 

Data di pubblicazione: aprile 2016
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