Vivian Maier | Osservatorio DigitaleSe aprite il Dizionario della Fotografia a cura di Robin Lenman per i tipi di Einaudi, nell’edizione del 2008, alla lettera “M”, Vivian Maier non la trovate citata nemmeno per sbaglio (e lo stesso vale per tutti gli altri dizionari di fotografia). Il 2008 è dietro l’angolo eppure, all’epoca, il mondo della fotografia ignorava ancora l’esistenza della Maier. La storia della scoperta di questa donna del mistero è ormai arcinota: nel 2007, uno sconosciuto di nome John Maloof comprò ad un’asta una scatola di negativi che il battitore aveva presentato come scatti su Chicago. Maloof all’epoca stava scrivendo un libro su un quartiere di Chicago e per questo pensò di acquistare quei negativi, cui però poi inizialmente non fu particolarmente interessato, tanto che la scatola finì in un armadio per circa due anni.

In seguito decise di sviluppare alcuni rullini e… gli si aprì un mondo: scoprì infatti un occhio, una singolarità, un’originalità, in una parola una bravura che destarono la sua curiosità. Questo almeno è quanto Maloof stesso ci dice in un documentario che lui realizzò alla fine di alcune indagini che nel frattempo aveva portato avanti su questa misteriosa fotografa che, seppur a scoppio ritardato, aveva finito con il destare il suo interesse.

Personalmente vidi il documentario in Francia, in quanto uscì nelle sale francesi nel luglio 2014; non so se sia mai uscito nelle sale italiane, ma so che Feltrinelli ne ha pubblicato un cofanetto con libro e DVD: Alla ricerca di Vivian Maier. La tata con la Rolleiflex. Nel documentario si viene portati per mano alla scoperta di Vivian Maier, passo a passo, come una sorta di indagine da film giallo. E in effetti la vita della Maier è degna di un polar, di quelli belli, affascinanti e anche un po’ vintage, tipo, che so… un’Agatha Christie o un Simenon d’annata.

Come lui stesso racconta, Maloof cominciò a cercar notizie sulla Maier nel modo più semplice ed immediato: scrivendo il suo nome nel motore di ricerca di Google; era convinto che fosse una fotografa o quanto meno una giornalista e invece l’unica informazione che trovò su di lei fu un necrologio che ne riportava il decesso (tra l’altro recente, perché la data della morte è il 21 aprile 2009 e quindi lei era ancora in vita nel momento in cui Maloof acquistò la prima scatola di negativi,; ma il destino in questa vicenda gioca un ruolo del tutto singolare).

Vivian Maier | Osservatorio DigitalePrese contatto con chi aveva fatto pubblicare il necrologio e scoprì così cosa facesse Vivian Maier nella vita: una babysitter. Infatti, a far pubblicare la notizia del decesso erano stati due ex-bambini di cui si era presa cura anni prima e che poi a loro volta si presero cura di lei quando divenne anziana e probabilmente anche molto indigente.

Ho detto che Maloof scopri “cosa” facesse la Maier e non ho detto che scopri “chi” fosse la Maier. Non l’ho detto per un semplice motivo: chi realmente fosse Vivian Maier non lo ha scoperto nemmeno dopo tutte le ricerche che ha portato avanti per due lunghi anni - e probabilmente nessuno di noi saprà mai chi fosse veramente Vivian Maier, di questo son convinta.

Maloof assunse persino un genealogista, un certo Michael Strauss che, almeno a mio parere, è stato utile per ciò che non ha rivelato più ancora che per quanto ha rivelato.

Mi spiego: ha saputo trovare notizie che indicavano che Vivian Maier era nata a New York il 2 febbraio 1926 da genitori europei (la madre era francese), che il padre “ha lasciato ben presto la scena” (sono le parole che lo stesso ricercatore ha usato, ma non ha saputo dire come e perché lasciò la scena), che la Maier aveva un fratello più grande, probabilmente deceduto (ma anche in questo caso non si sa quando e come). Insomma, le ricerche d’archivio hanno portato alla luce un quadro pieno di zone d’ombra e l’unica cosa certa è il fatto che tutta la famiglia Maier sembra essersi data molto da fare nel cercare di non farsi notare, di non lasciar tracce di sé. Quello che si sapeva era che c’era poco da sapere, ma il perché ci fosse poco da sapere non era dato saperlo.

