Per T.

C’è qualcosa che risiede nascosto dentro di noi, a cui non sappiamo dare un nome, per quanto lo percepiamo costantemente, dentro un flusso di pensieri, nella paura di perdere qualcuno o di sentirlo ritornare, a fiato rotto come è l’amore o il desiderio, in un qualsiasi convulso movimento dello sguardo o del cuore (che poi sono la stessa cosa).

Questo è un movimento che ci spinge a uscire, a cercare fuori l’innominabile sostanza per cui sobbalziamo, e ci stimola a vedere il mondo, non necessariamente per capirlo, ma semmai per assaporarne le forme e le idiosincrasie, come se non ci fosse nient’altro che la necessità di prolungare quest’impressione interiore sconosciuta che da qualche parte dovrà pur rivelarsi. La nostra immagine soggettiva è sempre rintracciabile dentro “altri noi”, c’è una linea tratteggiata che ci tira verso altri specchi a cui assomigliamo, una torsione che ci induce ad emozionarci quando la nostra immagine si riflette nel mare o sotto la luce confortevole di una lanterna, quando ciò che siamo si raddoppia dentro la costruzione di un paesaggio che attraversiamo e in cui ci riconosciamo.

Perché è così: noi siamo il nostro primo paesaggio che vogliamo diventare.

Mi colpì, tempo fa, la fotografia di un mio amico che vive in una non luminosa porzione di periferia milanese che, all’alba, decise di cogliere la fame di un sole ascendente, meraviglioso, per quanto non affiorasse da laghi e ghiacciai, ma da un ecomostro cementificato grigio, più grigio del verde che aveva ucciso. In quello scatto così apparentemente poco foto-pittoresco, la sua ombra impressa nella finestra andava proprio a sostituire quella scena edilizia così poco innocente e nel sole sembrava rinascere ogni cosa, perché nel paesaggio c’era lui. Da lui – in quel posto – (ri)cominciava il sole, nonostante tutto.

André De Freitas | Osservatorio DigitaleIl viaggio di questo mese attraverso le rovine più o meno incantevoli del web ci ha spinto dentro la trama della doppia esposizione dell’artista André De Freitas, punto di partenza di una sorta di incantesimo fotografico nel quale, attraverso le proiezioni oniriche e animistiche (perché no!) di un osservatore digitale che rintraccia soggetti e lì intreccia lì dove essi stanno guardando (così che il guardare e l’essere sono, materialmente, una stessa cosa), vanno delineandosi panorami dove gli alberi siamo noi, dove ciò che è nuvola o pioggia, se viene neve o splende brina, appena cade luce o sale ombra, non è nient’altro che quella sostanza innominabile da cui siamo partiti. Io, più te.
Noi ci ritroviamo, con le nostre passioni sopite e vertigini incognite, dentro questa macchina fotografica che assolve, nel doppio che s’imprime, una digitale radiografia ancora più intima, un satellite naturale nel quale ciò che resta di noi, silente o animato, è esportato dentro una qualsiasi radice di ciò che appare per noi, nel mondo. Ora qualcuno di voi potrà dire che il suddetto pensiero sembra scimmiottare una più una complessa visione panico-filosofica con la quale ci stiamo confondendo.

Magari fossimo parte di uno sguardo così enorme.

In verità tutto ciò è qualcosa di più semplice e naturale; questa prospettiva che poniamo alla vostra attenzione non è che un piccolo imbroglio degli occhi, una dolce contaminazione, l’infinitesimale goccia di rugiada nella quale – come poeticamente ricorda un’epica indiana – per quanto minuscola particella di creato sia, tutto il mondo sa essere contenuto.

E noi peroriamo questo essere goccia, questo nostro essere paesaggio, questo nostro vederci montagne o colline, questo saperci ammirare anche dentro il sole sporco della città metropolitana, questo amore o senso di essenza, qualunque connotazione acquisisca, nel quale ci confortiamo, appena apriamo una finestra, viaggiamo in treno, chiudiamo gli occhi e tira il vento.

Perché in fondo, ci sembra dire André De Freitas, basta una macchina fotografica per ricordarci da dove proveniamo.

E chissà dove potremo arrivare, guardandoci impressi nel mondo a forma di te.

Il sito di André De Freitas è raggiungibile a questo link.