È come un’isola distante che si sbarazza dell’oceano. Perché si raggiunge sempre, subito e senza difficoltà. È come il mondo, ma più grande, dove anche se ti sfugge tutto tra le mani bucate di codici binari, non perdi niente. Internet, l’unico universo di cui si hanno certezze, è ormai la scorciatoia preferenziale per sbirciare la lontananza e ottenere una fuga. Ma non corriamo, facciamoci spazio piano in quest’apnea d’immagini e suoni, e senza trovare un orientamento, guardiamoci pure attorno. Vorrebbe nascere così Net(E)scape, come un telescopio lento e curioso, ma che prova a graffiarsi e a graffiare, zoomando nel paesaggio vivente della nostra contemporaneità. Qui tra fotografie, luoghi di pixel e ritratti di umanità virtuali possiamo provare davvero ad andare lontano.

Ci s’interroga sempre troppo e male su come si debba scattare una fotografia. C’è una grammatica, certamente. Esiste un’estetica ed una professionalità dell’occhio, nessuno lo mette in dubbio. E poi c’è da scegliere l’oggetto da vedere, decidere come inquadrarlo e, infine, metterlo a fuoco. Quasi sempre lo scorcio di un oceano tenebroso, la scia di una foglia in caduta libera o le curve di un nitido tramonto finiscono per diventare ritratti memorabili nei nostri personali musei aperti a tutti. Ma non è così. O meglio, occorre che qualcuno si ponga il dubbio che non tutto potrebbe essere solo così. C’è un confine che il senso della vera arte fotografica dovrebbe lasciare sospeso, volontariamente incognito.

Dunque, si diceva prima, ci sono oggetti da vedere. Se questo è indubbiamente vero, non è implicito però che tutto ciò che è visto, debba essere per forza mostrato. Ci sono anche altre immagini, perfette e misteriose, in cui chi svela qualcosa, la nasconde. Non tutto può essere inquadrato, non tutto si prende con uno scatto. Una su tutte, tra gli oggetti difficili e più affascinanti da catturare, è la morte. Che è però invisibile.

Obiezione, vostro onore – qualcuno potrà dire. La morte si vede, eccome! Ci sono le guerre intelligenti con i mirini a raggi infrarossi e le facce aperte dei soldati uccisi in tempo reale. Ci sono i corpi mutilati e quelli denutriti. Ci sono le stragi di mafia e le pozze di sangue che non si stingono. Eppure tutto ciò vuol dire solo immortalare scarti d’orrore, senza mostrare nulla. Dunque come si esce da questa contorta faccenda? Per rispondere a questo interrogativo, ci viene incontro Internet.

La rete, infatti, è sempre più un mappamondo generoso e, molte volte, scavando a fondo appaiono frammenti un po’ inaspettati da raccogliere, pulire e condividere. Tempo fa mi sono imbattuto in un sito spoglio, fintamente silenzioso, con pochi pulsanti e nessuna animazione. Fenomeno strano di questi tempi, eppure straordinario.

Il link sembrava svelare già tutto, ma era l’ennesimo inganno internautico. Già, perché www.beforeidieiwantto.org non è la vetrina di qualche kamikaze esibizionista o, peggio, di qualche studente liceale triste e armato di kalashnikov e webcam. Per niente. È solo lo spazio di tante persone come noi, che intervistate, confessano quale sia il loro più grande sogno prima di morire. Ma le loro parole non giacciono immobili come finestre aperte di una chat virtuale né tanto meno sono registrate volatili da qualche microfono indiscreto. Sono scritte attraverso una fotografia. Più precisamente, una Polaroid.

Dall’India fino agli Stati Uniti, sfogliando rughe di mendicanti e malati, smorfie di bambini e sguardi dubbiosi, questa lunga pellicola orizzontale di volti sempre diversi finisce per diventare un immenso arcobaleno di storie e dolori, un potente paesaggio di colore umano, dove l’unica assenza di tinta, lo spazio bianco e perfetto della Polaroid, diventa cornice del destino e linea unidimensionale per i nostri sogni.

E in tutto questo panorama umano così discreto e affascinante c’è un segno che unisce il “clic” del dispositivo al meccanismo dello stesso racconto della vita. È il funzionamento della Polaroid che appare profetico, nel suo scattare imperfetto di luce fioca che non brucia, nel suo riscaldamento silenzioso, nell’attesa della messa in forma – quel vento che da bambini tanto ci incantava – che, poi, in fondo cos’è se non la distanza da attendere, quello spazio da occupare e che ci separa dai sogni, mentre esistiamo. Ma ancor di più è interessante questo album scolorito perché si tratta di un reperto, ormai irreperibile, a perfetta bassa definizione. Ogni persona diventa, infatti, un quadrato di colore soffuso, macchiato di tempo trascorso eppure ancora in corso, nella magia di un sorriso recuperato all’ultimo che trascende la rappresentazione sfocata. In www.beforeidieiwantto.org la comunicazione ritorna a liberarsi dall’infatuazione tecnologica, dall’esigenza di nitore che poi tutto appiattisce: è semplice e puro racconto dell’invisibile in cui basta una foto, e soltanto questa, così come dovrebbe essere l’arte, a dire l’essenziale. E non fatevi ingannare, anche se i pensieri rivelati dai soggetti fotografati sono trascritti nei bordi bianchi, è l’immagine a svelare tutto, pur non dicendo niente. E ritorniamo al discorso iniziale, a ciò che si sceglie di vedere, a quello che occorre inquadrare. All’ impellenza di mostrare, all’opportunità di nascondere. Si parlava della morte e del problema della sua rappresentazione. Osservate bene la galleria dei personaggi di questo sito: andate in America, entrate perfino in un ospizio, per poi giungere in Gujarat dove la gente vive con poche rupie al giorno. Ogni persona ci parla della propria fine e dei propri sogni, forse è tutta materia che coincide, forse non c’è niente di meglio della vita, la loro, per svelare e, allo stesso tempo, per rinnegare la morte. Resta tutto in una fotografia e non serve altro che una vecchia Polaroid per spiegarne il meccanismo. Il destino è così. Basta soffiarci e tutto, lentamente, prova a diventare chiaro. Anche sfocati e senza correzione digitale, possiamo ancora vedere. E vivere benissimo.

Before I die I want to...: www.beforeidieiwantto.org