La cosa che ho trovato più importante nella ricerca del dottor Strauss è che Vivian aveva una zia che non aveva avuto figli e nemmeno un marito e dunque era la parente più prossima in linea di successione; ma questa misteriosa zia lasciò scritto nel testamento “non faccio disposizione alcuna per nessuno dei miei parenti per ragioni che conosco e che ho rivelato ad alcuni amici intimi”. Quali fossero queste “ragioni” non si sa; comunque, quando questa zia Alma morì, nel 1965, Vivian era viva ed era la sua unica nipote, però non le venne lasciato nulla per espressa volontà della defunta. Qualunque fosse il problema, finì nella tomba insieme a lei. Ogni membro della famiglia sembra scollegato e tutti sembrano non voler aver a che fare nulla l’uno con l’altro. Non solo Vivian, ma proprio l’intera famiglia è avvolta nel mistero.

Il documentario prosegue con i racconti di coloro che l’hanno conosciuta: un’amica (pare avesse pochissimi amici) e i bambini di cui fu la tata. Il quadro che ne esce fuori è inquietante: almeno nella seconda parte della sua vita lavorativa sembra sia stata una bambinaia sullo stile della malvagia strega dell’Ovest (quella con la faccia tutta verde che cavalca la scopa nel Mago di Oz) più che una Mary Poppins. Stando alle testimonianze, maltrattava i bambini che accudiva (soprattutto se erano bambine) e pare anche che avesse problemi a relazionarsi con gli uomini adulti. Di sicuro non ebbe mai un fidanzato, men che meno un marito e nemmeno dei figli. Era una donna molto solitaria e molto riservata, maniacalmente riservata: guai a chi entrava nella sua stanza.
Con gli anni divenne anche una collezionista compulsiva, ma problemi di compulsività li ebbe anche prima perché il suo stesso fotografare era compulsivo: lo testimoniano le migliaia di rullini che ha lasciato dopo la sua morte. Devo ammetterlo, non sono particolarmente affascinata dalle sue fotografie: alcune sono belle, certo, e probabilmente potrebbe esser collocata fra i bravi fotografi del secolo scorso, però… però son d’accordo con chi sostiene che il mistero che circonda la sua vita (anzi, io direi la sua personalità) è più affascinante delle sue fotografie.

Inoltre, inizialmente la faccenda del suo lavoro fotografico miracolosamente trovato e salvato dal macero aveva anch’essa un fascino: artista incompresa e sconosciuta il cui lavoro viene miracolosamente trovato e salvato grazie al Destino, quello con la “D” maiuscola; un Fato che attraverso un giovane rigattiere-storico riporta alla luce il lavoro di una vita restituendo gloria e fama postuma ad una povera tata, morta sola e squattrinata: insomma, gli ingredienti per una storia romantica c’erano tutti.

Però poi si son messe in mezzo altre cose, cose più pratiche, più legate al vil denaro e allora a me personalmente la faccenda è cominciata a piacere meno. Ad esempio: Maloof forse è in buona fede ed è anche sincero quando dice che ha voluto far conoscere la Maier perché crede nella grandezza delle sue fotografie e non è certo colpa sua se lei è morta e non può godere dei proventi della sua fama improvvisa. Però è anche vero che per mettere a tacere le malelingue potrebbe dare alcuni di questi proventi, che so, in beneficenza… magari a qualche orfanotrofio… In questo modo i malpensanti come me sarebbero rassicurati sulla sua totale disinteressata devozione all’opera dell’artista postuma.

