L'occhio vuole la sua parte. Già, ma quale tra le tante? Net(E)scape di questo mese propone un viaggio sconnesso nell'intestino di un'immagine... che non finisce mai. Dentro ogni cosa ne appare un'altra e guardare non è più solo un incrocio di direzioni, ma il perdersi nelle profondità di un abisso sotto forma di pixel. Per chi non sa nuotare, saran problemi... Per chi sa vedere, una scoperta che prosegue senza sosta.

C’era una volta Qualcuno.

C’era una volta Qualcuno che guardava dall’alto due figure esili che sembravano parte di un cammino desolato, tra gli squarci di una pietra rosolata dalla calura e sparuti cespugli a fare il solletico alle montagne.

C’era una volta Qualcuno che, in realtà, non guardava dall’alto due figure che, difatti, non erano parte di un cammino desolato, tra gli squarci di una pietra rosolata dalla calura e sparuti cespugli a fare il solletico alle montagne. Quello non erano neanche montagne, no. A guardarle bene erano dita di un gigante steso chissà dove con le mani congiunte nel muschio di qualche nuvola.

Ricominciamo da capo, allora e abbiate pazienza nei confronti del nostro Qualcuno che, pur avendo un occhio così immenso, ogni tanto ha problemi a focalizzare.

Dunque, c’era una volta Qualcuno.

C’era una volta Qualcuno che spiava il cranio calvo delle salite dove tre, quattro, cinque sagome libravano leggere nell’aria perfettamente celeste. Alcune erano in piedi, ringraziavano Dio senza intonare alcuna preghiera. A un’altezza tale, basta baciare l’aria per poterlo sfiorare. Altri erano seduti, si strofinavano i piedi punti di ferite e tagli mentre l’ombra, da lì, non li avrebbe mai potuti conoscere. Erano sopra ogni cosa, beati dell’invisibilità di tutti, tranne che per Qualcuno. Anche se, a pensarci bene, neanche Qualcuno, in fin dei conti, li vedeva così bene.

C’era, infatti, una volta Qualcuno che, in realtà, non guardava il cranio calvo delle salite, ma il bernoccolo di una cima, con il volto incappucciato da un mantello rosa, dove niente poteva esistere a patto che non fosse sfidata la linea dell’orizzonte per essere trasformata in filo da equilibrista. C’è da credere che Qualcuno avrebbe potuto vedere sin lì, dove nasce l’arcobaleno. Ma Qualcuno non sapeva che ogni punto è un inganno che nasconde altri punti, una scatola cinese in cui si ci si perde, mentre, fuori, fa dappertutto notte sulle nostre palpebre.

Insomma, avete capito? C’era una volta Qualcuno e questi era certo di vedere ogni cosa.
Sì, ma ogni cosa poi cos’era?

Ricominciamo ancora e speriamo sia la volta buona.

C’era sempre lui, Qualcuno, che questa volta aveva appoggiato gli occhi addosso a una famiglia pacifica di alberi, tutti con le mani alzate al vento, con sibili nelle fronde e parrucche folte sopra corpi smilzi. E poi c’era un mucchietto di persone che seguiva il sentiero di un corso d’acqua scavato nei segreti di qualche corridoio naturale. Tra questi, una persona indicava una direzione. Tra una riva e un’altra, l’acqua scorreva e se ne fregava.

Vi devo dire la verità? Qualcuno non vedeva neanche più (solo) questo. Qualcuno era solo lì, appostato. Sì, ma non erano più alberi quelli che si mostravano dinanzi al suo occhio. C’era, invece, una cascata verde da cui il colore si scioglieva a contatto con le pareti roventi, dilapidandosi nel paesaggio dietro un’ansa irriconoscibile. Forse, una lacrima scappata da tanto lontano. Ma da dove? Qualcuno vedeva tutto per provare a capire eppure più vedeva, più non capiva.

C’erano troppe cose attorno e troppe cose non sapeva afferrare. Ora c’erano dei cavalli, lì, proprio davanti al suo naso. Sì c’erano perché Qualcuno era sicuro di averli visti, ma poi i cavalli (c’erano anche altre bestie da pascolo) si erano anch’essi smaterializzati, erano diventati paesaggio. O forse non erano mai esistiti?
Qualcuno credeva di impazzire.
Ma non era follia, era solo Spettacolo.

Qualcuno, infatti, aveva il dono di poter vedere tutto. Ma per ogni cosa vista, mille altre erano confuse. Vedere tutto, infatti, non implica affatto sapere o possedere. Vedere tutto significa perdersi.
Se fosse vero il contrario… ovvero, che per capire non bisognerebbe vedere affatto?

Probabilmente vi sarà capitato di leggere La certosa di Parma di Stendhal e ricorderete senz’altro la storia di quel giovanotto fanatico di Napoleone che decide di abbandonare tutto per andare proprio sul luogo di battaglia, per vedere direttamente dal vivo il suo eroe. È talmente forte l’ansia della ricerca e del possibile incontro che questi, disorientato, finisce per smarrirsi. Quando chiede a un suo compagno dove sia finito il loro comandante, dove sia la guerra - questi gli risponde inesorabilmente che “la guerra è finita, e lui non se ne è neanche reso conto”. Ebbene esserci solo per guardare non serve a niente. I panopticon della nostra società sono effimeri e fallaci, per quanti gigapixel o telecamere a circuito chiuso possano offrirci e mostrarci.

In questa puntata di Net(E)scape abbiamo provato a fare un esperimento perché crediamo che questo spazio sia innanzitutto un laboratorio di tentativi, anche di errori, se possibile. Ma siamo convinti che resti un posto dove ci si sporchi le mani col vero e col falso, con l’utile e l’inutile che ci passa davanti agli occhi nella rete proprio perché è dalle illusioni che si costruiscono certezze.

La morale della favola è che questo Qualcuno provava a vedere come Dio. Ma Dio non era.
Era solo Qualcuno o, ancor meglio, una potente macchina fotografica.
E questo, lo avrete capito bene, non è (mai stato) un racconto.
Ma solo quella sua unica foto scattata.
Questa.

Buona visione o lettura, cari amici, basta che, a furia di guardare, non perdiate mai la vostra guerra.


Leggi la puntata precedente: Sopra onde silenziose