La fotografia in CinaPer uno di quegli strani misteri del webmondo, qualche tempo fa ricevetti un’e-mail con l’invito alla presentazione di una mostra. L’invito era in francese, così come il titolo della mostra: Du grain au pixel, une histoire de la photographie chinoise (“Dal grano al pixel, una storia della fotografia cinese”). Sembrava molto interessante ma poi, scorrendo la mail, mi accorsi che l’esposizione si teneva a Shanghai… insomma, non esattamente dietro l’angolo. A malincuore cestinai l’invito; però la curiosità sulla fotografia cinese rimase anche perché, lo ammetto senza problemi e con la più assoluta sincerità, sulla storia della fotografia in Cina non ero assolutamente preparata, ossia non sapevo praticamente nulla.

Neanche a farlo apposta questo mese per la rubrica Abc degli Autori avrei dovuto occuparmi di una delle ultime lettere dell’alfabeto, la “X”; cercando fotografi il cui nome iniziasse appunto per “X”mi sono imbattuta in una coppia di fotografi cinesi, marito e moglie. Ovvio allora che la lacuna sulla storia della fotografia in Cina andava colmata, me lo imponeva il destino.

In Cina la storia della fotografia si sviluppa immediatamente dopo la nascita della fotografia stessa, ossia nel 1838. All’epoca Macao, con il suo trafficatissimo porto, accoglieva numerosi fotografi europei e intorno al 1850 molti di essi ebbero l’idea di unirsi per creare diversi studi fotografici nelle città lungo la costa. Negli anni successivi, però, questi stessi fotografi incontrarono vari ostacoli, sia con i loro assistenti cinesi che con la preponderante concorrenza locale. Inoltre, i forti pregiudizi nei confronti delle fotocamere e degli stranieri facevano sì che i fotografi raramente si avventurassero al di fuori delle città portuali e di conseguenza le loro immagini raffiguravano esclusivamente la popolazione e i paesaggi di luoghi singoli e non certo la Cina imperiale nel suo complesso.

Molto probabilmente i primi fotografi in assoluto furono dei viaggiatori che però praticavano la fotografia da dilettanti e non certo come professionisti (e tra l’altro le foto scattate da questi fotografi improvvisati non sono mai giunte fino a noi). Il primo annuncio che pubblicizzava l’attività di un dagherrotipista itinerante lo si trova su un giornale di Hong Kong del marzo 1845 e il fotografo in questione era un certo Mr. West. A Pechino il primo studio fotografico venne invece aperto nel 1892 dal cinese Fengtai.

Verso la fine dell’Ottocento, la maggior parte delle città più importanti della Cina possedeva degli studi fotografici in cui la classe media cinese si recava per farsi fotografare, soprattutto nelle occasioni che vedevano riunita la famiglia al completo. Sembra però che già all’epoca la vita dei fotografi non fosse così semplice, perché la concorrenza aveva fin da allora un peso non indifferente nella riuscita degli affari: fotografi cinesi e fotografi occidentali rivaleggiavano in ingegnosità facendo a gara nell’immortalare personaggi famosi, paesaggi rurali caratteristici o nell’offrire scatti legati ai numerosi conflitti che scoppiavano nel Paese. In quel periodo la società cinese annoverava diversi benestanti che potevano permettersi di spendere soldi nel farsi immortalare in foto ricordo e la fotografia divenne uno dei passatempi preferiti delle classi medio-alte. La stessa onorabile Cixi, l’imperatrice vedova, chiedeva di essere ritratta diverse volte nell’arco dell’anno.

Agli inizi del Novecento, esattamente come nel resto del mondo, la fotografia cinese diventa un vero e proprio mezzo di divertimento e di intrattenimento, si diffonde sui quotidiani e sulle riviste e viene utilizzata sia per la propaganda politica sia come forma d’arte (infatti la fotografia d’arte comincia a muovere i primi passi proprio in questo periodo).

