Giuseppe CarrieriVoi l'avete mai visto il mondo mentre scompare? Sì, proprio tu che sei sempre lì pronto a scattare in strada o a casa? L'hai visto il mondo che finisce, o no? E sapresti catturarlo in un'immagine qualunque? Se davvero fotografare è anche un "immortalare", allora in mezzo a tutto questo mucchio di visioni, che lo vogliate o no... la fine non è poi così lontana. Ma non abbiate paura. No, no. Tanto, ormai, è tutta una messa in scena a orario di cena.

“Questo mondo, così come noi lo vediamo, sta per sparire”
(Paolo di Tarso)

Phileas Smogg uscì dall’albergo assicurandosi che non avesse dimenticato i pezzi di ricambio. Il committente era stato chiaro: filmare tutto e, appena possibile, mandare in diretta. Poi, quello che succede, succede.

Phileas uscì dall’albergo assicurandosi di avere tutto per le riprese, ma si accorse anche di avere dimenticato le chiavi in stanza. Ebbe un attimo di riflessione e poi si limitò a pensare: “Ma sì, tanto, a questo punto, cosa cambia?”.

Phileas si era un po’ sorpreso che per quell’operazione così importante, “vitale” gli aveva detto il direttore della comunicazione, nessuno si fosse candidato a fargli compagnia lungo la spedizione.

“Peccato, mi sarebbe piaciuto vedere tutto questo assieme a qualcuno, le grandi emozioni si devono condividere”, e mentre ruminava tali strani sentimenti smacchiava le lenti, verificava la ghiera, faceva tutte quelle prove che lo mettevano al riparo da errori e imprecisioni. Non si sa mai.

Quella missione era vitale, e anche lui lo sapeva, ma non capiva perché ci avessero mandato proprio lui. Sì: lui, in fondo, era una persona come tante, lavorava gratis ormai da anni, e accettava di buon cuore tutto quello che gli passavano perché si divertiva così: filmando. Le sue erano sempre situazioni un po’ particolari e, talvolta, non ne usciva in ottime condizioni: come quando gli venne chiesto – sempre dal direttore della comunicazione – di recarsi nell’enclave più desolata del Bashkortostan, e lì fu rapito (per 150 giorni!!) e non si seppe come, alla fine, fu liberato da un alieno. O come quell’altra volta in cui gli venne proposto un servizio sulla dentatura degli squali tropicali, nella porzione dell’oceano più desolata del Boa Tango, e lì, non si seppe come, perse quasi un braccio, ma alla fine fu salvato in tempo da un bagnino russo di passaggio.

Anche questa volta gli avevano detto che solo lui poteva portare a casa questo servizio e lui, Phileas, sempre assunto in stage, aveva detto che era pronto.Così aveva viaggiato per 35 ore trasferendosi dall’altra parte del mondo per poi salire a bordo di un charter dirottato dai narcotrafficanti venecuadoriani (ma anche lì, non si seppe come, alla fine fu liberato) per poi, tra coccodrilli e aborigeni inferociti, attraversare su una piroga un immenso fiume verde fango limpido.

Camminando, camminando si era reso conto di aver perso il tappo della camera. Erano anni che soffriva per stare attento solo a quel tappo. E ora l’aveva perso. Poi si fermò un attimo e pensò: “Ma sì, tanto, a questo punto, cosa cambia?”.

Alla fine, signore e signori, era arrivato proprio lì, a Robjenskurpour-Aloa e, bisogna dirlo, si era preparato nel migliore dei modi: una tuta ermetica per evitare contatti pericolosi con bestie selvatiche (le zanzare… aveva dimenticato l’Autan… ma sì, tanto, a questo punto, cosa cambia?), un impermeabile arancione, una profonda pellicola che rendeva la macchina inespugnabile da ogni genere di scoria nucleare o lapillo (si dice lapillo al singolare?), un ombrello per il sole ultravioletto, un cavalletto di scorta, una gamba finta, un fucile, cinque caramelle e degli occhiali neri.