Non parliamo poi di come la vicenda si è sviluppata negli ultimissimi mesi, ossia da quando un certo avvocato (che, guarda caso, è anche appassionato fotografo), ha deciso che non fosse giusto che gli ormai sostanziosi guadagni ricavati dalla vendita delle foto della Maier andassero a qualcuno che della Maier non è erede e così si è dato un gran da fare a riuscire a trovare un lontanissimo parente; lo ha trovato e poi lo ha anche convinto ad intentare una causa per i diritti d’autore. Detto per inciso: sulla buona fede di questo avvocato non ho creduto nemmeno per un istante (sono infatti curiosa di conoscere la parcella che chiederà al lontano cugino francese della Maier).

Risultato: le foto sono bloccate, non possono più esser vendute (e pazienza), ma nemmeno esposte (e questo francamente non è giusto, dal momento che la procedura giudiziaria potrebbe prender anni e il mondo ha il diritto di vedere quelle foto, quel lavoro, quelle opere forse d’arte - definirle tali non spetta a me).

Personalmente amo altri tipi di lavori fotografici, preferisco le inquietudini che mi suscitano le fotografie di una Diane Arbus, per intenderci, piuttosto che gli scatti, alcune volte inquietanti ma non palpitanti d’arte, della Maier; però questo è un parere personale e come tale opinabile.

Un’ultima considerazione, forse la più importante, perché è quella che mi ha indotta a scrivere questo pezzo: la vita della Maier, dopo le ricerche portate avanti negli ultimi tempi, non è più così misteriosa; viene descritta come tale perché ciò che è misterioso attira la curiosità della gente e quindi fa cassetta, ma in realtà non è più un mistero. Non occorre infatti una laurea in psichiatria per dedurre, sulla base di ciò che hanno testimoniato alcune persone, che la Maier avesse dei problemi psicologici piuttosto seri e probabilmente si portava dietro un trauma infantile o adolescenziale. Tutti si domandano se avrebbe voluto la fama che ha raggiunto ora e molti rispondono che no, non l’avrebbe voluta perché fotografava sì, ma per se stessa e forse nemmeno per se stessa dal momento che poi più dell’80% del suo lavoro era rimasto da sviluppare.

Io invece dico che l’avrebbe voluta la fama, almeno la parte sana della sua psiche l’avrebbe voluta: lei stessa infatti scrisse ad uno stampatore francese chiedendo un’eventuale collaborazione per lo sviluppo dei suoi lavori. Però, ciò che mi fa riflettere è che lo stampatore lo scelse in Europa, ossia in un altro continente, in un posto lontano dagli Stati Uniti, in un luogo in cui era più difficile che poi si potesse sapere qualcosa di più preciso di lei. Questo è il fatto che davvero mi ha colpita, che mi ha dato molto da pensare, più ancora di tutto il resto. Così come continuo a rimuginare sulla vecchia zia che non lascia un centesimo a Vivian per ragioni valide ma impronunciabili. Perché? Cosa aveva fatto di così terribile o vergognoso? Questi sono secondo me i veri misteri.

Il fatto invece che molti suoi rullini non siano stati sviluppati ha una spiegazione molto semplice: sviluppare aveva dei costi enormi e lei non poteva permetterselo; lo so, c’è poco di misterioso e affascinante in questo, ma credo sia la reale spiegazione al perché fotografasse e poi archiviasse i rullini ammassandoli in scatoloni.

Altra cosa che mi ha fatto porre diversi interrogativi è perché non volesse far trapelare nulla di chi fosse, arrivando addirittura a dare nomi falsi (tra l’altro, guarda, caso, tutti nomi maschili). Insomma, la vita di Vivian Maier non è realmente un mistero, il vero mistero è perché facesse quella vita. La risposta forse è nelle sue fotografie, nella sua attenzione immediata per le tragedie umane e, soprattutto, forse la verità si può trovare nei suoi autoritratti: osservando attentamente il suo volto, la sua espressione, le sue mani.

Per me dunque non è tanto la sua vita, quanto piuttosto la Maier nella sua essenza il vero enigma; e la risposta al suo mistero è proprio lì, nei suoi autoritratti, e credo che lei stessa, alla fine della storia, desiderasse che il sipario calasse ma al contempo il velo cadesse.

Data di pubblicazione: giugno 2015
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