Il Dizionario della fotografia edito da Einaudi ci dice che “benché gli studi operanti prima del 1900 nelle città portuali aperte agli occidentali fossero senza dubbio centinaia, la loro identificazione da parte degli studiosi è solo agli inizi” e questo perché “alla storia della fotografia in Cina vengono dedicate ben poche ricerche rispetto ad altre culture simili, soprattutto per quanto riguarda il XIX secolo”.

Un grosso problema fu rappresentato dal fatto che il Paese, per buona parte del secolo scorso, venne attraversato da diversi rivolgimenti sociali (dalla rivolta dei Boxer del 1900 fino alla Rivoluzione culturale) e tali stravolgimenti furono causa di enormi perdite e distruzioni. Anche la stessa scarsità di fonti, come quotidiani o documenti commerciali, rende difficile definire e tracciare una cronologia precisa. A questo si aggiunge il fatto che erano pochissime le fotografie firmate e, quando lo erano, il più delle volte si trattava della sigla di chi aveva realizzato le copie dei negativi. Infine, i nomi cinesi erano spesso fuorvianti perché in genere si riferivano ad uno studio inteso come ditta commerciale e di solito venivano conservati anche quando l’attività cambiava proprietario.

Sappiamo comunque che nella seconda metà del XIX secolo videro la luce molti studi fotografici e fra questi sono da citare quello di Kung Tai, e quello di Sze Yuen Ming nella regione di Shanghai e ancora, quello di Pun Lun e di Afong nella città di Hong Kong.
Nella prima metà del secolo scorso invece, nell’immenso mare di nuovi fotografi cinesi attivi in varie zone del Paese, tre si distinsero particolarmente raggiungendo notevole popolarità: Liu Ban Nong (1891-1934), Zhang Yin Quan (1900-1971) e Ho Fan, nato nel 1937 e tuttora vivente.

Durante il cosiddetto secolo breve una vera e propria rivoluzione culturale segna il mondo della fotografia e la Cina non ne resta immune: nel decennio che va dal 1966 al 1976 il governo cinese comprende che le foto possono essere un potente strumento di propaganda grazie al fatto che ben si prestano ad essere manipolate fino a deformare qualunque realtà.

Dagli anni Ottanta del Novecento fino circa al 1993 ci fu una straordinaria espansione della fotografia documentaria e molti fotografi scelsero di lavorare per lo Stato (cosa che però implicava una rinuncia ai diritti d’autore sulle proprie opere).

Nel 1993 a Pechino si sviluppò l’East Village, che creò una sorta di linea di demarcazione fra il prima e il dopo; a partire dalla nascita di questa comunità di artisti d’avanguardia, che è ormai una vera e propria istituzione culturale nel Paese – conosciuta e guardata con interesse anche dal resto del mondo – la fotografia cinese si installa di diritto fra le arti concettuali e le performance artistiche.

L’anno successivo, nel 1994, Rong Rong dà vita a New Photo, la prima rivista d’arte concettuale fotografica cinese. Sono numerosi i fotografi cinesi che a partire dalla fine del secolo scorso si imporranno come artisti-fotografi, non solo in Cina ma anche in Occidente.
Il maggiore benessere delle città, il consumismo che ha allungato la sua ombra anche in molte zone rurali e un certo grado di pluralismo culturale del dopo Mao hanno inevitabilmente fatto da terreno fertile per una rinascita dell’arte fotografica cinese.

Così oggigiorno il mercato fotografico della Cina è guardato con sempre maggior interesse sia dagli appassionati che dagli investitori: Paris Photo, uno dei più prestigiosi saloni d’arte fotografica del mondo, la fiera che spesso vende fotografie che raggiungono anche le cifre di milioni di euro, lo scorso anno ha aperto le sue porte a dieci artisti cinesi censurati in Cina e l’interesse è stato ragguardevole, sia da parte della stampa che degli addetti ai lavori.

Un nome da tenere d’occhio? Sicuramente Ai Weiwei, leader della protesta cinese, attualmente agli arresti domiciliari ma le cui opere vengono diffuse e vendute in giro per il mondo.

Data di pubblicazione: novembre 2015
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