Perché alla fine, gli avevano detto: “Vedrai, vedrai bene… che non vedrai più niente”. Il vulcano avrebbe dato vita all’esplosione alle 21 in punto, come i grandi show del sabato sera. Phileas avrebbe preferito una cosa giornaliera, perché di sera faceva sempre un po’ più fatica. Tuttavia si era imbottito di eccitanti e ora aveva le palpebre spalancate.Il vulcano avrebbe distrutto l’isola – forse l’intero arcipelago o continente – in poco meno di 5 minuti. Phileas si era fatto un calcolo, quindi, secondo il quale in circa 2-3 minuti di lui non sarebbe rimasto altro che una bella cenere arancione (sempre per via dell’impermeabile). Per le immagini? No, beh, quelle, una volta mandate in diretta, sarebbero durate per sempre. E poi, si sa, le immagini non muoiono. Ma neanche invecchiano. Le immagini insistono. Così Phileas aveva pronto tutto: si era messo la sveglia con il suo vecchio orologio Casio, aveva inforcato impermeabile e occhiali neri.

E attendeva questa sensazione di non vedere. “Certo, peccato, se ci fosse stata Morgana, a questo punto le avrei pure potuto dare un bacio. Le avrei detto che l’ho sempre amata e, che in fondo, per farla felice, avrei anche accettato di sparire dalla sua vita, come mi aveva chiesto l’ultima volta. Ma sì, tanto, a questo punto, cosa cambia più?”.

La diretta era pronta: miliardi di telespettatori guardavano Phileas.

Miliardi e miliardi di cittadini, con il telecomando puntato alle stelle, attendevano l’attimo in cui Robjenskurpour-Aloa avrebbe spaccato tutto. Era così l’Apocalisse, avevano affermato tutti i vulcanologi del mondo, tranne Rodrigo Lopez d’Esposito, noto studioso tellurico filippino-napoletano che si era invece così pronunciato: “A me m’ par’ na strunzat’” (lett. “Non mi pare corretto perorare questa tesi”), e con questa scientifica motivazione – non abiurando le sue radicali posizioni antipiretiche cosmologiche – era stato estromesso da tutte le comunità scientifiche del pianeta, ad esclusione del Rotary.

Erano le 21 in punto e Phileas era sveglissimo: telecamera accesa, cavalletto in bolla, tutto a fuoco, raggi infrarossi modalità on. “E viaaaaa!”

“E viaaa!”.
….
“E via!”.
…..
21: 01. Phileas si guarda attorno e non c’è nessuno. Sapeva che l’isola, l’arcipelago e il continente erano stati sgomberati, ma lui comunque cercava aiuto.
…..
“Registra! Registra tutto!”. Così gli comandavano dall’auricolare.

“E via!”.

21:02 e poi 21:03, 21:04. Miliardi di telespettatori fissavano Phileas Fogg che provava con un fiammifero a vedere se riusciva, almeno lui, a innescare qualcosa. Non so, una miccia, una scintilla, un fuoco fatuo. Al massimo con qualche effetto o ritocco si sarebbe trasformata in lava. Ma niente.

“Niente”.
….
21:09, 21:10. Robjenskurpour-Aloa non aveva spaccato proprio un bel niente.

Phileas, dal canto suo, ora pensava solo che, non avendo le chiavi dell’albergo, sarebbe dovuto rimanere a dormire fuori tutta la notte. E a quel punto sì che ci sarebbe voluta Morgana. Inoltre, avrebbe dovuto ricomprare il tappo della camera. E questo anche lo infastidiva. Dove si compravano i tappi delle camere dalle parti di Robjenskurpour-Aloa? “Ma sì, tanto le immagini non invecchiano”, pensava il direttore della comunicazione e fissava i televisori di tutto il mondo spegnersi in un istante.

Phileas, intanto, con la lente sporca di moscerini, si filmava da solo affianco al vulcano che dormiva. Con gli occhiali neri, ovviamente, così di notte si vede meglio. Pensava lui, eh.

Dalle emittenti di tutto il mondo, cronisti in difficoltà cercavano alla buona di produrre riflessioni e opinioni, fatti e contraddizioni. Breaking news, headlines, and the show must go on. Queste le parole chiave. Intervenivano da tutte le parti del cosmo per capirci qualcosa. Ma niente.

“Niente”.

Rodrigo Lopez d’Esposito venne riammesso in tutte le comunità scientifiche del mondo, vinse il Nobel e perse l’Oscar di un soffio. Da quel momento in poi nessuno più si occupò di Robjenskurpour-Aloa e, per un po’, si disse alla gente che di Apocalissi non ce ne sarebbero state. Tutt’al più, di certo, non le avrebbero mandate così.

Alla buona.

In prima serata.


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